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Bugie omissioni crimini del Risorgimento. Quando il Sud era il primo Stato italiano
Quando il Sud era il primo stato italiano
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Bugie omissioni crimini del Risorgimento. Quando il Sud era il primo Stato italiano
Quando il Sud era il primo stato italiano
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Frutto di intense ricerche sul campo e dello studio di numerosi documenti dell'epoca, Bugie omissioni crimini del Risorgimento dello storico Orlando Fico fornisce al lettore un quadro completo e preciso del sud pre-unitario: la sua giovane e audace industria, le sue moderne politiche di welfare, i passi in avanti compiuti verso la modernità e la sciagura dell'annessione sabauda. Un testo chiave per comprendere l'attualità storica ed economica dell'Italia di oggi.
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Information
Quali i ‘frutti’ della Mala Unità?
Prima di passare in rassegna i ‘frutti’ della Mala Unità è bene rivedere molto brevemente ciò che avvenne in Italia dopo l’unificazione e fino al 1946, anno in cui si concluse la parabola dei Savoia. Le note dominanti di quegli 86 anni di regno furono il frastuono delle armi, una politica interna senza regole, lo sviluppo del Nord e il declino del Sud. Il pareggio del bilancio che era uno degli obiettivi del governo della Destra, fu raggiunto nel 1876 con grandi sacrifici delle classi più povere sottoposte ad una forte imposizione fiscale. Dopo quell’anno il potere passò alla Sinistra con Agostino Depretis di Mezzana Corti (Pavia). Egli rimase in carica fino al 1887 e attuò alcune riforme (scuola, tasse, diritto di voto) che però ebbero scarsi effetti pratici. Nel 1882 con la firma del trattato della Triplice Alleanza l’Italia si avvicinò all’Austria e alla Germania e si allontanò dalla Francia e dall’Inghilterra. Questi due stati protettori e amici per la pelle del Regno di Sardegna e dei Savoia durante il Risorgimento avevano favorito la politica aggressiva e machiavellica di Torino nei confronti di Francesco di Borbone e del Papa. Raggiunto lo scopo, ossia ‘conquistati’ l’Antico Regno e lo Stato Pontificio, i vecchi amici divennero nemici, mentre il vecchio nemico capitale, l’Austria divenne il nuovo alleato. Di conseguenza i rapporti con l’Inghilterra e la Francia, soprattutto con la seconda, divennero difficili. Poi nel 1885, per non rimanere ‘indietro’, il governo italiano decise di avventurarsi nelle imprese coloniali, nonostante le condizioni proibitive del paese. Infatti per la sua “giovanissima età” e per le catastrofiche conseguenze della guerra civile nel Sud, l’Italia era fortemente impreparata, non aveva mezzi adeguati ed era agitata da gravissimi problemi interni. Ma l’ambizione e le velleità ebbero il sopravvento e nonostante le ragioni contrarie, il governo ordinò ai militari di partire per la ‘grande’ avventura. Gli Italiani sbarcarono in Eritrea e Somalia con l’intento di penetrare in Etiopia, ma nel 1887 furono inesorabilmente annientati a Dogali e la ‘grande’ avventura, com’era prevedibile, si concluse miseramente con altri morti inutili. Al nome del Depretis è associato il termine ‘trasformismo’ che indica il modo in cui egli operò in politica. Il modo che escogitò consisteva nella creazione di volta in volta di maggioranze favorevoli mediante concessioni e ricompense agli oppositori. Questo sistema non era nuovo, poiché ricalcava sostanzialmente il vecchio famigerato ‘connubio’ di lord Camillo Benso che, alimentando la corruzione e le clientele, provocò