Novelle del defunto Ivan Petrovi? Bjelkin
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Novelle del defunto Ivan Petrovi? Bjelkin

About this book

Nell'introduzione all'opera, Puškin finge di essere l'editore delle novelle che Ivan Petrovi? Belkin, un negligente possidente terriero, ha udite da varie persone e messe per iscritto. Viene anche allegata da Puškin una lettera scritta da un presunto amico di Belkin in cui sono narrati alcuni aneddoti circa la vita di Ivan Petrovi?: il ritratto che ne esce delinea una personalità misteriosa e affascinante, poco dedita agli affari quanto piuttosto amante delle lettere e della cultura.

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Information

LA SIGNORINA-CONTADINA
In tutte le acconciature sei bella, Duscegnka.
BOGDANOVIČ
In una delle nostre lontane province si trovava il possesso di Ivan Petrovič Berestov. Nella sua giovinezza egli aveva servito nella guardia, aveva dato le dimissioni al principio del 1797, era partito per il suo villaggio e da allora non ne era piú andato via. Era ammogliato con una nobile povera, che morí di parto mentre egli era in un campo fuor di mano. Le occupazioni dell’azienda domestica lo consolarono presto. Si costruí una casa secondo un suo proprio progetto, mise su una fabbrica di panno sulle sue terre, ordinò le entrate e cominciò a stimarsi l’uomo piú intelligente di tutto il vicinato, cosa nella quale del resto non lo contraddicevano i vicini, che venivano da lui come ospiti con le loro famiglie e i cani. Nei giorni feriali portava una giacchetta di felpa, nelle feste metteva un soprabito di panno fatto in casa, segnava lui stesso le uscite e non leggeva nulla, tranne la gazzetta del Senato. In generale gli volevano bene, quantunque lo stimassero superbo. Non andava d’accordo con lui il solo Grigorij Ivanovič Muromskij, il suo piú prossimo vicino. Questi era un autentico signore russo. Sperperata a Mosca la maggior parte del suo possesso e rimasto vedovo in quel tempo, partí per il suo ultimo villaggio, dove seguitò a farne delle sue, ma ormai d’un genere nuovo. Fece un giardino inglese, per il quale spendeva quasi tutti i redditi che rimanevano. I suoi palafrenieri erano vestiti da jockeys inglesi. Sua figlia aveva come madame una inglese. I suoi campi li coltivava secondo il metodo inglese;
ma al modo straniero non cresce il grano russo,
e malgrado una considerevole diminuzione delle spese, i redditi di Grigorij Ivanovič non aumentavano; anche in campagna egli trovava il modo di contrarre nuovi debiti; con tutto ciò era stimato persona non sciocca, giacché per primo fra i proprietari della sua provincia aveva pensato a impegnare il suo possesso al consiglio di tutela: operazione che in quel tempo sembrava straordinariamente complicata e ardita.
Fra le persone che lo giudicavano male, Berestov si esprimeva piú severamente di tutti. L’odio per le innovazioni era il tratto distintivo del suo carattere. Non poteva parlare con calma dell’anglomania del suo vicino e ogni momento trovava l’occasione per criticarlo. Se faceva vedere a un ospite i suoi possessi, in risposta alle lodi per i suoi provvedimenti economici: «Sissignore!» egli diceva con un furbo sorriso «da me non è come dal mio vicino Grigorij Ivanovič. Come potremmo noi rovinarci all’inglese? Ci basta d’essere sazi alla russa». Questi e consimili scherzi per lo zelo dei vicini erano fatti noti a Grigorij Ivanovič con giunta e spiegazioni. L’anglomane sopportava la critica con altrettanta impazienza come i nostri pubblicisti. Si infuriava e aveva dato al suo zoilo i soprannomi di orso e di provinciale.
Tali erano i rapporti fra questi due proprietari, quando il figlio di Berestov venne in campagna da lui. Egli aveva studiato nell’università di *** e aveva intenzione di entrare nell’esercito; ma il padre non vi acconsentiva. Per la carriera amministrativa il giovanotto si sentiva affatto incapace. Essi non cedevano l’uno all’altro, e il giovane Aleksjej intanto cominciò a fare la vita del signore, lasciandosi crescere i baffi per ogni eventualità.
Aleksjej, realmente, era un bel giovanotto. Davvero, sarebbe stato peccato se l’uniforme militare non avesse mai stretto la sua snella corporatura, e se, invece di darsi delle arie a cavallo, egli avesse trascorso la giovinezza chino sulle carte d’ufficio. Guardando come a caccia saltava sempre per primo, senza guardare alla strada, i vicini dicevano concordemente che non ne sarebbe mai uscito un capoufficio assennato. Le signorine lo guardavano, e a volte anche gli perdevano gli occhi addosso; ma Aleksjej si occupava poco di loro, mentre esse ritenevano che un legame amoroso fosse causa della sua insensibilità. Realmente, passava di mano in mano la copia dell’indirizzo di una delle sue lettere: “Per Akulina Petrovna Kuročkina, a Mosca, dirimpetto al monastero Aleksjejevskij, in casa del calderaio Saveljev, e voi vi prego umilissimamente di consegnare questa lettera A.N.R.”.
