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Una vita
About this book
Alfonso Nitti, giovane intellettuale con aspirazioni letterarie, lascia il paese natale, dove vive con la madre, e si trasferisce a Trieste, trovando un avvilente impiego come bancario. La vita trascorre monotona per Alfonso, fino al giorno in cui conosce Annetta Maller, anch'essa appassionata di letteratura...
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Information
XVI
Nell’agitazione degli ultimi giorni aveva del tutto dimenticato che il suo viaggio non gli apportava soltanto il piacere di sfuggire i luoghi odiati ma anche la felicità di rivedere il suo paesello.
Lo evocò dinanzi alla mente e fu subito liberato da ogni amarezza. Si sentiva una gioia purissima all’idea del piacere inaspettato che apportava alla madre.
Il villaggio era un gruppo di case gettato là in un cantuccio dell’immensa e verde vallata attraversata diagonalmente dalla ferrovia. La stazione giaceva a un tiro di schioppo dal villaggio. Era un casotto da cantoniere elevato alla dignità di stazione in seguito alla domanda fattane dal deputato della regione. Prima si doveva lasciare la ferrovia alla stazione precedente e andare al villaggio in carretta. — Povera ma gente felice! — pensò Alfonso rammentandosi del gaudio che era regnato nel villaggio allorché ottenne la sua stazione. E la bella via che avevano costruito per congiungere la nuova stazione al villaggio! Diritta come sulla carta e larga che ci potevano correre simultaneamente tre carri.
La casa dei Nitti essendo lontana dalla stazione quanto il villaggio stesso, il padre di Alfonso per giungervi aveva voluto avere anche lui una via più breve che quella oltre il villaggio, e a questo scopo aveva fatto migliorare un viottolo già esistente che andava oltre ai campi dalla sua casa e che si ricongiungeva circa a mezza via alla strada comunale. A quanto Alfonso se ne rammentava, suo padre era stato uomo che aveva dovuto aver vissuto anche in centri popolati; eppure anche lui con quanta semplicità si compiacque che quel viottolo venisse denominato nel villaggio: «Via Nitti».
Alfonso voleva ricordarsi dell’esistenza di quel viottolo che doveva ora condurlo più presto fra le braccia di sua madre.
Dinanzi al casotto, appoggiato ad un grosso bastone, assisteva al passaggio del treno il notaio Mascotti. Era vestito con una giubba di velluto nero, pantaloni chiari e stivali altissimi. Tozzo e grosso ma alquanto curvo dall’età, una faccia abbrunata dal sole circondata da una barba corta grigia, era una figura da soldato ma da soldato in ritiro.
— Già qui? — chiese sorpreso ad Alfonso.
Alfonso altrettanto sorpreso di rimando chiese: — Ella mi attendeva?
— No! no! — fece il notaio portando lentamente l’indice alle radici del naso che fregò fino all’altezza dell’occhio. Alfonso comprese dal gesto, ch’egli ricordava, che il notaio rifletteva intensamente. Con naturalezza che ingannò anche Alfonso aggiunse: — Mi sorprende di vederla, ecco tutto! Non l’attendevo.
Scesero dall’argine sulla strada passando accanto al casotto abitato dal cantoniere e dalla sua famiglia, la moglie e due figliuoli seminudi che guardavano con tanto d’occhi Alfonso come se fosse piovuto dal cielo. Dei due fanciulli, uno di sei anni vestito di una camicia e di calzoni che gli arrivavano al ginocchio, teneva in braccio l’altro di due al massimo, vestito della sola camicia fermata a mezzo il corpo da una fascia da cui pendeva un altro camiciotto. Un miscuglio di membra magre e brune perché anche quello che ancora non sapeva camminare da sé aveva la pelle annerita dal sole.
Alfonso non comprese subito quanto strano fosse il contegno di Mascotti, perché, tutto inteso a gustare le prime sensazioni che si attendeva dal rivedere il villaggio, non trovava il tempo di osservarlo.
L’autunno aveva già spogliata la valle e così nuda tradiva la vicinanza della regione dei sassi. La campagna non aveva il colore bruno della terra fertile, umida, ma era sbiancata dalla presenza della pietra bianca che pochi chilometri più in giù o anche più in su signoreggiava. Nei campi più vicini si vedevano i piccoli sassi misti alla terra, v’erano lasciati acciocché il vento boreale che anche qui infuriava non spazzasse via la terra libera; qualche masso maggiore era piantato solidamente e interrompeva la regolarità del solco o impediva nel suo sviluppo qualche albero che rimaneva gracile e con la corona povera.
Le case del villaggio, nella nebbia leggera che copriva la valle, erano appena appena visibili; visibile invece come una striscia lucida la via larga sulla quale doveva poggiare la casa dei Nitti e che senza mutare direzione diveniva la via principale del villaggio. Il paesaggio non gli dava alcuna sorpresa; se ne era rammentato nei minimi particolari. Di là dal villaggio vedeva biancheggiare la punta del colle di sassi, una cupola regolare senza case e senza vegetazione, alla sua destra un piccolo bosco di pini giovani piantato per lottare con una plaga di sassi. Ma dacché egli era partito il boschetto aveva fatto pochi progressi.
Ebbe una sola sorpresa. Aveva creduto che la sua casa si trovasse più vicina al villaggio; nel suo desiderio che la madre fosse meno lontana dall’abitato, aveva spostata la casa e la cercò ove non c’era. Giaceva proprio molto lontana, perduta in mezzo ai campi, sola, mentre il vecchio Nitti aveva sperato ch’essendo da quella parte la zona più fertile della valle ben presto sarebbe stata più abitata.