la degenerazione della politica. Nel 1887 a capo del governo successe Francesco Crispi dapprima acceso mazziniano rivoluzionario, quindi monarchico, uno degli organizzatori dell’invasione di Garibaldi in Sicilia, coinvolto nello scandalo della Banca Romana. Egli attuò la politica del pugno di ferro sia all’interno, sia all’estero e rimase in carica fino al 1896. L’inasprimento dei rapporti con la Francia provocò la chiusura del mercato francese ai prodotti italiani con gravissimi danni soprattutto per l’agricoltura meridionale. Il malcontento suscitato da questa situazione sfociò nei gravi tumulti popolari dei Fasci Siciliani e nella rivolta in Lunigiana del 1893. Contro queste manifestazioni il Crispi agì con estrema durezza. Per stroncare la rivolta in Sicilia inviò l’esercito che fece fuoco contro i contadini provocando centinaia di morti. Quanto alla politica estera egli riprese la campagna di occupazione dell’Africa Orientale spinto da velleità di grande potenza senza averne i mezzi e contro il volere dell’opinione pubblica. La campagna si concluse ancora una volta con un disastro su tutti i fronti: gli Italiani furono sconfitti all’Amba Alagi, a Macallè e ad Adua (1895-1896). Questa politica dissennata costrinse il Crispi a dimettersi. Gli successe Antonio Starabba, marchese di Rudinì (1896-1898). Questi firmò la pace con il negus Menelik che riconosceva all’Italia il possesso della sola Eritrea. Durante il suo governo, a causa del malcontento per le peggiorate condizioni di vita, avvennero molti disordini che culminarono nel moto del 1898 a Milano dove il generale piemontese Fiorenzo Bava Beccaris fece sparare con i cannoni sulla folla: vi furono centinaia di morti e molti arresti. Dopo di che il Rudinì si dimise e gli successe il generale savoiardo Luigi Pelloux (1898-1900). Assunto il potere, il Pelloux tentò di inasprire l’azione del governo proponendo delle leggi eccezionali. Le leggi però non furono approvate e il ministro fu costretto a dimettersi. Fu quindi la volta del piemontese Giuseppe Saracco (1900-1901). Durante il suo governo il re Umberto I, succeduto al padre Vittorio Emanuele morto nel 1878, fu assassinato a Monza il 29 Luglio del 1900 ad opera dell’anarchico Gaetano Bresci che con quel gesto aveva voluto vendicare i morti di Milano. Il regno di Umberto I iniziò e finì con la violenza. Infatti il sovrano era già sfuggito ad un altro attentato a Napoli pochi giorni dopo essere salito al trono. Dal 1901 al 1903 il governo fu presieduto dal bresciano Giuseppe Zanardelli e quindi dal 1903 per circa dieci anni da Giovanni Giolitti di Mondovì (Cuneo). Il Giolitti prestò attenzione soprattutto agli affari interni promuovendo una serie di riforme sociali a favore degli operai del Nord. Attuò una politica protezionistica a vantaggio dell’industria sempre del Nord e a danno dell’agricoltura del Sud, favorì inoltre l’emigrazione “perché voleva impedire l’aggravarsi della situazione interna”. Per conservare il potere ricorse a brogli elettorali e favoritismi che gli valsero l’epiteto di “ministro della malavita” da parte di Gaetano Salvemini. Nella politica estera il Giolitti si avvicinò alla Francia e riprese la politica coloniale occupando la Libia (1912). Due anni dopo scoppiò la Prima Guerra Mondiale (1914). Di fronte a questo conflitto il paese si divise tra interventisti e neutralisti; dopo molte discussioni l’anno successivo l’Italia entrò in guerra contro l’Austria. Benito Mussolini fu tra i fautori dell’intervento. Alla fine della guerra in Italia ebbe inizio un nuovo corso con il Fascismo. Durante questo periodo, l’11 