Quelli dei miei lettori che non hanno abitato nei paesi non possono immaginarsi che delizia siano queste signorine di provincia! Educate all’aria aperta, all’ombra dei meli del proprio giardino, esse traggono dai libri la conoscenza del mondo e della vita. L’isolamento, la libertà e la lettura sviluppano presto in loro sentimenti e passioni, ignote alle nostre distratte bellezze. Per una signorina il tintinnar d’un sonaglio è già un’avventura; un viaggio nella città vicina fa epoca nella vita, e la visita di un ospite lascia un lungo, a volte anche eterno ricordo. Certamente, chiunque può irridere alcune loro stranezze! ma le celie dell’osservatore superficiale non possono distruggere i loro pregi essenziali, fra cui il principale è la singolarità del carattere, l’originalità (individualité) senza la quale, secondo l’opinione di Jean-Paul, non esiste neppure l’umana grandezza. Nelle capitali le donne ricevono forse un’istruzione migliore; ma la consuetudine della società livella presto il carattere e rende le anime altrettanto uniformi come le pettinature. Questo sia detto non per giudicare né per biasimare, ma tuttavia nota nostra manet, come scrive un antico commentatore.
È facile immaginarsi quale impressione dovesse produrre Aleksjej in mezzo alle nostre signorine. Egli per primo era apparso dinanzi a loro cupo e disilluso; per primo aveva parlato loro delle gioie perdute e della sua giovinezza appassita; inoltre, egli portava un anello nero, con l’immagine d’una testa di morto. Tutto questo era straordinariamente nuovo in quella provincia. Le signorine impazzivano per lui.
Ma piú di tutte si occupava di lui la figlia del mio anglomane, Liza (o Betsy, come la chiamava di solito Grigorij Ivanovič). I loro padri non si frequentavano; ella non aveva ancora veduto Aleksjej, mentre tutte le giovani vicine non facevano che parlare di lui. Aveva diciassette anni. Degli occhi neri ravvivano il suo volto abbronzato e molto piacente. Era figlia unica e, per conseguenza, viziata. La sua vivacità e le continue birichinate facevano andare in visibilio il padre e riducevano alla disperazione la sua madame, miss Jackson, un’affettata signorina quarantenne, che si dava il bianco e si tingeva le sopracciglia, rileggeva la Pamela due volte l’anno, per questo riceveva duemila rubli e moriva di noia in questa barbara Russia.
A Liza stava dietro Nastja; ella era un po’ piú vecchia, ma altrettanto sventata come la sua signorina. Liza le voleva molto bene, le scopriva tutt’i suoi segreti, escogitava insieme con lei i suoi progetti; insomma, Nastja nel paese del Prilucino era un personaggio molto piú importante che non qualsiasi confidente in una tragedia francese.
«Permettetemi d’andare in visita oggi» disse un giorno Nastja, vestendo la signorina.
«Fate pure; ma dove?»
«A Tughilovo, dai Berestov. È l’onomastico della moglie del loro cuoco, e lei ieri è venuta a invitarci a pranzo.»
«Ecco!» disse Liza. «I signori sono in lite e i servitori s’invitano fra loro.»
«E noi che abbiamo a che fare coi signori?» ribatté Nastja. «Inoltre poi io sono vostra, e non del babbo. Voi non avete mica ancora litigato col giovane Berestov; e i vecchi che se le diano pure, se gli fa piacere.»
«Cerca di vedere Aleksjej Berestov, Nastja, e raccontami per benino com’è fatto e che uomo è.»
Nastja promise, e Liza aspettò tutto il giorno il suo ritorno con molta impazienza. La sera Nastja comparve.
«Ebbene, Lizavjeta Grigorjevna,» diss’ella, entrando nella stanza «ho veduto il giovane Berestov; l’ho contemplato finché ho voluto; siamo stati insieme tutto il giorno.»
«Come mai? Racconta, racconta per ordine.»
«Sissignora, sia pure. Siamo andate: io, Anisja Jegorovna, Nenila, Dugnka...»
«Va bene, lo so. Su, e poi?»
«Sissignora, permettete, racconterò tutto per ordine. Ecco che siamo arrivate proprio per il pranzo. La stanza era piena di gente. C’era gente di Kolbino, di Zacharjevo, la moglie dell’amministratore con le figlie, quelli di Chlupino...»
«Ebbene, e Berestov?»
«Sissignora, aspettate. Ecco che ci mettiamo a tavola, la moglie dell’amministratore al posto d’onore, io accanto a lei... e le sue figliole a fare il muso, ma io me ne infischio...»
«Ah, Nastja, come sei noiosa coi tuoi eterni particolari!»
«Ma voi come siete impaziente! Via, ecco che ci alziamo da tavola... e ci eravamo rimasti un tre ore, e il pranzo era eccellente: un biancomangiare dolce: turchino, rosso e rigato... Ecco che ci alziamo da tavola e andiamo in giardino a giocare a gorjelki, e proprio allora è comparso il giovane padrone.»
«Su, ebbene? È vero che è cosí bello?»
«Meravigliosamente bello; una bellezza, si può dire. Snello, alto, le gote tutte vermiglie...»
«Davvero? E io cosí pensavo, che avesse il viso pallido. Ebbene? come t’è sembrato? Triste, pensieroso?»
«Che dite? Ma una persona cosí furiosa non l’ho vista da che campo. Gli viene in mente di correre con noi a gorjelki...»
«Correre a gorjelki con voi! È impossibile!»
«È possibilissimo. Ma che non ...

Table of contents

  1. AVVERTENZA DELL’EDITORE
  2. LA PISTOLETTATA
  3. LA TEMPESTA DI NEVE
  4. IL BECCHINO
  5. IL MAESTRO DELLE POSTE
  6. LA SIGNORINA-CONTADINA