Alfonso accelerava impaziente il passo. Vedeva ora un lato della casa, rosso di terra cotta. La facciata era volta verso il villaggio ed era l’unico lato che avesse delle finestre meritevoli di tale nome; la postica aveva due buchi praticati dal vecchio medico in persona per agevolare il giro dell’aria. Arrivò al viottolo che portava direttamente alla casa. Doveva esser poco frequentato perché per brevi intervalli si confondeva nei campi e mai se ne staccava distintamente.
Mascotti, che aveva lungamente taciuto, dopo aver atteso invano di essere interrogato, parlò per primo:
— Badi che ho sessantacinque anni e che se corre tanto non potrò giungere, come voglio, a casa sua con lei! — Si appoggiò ad un albero per riposare. Poi con aspetto indifferente e tutto occupato a guardarsi il cappellone di felpa bianco che s’era levato di testa, disse: — Sua madre non sta del tutto bene!
Alfonso lo guardò attentamente e titubante. L’aspetto indifferente di Mascotti era sincero? Commosso chiese:
— Che cosa ha?
— Un difettuccio al cuore, non batte regolarmente, a quanto ne dice il medico, — rispose Mascotti che credeva di aver trovato la forma più mite per definire la grave malattia.
— Ella mi attendeva alla stazione; mi hanno mandato un telegramma? — chiese Alfonso che si rammentò della prima sorpresa di Mascotti al vederlo.
— Sì, ma grazie al cielo...
Alfonso non stette a udire che il sì:
— Ci rivedremo a casa, — e, col baule in una mano, il bastone nell’altra, si mise a correre non badando più a Mascotti che lo seguì per un tratto gridando qualche parola ch’egli non intese.
La notizia inaspettata gli aveva fatto battere rapidamente il cuore. Doveva essere ben grave se erano stati costretti a richiamarlo con tanta premura. Fu ben presto stanco dalla corsa e dall’emozione, ma continuò a correre sembrandogli che qualche parte della vita della madre dipendesse dall’esito di questo suo sforzo.
E correndo gli si rizzarono i capelli sulla testa pensando che forse egli correva ad abbracciare un cadavere; non poteva essere che fosse questo l’annuncio che Mascotti aveva voluto dargli gridandogli dietro?
Oh! egli da molto tempo l’aveva dimenticata quella povera donna che moriva. Erano tre settimane ch’ella non gli aveva scritto e lui tutto intento intorno alle gonnelle di Annetta non se n’era neppure accorto. Non avrebbe dovuto comprendere che solo un grave impedimento poteva averle fatto interromper l’invio di solito tanto regolare delle sue letterine?
Era giunto finalmente nell’orto dinanzi alla casa. Una vecchia alta e robusta vi raccoglieva delle ortaglie.
— Che cosa comanda? — gli chiese rizzandosi in tutta la sua lunghezza.
Era una faccia a lui del tutto nuova. La pelle di questo volto, che solo per la mancanza di peli si riconosceva appartenere a donna, era incartapecorita dal sole e tutta l’espressione della faccia si concentrava nei due occhietti neri, vivaci, da sorcio, inquadrati in quel legno.
— Come sta mia madre? — chiese Alfonso impaziente.
— Oh! il signor Alfonso! Ha fatto bene a venire, — disse con lentezza la vecchia, e venne a lui. — La signora, dice il signor dottore, sta meglio.
Stava meglio quando egli la credeva morta! Ad ogni modo gli veniva accordato il tempo per baciarla e dimostrarle l’affetto immenso che gli gonfiava il cuore. Il caso lo trattava meglio di quanto egli meritasse.
— Entri! entri! — gli disse la vecchia che guardava con desiderio le sue ortaglie.
Egli non volle e la invitò ad andare essa la prima a preparare l’ammalata. Poi, vedendo ch’ella indugiava, le spiegò che doveva avvertire dapprima che c’era qualcuno, poi qualcuno che l’avrebbe grandemente sorpresa di rivedere, infine qualcuno che le sarebbe stato caro di rivedere, suo figlio.
Entrò con lei in casa. Le due uniche stanze che i Nitti avessero abitato nella casa relativamente vasta erano situate al pianterreno. Erano le uniche due che avessero luce a sufficienza e vano era stato il tentativo del defunto dottore di abituarsi ad una terza per servirsene di stanza di studio. Mancava di luce ed era troppo grande perché il vecchio medico co’ suoi pochi mobili e la miserabile biblioteca non vi si sentisse troppo solo; la stanza rimase destinata a biblioteca, ma il dottore non studiò più nulla.
La stanza posta immediatamente all’entrata era vuota con un solo letticciuolo in un canto, mentre quando Alfonso l’aveva abitata era stata fornita di tutto quanto si poteva nelle condizioni della famiglia Nitti. Alle mura erano stati appesi i pochi quadri che la famigliuola possedeva e molte riproduzioni di quadri celebri, parecchi di Orazio Vernet, cammelli dai corpi enormi e fisonomie tranquille, pazienti, bestie più simpatiche degli uomini che li conducevano.
Nell’altra stanza avevano abitato i coniugi Nitti. Era ripiena di vecchi mobili enormi di legno semplice che stavano bene in quello stanzone e lo rendevano abitabile. Fra le due finestre v’era u...
Table of contents
- I
- II
- III
- IV
- V
- VI
- VII
- VIII
- IX
- X
- XI
- XII
- XIII
- XIV
- XV
- XVI
- XVII
- XVIII
- XIX
- XX