Febbraio 1929 Mussolini e il Card. Gasparri firmarono i Patti Lateranensi. Con la firma di questo documento ebbe termine dopo 79 anni l’inimicizia tra lo Stato italiano e la Chiesa iniziata nel 1850, quando il governo piemontese approvò unilateralmente le leggi siccardiane contro la Chiesa. Nel 1936 fu conquistata l’Etiopia e il re Vittorio Emanuele III succeduto a Umberto I, assunse il titolo di “Imperatore d’Etiopia”. Intanto l’Italia si avvicinò alla Germania allontanandosi di nuovo dall’Inghilterra e dalla Francia. Nel 1939 fu conquistata l’Albania e il Savoia divenne “re di Albania”. Anche con il secondo conflitto mondiale (1939-1945) l’Italia entrò in guerra un anno dopo (1940) e si schierò con la Germania contro la Francia e l’Inghilterra, ma poi finì per allearsi di nuovo con i Francesi e gli Inglesi, abbandonando la Germania. Il 9 Maggio del 1946 Vittorio Emanuele abdicò in favore del figlio Umberto II che fu l’ultimo re: il 2 Giugno i Savoia dovettero lasciare definitivamente il trono in seguito al referendum istituzionale contrario alla monarchia. I Savoia furono dunque estromessi dopo essere stati a capo del regno per soli 86 anni. L’Italia fu da loro unificata contro la volontà popolare e contro la Chiesa. Fu unificata non con un movimento dal basso, cioè non con il consenso delle popolazioni, ma con un movimento imposto dall’alto da uno stuolo di Massoni. Costoro, capeggiati dal Regno di Sardegna dei Savoia, poterono realizzare il loro progetto solo con la violenza, l’inganno, la complicità di stati europei interessati e con anni e anni di lotte atroci, a danno soprattutto del Regno delle Due Sicilie e dello Stato Pontificio. Un’operazione così condotta non poteva non essere gravida di conseguenze negative fin dall’inizio, per cui a ragione si dovrebbe parlare non semplicemente di Unità, ma di Mala Unità. Quali dunque i ‘frutti’ di questa Mala Unità? Sono tanti e talmente gravi che ancora oggi se ne ‘godono’ gli effetti. Tra i ‘maggiori’, una serie di anomalie divenute ordinari sistemi di vita nella nostra povera Italia: la corruzione, l’illegalità e l’opportunismo, gli sprechi, l’anticlericalismo, la criminalità organizzata, l’emigrazione, la ‘damnatio memoriae’.
La corruzione, l’illegalità e l’opportunismo
In queste ‘materie’ modello forse insuperabile fu il Cavour. Egli fece della corruzione e della illegalità il suo metodo di lavoro grazie al quale riuscì a rimanere a galla per lungo tempo. Il suo famigerato ‘connubio’, la corruzione nella politica, fece scuola, i seguaci infatti furono molti. Politici e non politici suoi contemporanei, amici o nemici, provarono disgusto per il suo modo ignobile di operare. Morì a 51 anni quasi improvvisamente, la sua morte prematura e poco chiara diede adito a varie ipotesi. Corse anche voce che fosse stato avvelenato dalla sua stessa amante Bianca Ronzani su richiesta del suo amico, Napoleone III, stanco dei suoi giochetti perversi. Oltre che uomo politico egli fu imprenditore e approfittò della sua posizione per ottenere l’approvazione di leggi a suo favore, mentre come produttore di riso violò ripetutamente quelle leggi che tendevano a tutelare la salute dei lavoratori. La coltivazione del riso era infatti causa di malattie, tanto che in passato, per limitare i danni, si era cercato di ridurne la superficie coltivata. Ma il Cavour infischiandosi della salute dei suoi dipendenti, fece approvare una legge che consentiva di estendere la coltivazione di questa pianta per assicurarsi più lauti guadagni. Forte della sua posizione, per raggiungere i suoi fini ricorse ripetutamente alla corruzione e per combattere i suoi avversari si servì anche della Magistratura. Il Cavour fu un corruttore incallito e violò ripetutamente le leggi, come avevano già fatto i suoi predecessori. Fin dalla nascita infatti la Costituzione concessa da Carlo Alberto fu sistematicamente ignorata dalla classe benestante e dai politici che pure si vantavano di essere gli artefici di uno stato liberale garantito dalla legge. In sostanza gli obblighi prescritti dalla Costituzione valevano solo per gli ‘altri’, per la gente ‘comune’, mentre costoro continuarono ad agire secondo i propri capricci, violando deliberatamente proprio quelle leggi che erano state da loro stessi approvate. Questo modo sleale di operare divenne spesso una consuetudine, non solo per tutta la durata dello statuto albertino, cioè fino al 1946, ma non di rado anche dopo con la nuova costituzione repubblicana. Fin dai primi anni di vita dell’Italia unita vennero commessi molti abusi, anche gravissimi, come quelli che causarono i primi grandi scandali, ossia quelli delle Ferrovie Meridionali, delle Regie Tabaccherie e della Banca Romana. Molti atti illegali rimasti impuniti dimostrarono che la legge si poteva violare senza conseguenze: essa non valeva sempre e non era uguale per tutti. In questo campo il Risorgimento lasciò la sua impronta: la prima costituzione cinicamente calpestata divenne nei fatti un comodo espediente per arricchirsi e per acquisire maggior potere. Grande emulo di Cavour fu Vittorio Emanuele, il ‘re travicello’ del Giusti, ma entrambi ebbero diversi imitatori. Tra i più noti Agostino Depretis, famoso per il suo trasformismo e Giovanni Giolitti, il ministro della malavita. Quanto all’opportunismo, singolare se non demenziale fu il comportamento dei governanti italiani in fatto di alleanze. Durante il Risorgimento, loro alleati di ferro contro l’Austria furono la Francia e l’Inghilterra, ma nel 1882 rovesciarono l’alleanza: si schierarono con l’Austria e la Germania contro l’Inghilterra e la Francia. Con la Prima Guerra Mondiale l’Italia ritornò a combattere insieme con la Francia contro l’Austria e la Germania, con la Seconda Guerra Mondiale si alleò invece con la Germania contro Francia e Inghilterra. Poi, mentre la guerra era in corso, passò ‘tranquillamente’ di nuovo con i Francesi e gli Inglesi, abbandonando di punto in bianco la Germania. Questo voltafaccia improvviso provocò la reazione dei Tedeschi che si vendicarono con pesanti ritorsioni. Tutti questi ‘buoni’ esempi furono largamente seguiti. Oggi illegalità, corruzione e opportunismo in Italia sono talmente diffusi che fanno parte della ‘normale’ vita di tutti i giorni. È la nostra ‘Italietta’ partorita dai ‘patrioti’ e dai ‘padri’ risorgimentali.
Gli sprechi
Chi ha responsabilità di governo e opera per soddisfare soprattutto la sua sete di potere e di ricchezza trascurando i bisogni della popolazione, commette chiaramente degli abusi. I Savoia appartennero a pieno titolo a questa categoria sin dai tempi più antichi. Essi infatti ebbero scarsa considerazione per i loro sudditi e li sottoposero a frequenti spremiture fonti di miseria e sofferenze. Loro ardente desiderio era diventare più potenti e ingrandire quel piccolo territorio che avevano avuto in dono dall’imperatore Corrado il Salico. Alla fine del sec. X Umberto Biancamano, capostipite dei Savoia, ricevette infatti da Corrado la Moriana un territorio prevalentemente montuoso a ridosso del Piemonte. Rimanere appollaiati a lungo su quei cocuzzoli alpini freddi e disagevoli era impossibile, quelle terre erano anche povere e poco utili. Da allora fu un continuo guerreggiare alla ricerca di terre migliori. Non potendo avanzare verso la pianura occidentale per la presenza della monarchia francese, i Savoia cercarono di espandersi verso oriente, la zona pianeggiante dell’Italia Settentrionale divenuta appetibile, perché nel corso degli anni era andata frantumandosi in una miriade di staterelli deboli e in continua lotta tra loro: era l’epoca dei Comuni, poi delle Signorie e dei Principati. Poiché le loro mire li portavano a guardare verso sud-est, nel 1559 i Savoia trasferirono la capitale da Chambéry a Torino. Dopo molti anni, nel 1713 (pace di Utrecht), Vittorio Amedeo II ebbe per la prima volta il titolo di re. Con la Restaurazione del 1815, tramontata l’era napoleonica, essi poterono rientrare in possesso del Regno di Sardegna e ottenere Genova. Durante il Risorgimento dovettero contrarre molti debiti per continuare a ‘giocare’ alla guerra con l’intento di ingrandire il loro regno. Poterono così acquisire altri territori, ma non per merito dei loro eserciti che erano poco efficienti. In queste acquisizioni furono infatti favoriti dalle circostanze fortunose che essi accompagnarono con il ricorso spregiudicato all’inganno, alla corruzione e alla violenza. Dopo la clamorosa sconfitta del 1849 ad opera degli Austriaci, nel 1859 ottennero la Lombardia in dono dai Francesi e ‘conquistarono’ il Regno delle Due Sicilie in modo spregevole, perché oltre ad una corruzione capillare dovettero ricorrere a leggi eccezionali, all’impiego di quasi la metà dell’esercito, della guardia nazionale e a più di dieci anni di feroce guerra civile. Ottennero poi il Veneto come dono della Prussia vittoriosa, perché sia il loro esercito, sia ...
Table of contents
- Prefazione
- Premessa
- I. Il Regno delle Due Sicilie e Vittorio Emanuele II
- II. L’Italia nel 1860 e Giuseppe Garibaldi
- III. Bugie, bugie, ancora bugie!
- IV. I buoni e i cattivi
- V. I moti del 1820 nel Napoletano e a Palermo
- VI. I moti del 1821 in Piemonte
- VII. I moti del 1831 e Giuseppe Mazzini
- VIII. I moti mazziniani 1832-1845
- IX. Riforme e Costituzioni 1846-1848
- X. Inizia la babele!
- XI. Re Tentenna e la sua ‘quarantottata’
- XII. In piena babele, ovvero il Quarantotto!
- XIII. Fine della babele (prima parte)
- XIV. Fine della babele (seconda parte)
- XV. Ma quale unità… ognuno per sé!
- XVI. Una mente diabolica: Camillo Cavour
- XVII. Dieci anni di macchinazioni (prima parte)
- XVIII. Dieci anni di macchinazioni (seconda parte)
- XIX. Dieci anni di macchinazioni (terza parte)
- XX. 1859-1860: la guerra e l’assurda farsa dei plebisciti
- XXI. Ma chi erano i Borbone?... e i Savoia?
- XXII. Il Sud, la parte più ricca d’Italia
- XXIII. Mille straccioni alla ‘conquista’ del Sud
- XXIV. Come Gallobardo & C. congiurarono contro il Sud
- XXV. Nino Bixio, la ‘belva’ di Bronte
- XXVI. È guerra civile: il Sud non vuole l’unione con il Nord!
- XXVII. È guerra civile: il Sud nei lager del Nord!
- XXVIII. È guerra civile: il Sud nel caos totale!
- XXIX. Il Sud esplode!
- XXX. Il Sud in fiamme! (prima parte)
- XXXI. Il Sud in fiamme! (seconda parte)
- XXXII. Al Sud il terrore del Nord!
- XXXIII. Al Sud “l’arte del boia”! (Prima parte)
- XXXIV. Al sud “l’arte del boia”! (seconda parte)
- XXXV. Al Sud i barbari del XIX secolo!
- XXXVI. Al Sud fiumi di sangue!
- XXXVII: Il Sud rapinato… vilipeso… distrutto…! (prima parte)
- XXXVIII. Il Sud rapinato… vilipeso… distrutto…! (seconda parte)
- XXXIX. Il Sud rapinato… vilipeso… distrutto…! (terza parte)
- XL. Il Sud, bottino degli “avvoltoi liberali liberatori”!
- Quali i ‘frutti’ della Mala Unità?