Cartolina dal Fronte
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Cartolina dal Fronte

Storia di uomini e trincee

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Cartolina dal Fronte

Storia di uomini e trincee

About this book

La belva umana era lì in agguato, e la belva umana aveva deciso già da tempo: la forza come strumento di potere; il potere come mezzo per affermare le proprie idee ed imporre agli altri una volontà non sempre condivisa.
Chi non possiede memoria storica non ha un passato, e chi non ha un passato non ha una storia tutta sua da raccontare.

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Information

Cartolina dal fronte
Soldati!
A voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui termini sacri che la natura pose a baluardo della Patria nostra. A voi la gloria, a voi l’onore, a voi l’impegno di compiere, finalmente, l’opera che con tanto di eroismo fu iniziata dai vostri padri…
Addì 24 maggio 1915
Vittorio Emanuele III di Savoia
Re d’Italia
Osvaldo Di Perna non giocava a pallone da una vita. L’ultima volta che lo aveva fatto era stato nel corso del torneo Cadetti per lo Sport, presso il campo di Don Guanella, che Mons. Giuseppe Carnevale metteva a disposizione dei contendenti su richiesta insindacabile della Federazione locale del Fascio. La squadra prima classificata, con il fregio ed il gagliardetto della vittoria appuntati sulla maglia all’altezza dei pettorali, sarebbe stata iscritta di diritto alle selezioni regionali delle Società Sportive Italiane (federate FASCI), ed eventualmente alla finale nazionale del torneo che si sarebbe disputata presso il nuovo stadio Testaccio di Roma alla presenza dell’Eccellentissimo Cavaliere Benito Mussolini che – come di bocca sua aveva promesso – sarebbe sceso in campo per dare due calci al pallone.
La compagine del San Carlo Borromeo del rione la Piaja, che Osvaldo Di Perna allenava con professionalità da oltre due anni, e nella quale spesso giocava da terzino sinistro – alle brutte da mediano di spinta se mancava Giuseppe Magliozzi – malgrado un sofferto quattro a tre mantenuto fino alla metà del novantesimo minuto, riuscì a perdere l’incontro sol perché quel bischero del portiere avversario, con due polpacciotti appena affioranti da un mutandone sfilacciato lungo le cuciture laterali, era riuscito a fottere tutti quanti con una prodezza insperata. Ed infatti, immediatamente prima del fischio conclusivo che ormai tutti si aspettavano da un momento all’altro, che fece quel fetente?
Lasciò la rete sguarnita,
avanzò palla al piede verso il centro del campo,
e dopo aver alzato lo sguardo per regolarsi sulla posizione occupata dagli avversari tra lui e la porta, rifilò una di quelle sventole madornali da cogliere tutti di sorpresa. E ancor di più il portiere Raffelino Montella – il Bruno Clementi della situazione – che convinto di avere in tasca partita e torneo si era portato al limite dell’area di rigore per salutare la tifoseria assiepata a bordo campo.
La palla attraversò la metà dell’area avversaria, scavalcò le barriere difensive vistosamente allentate, e con Raffelino “Clementi” Montella troppo avanzato rispetto alla posizione abituale, si insaccò inesorabilmente nella rete alle sue spalle dopo essere rimbalzata lemme lemme sulla linea di demarcazione tra i due pali. Quattro a quattro, quindi, e palla al centro.
La partita era stata rimessa in gioco all’improvviso, e per quanto la superiorità tecnico atletica dal San Carlo Borromeo fosse riconosciuta un po’ da tutti in paese – perfino dai Santi e dalle Madonne venerati nelle chiese e nelle sagrestie dei vari quartieri – furono gli altri ad aggiudicarsi la gara, i Villani di Piazza delle Sirene, che con un risultato tondo ed inappellabile gettarono benzina sul fuoco innescando dispute e scazzottate che continuarono nei rispettivi rioni per tutta la notte.
Un otto a sette memorabile, difficile da digerire per come ottenuto, e – beffa nella beffa – con il rigore conclusivo messo a segno ancora una volta da quel rompi coglioni del portiere, che ebbe la sfrontatezza di spiazzare il divino Clementi piazzandogli il pallone in mezzo alle gambe.
Località: Gaeta.
Anno di grazia: 1929.
Nel corso del decennio successivo, con Vittorio Pozzo alla guida tecnica della nazionale di calcio, l’Italia vinse due titoli mondiali consecutivi, nel ’34 e nel ’38, dimostrando ai detrattori di tutto il mondo che la politica mussoliniana in fatto di sport, (mens sana in corpore sano) stava mietendo ottimi risultati.
Nessuno mai avrebbe immaginato il finimondo che sarebbe accaduto da lì a poco. Una tempesta perfetta, un putiferio madornale alimentato da venti turbinosi, bufere razziali, voglia di potere a tutti i costi. Una tempesta di proclami e bandiere al vento; una tempesta di minacce ed adunate militari; una tempesta di bombe, proiettili ed ordigni di ogni genere, che seccarono l’erba di tutti i continenti col sangue dei milioni di caduti lasciati a marcire sui fronti di mare, di terra e di cielo. Un’aberrazione sconsiderata.
La fine di qualche cosa?
L’inizio di una nuova era, magari di pace?
Nient’affatto.
La pace non è nutrimento per questo mondo, la pace è l’immobilismo che suggella qualcosa di già avvenuto, dopo di ché ci si annoia.
In guerra,
invece,
non ci si annoia mai.
La guerra è il fuoco acceso; la guerra è il motore scoppiettante che trascina gli interessi di una società avida e prepotente che fonda le sue leggi sulla supremazia, l’arroganza più becera, il potere ad ogni costo. La guerra è un motore che sputa veleno, che espettora il suo alito inquinante spacciandolo per innovazione tecnologica, per progresso, per cambiamento costruttivo.
La guerra è lo strumento più efficace a cui ricorre la casta dominante per preservare i privilegi acquisiti dall’arrivo dei nuovi predoni. Ed ecco la guerra, la confusione più totale, la destabilizzazione che viene mascherata con abiti di pace.
Invece è guerra.
Tre lustri prima (1915).
La linea del terzo fronte alpino correva lungo il profilo più a nord del col di Lana, tra le Dolomiti di Sesto e la valle del Sarco. Da questa parte a ranghi compatti il glorioso battaglione del Cadore, dall’alta i crucchi e le teste ramate degli austro-ungarici che il maresciallo Zabronskj aveva addestrato, nelle fredde pianure magiare, all’uso della baionetta nei combattimenti che prevedevano il corpo a corpo col nemico.
La strategia che il capo di stato maggiore generale Cadorna aveva prospettato agli ufficiali più alti in grado, in presenza di Vittorio Emanuele III di Savoia tutto impettito nella sua bella uniforme militare, prevedeva due interventi alquanto diversificati.
Un intervento difensivistico per contenere gli austro-ungarici intorno alla città di Trento, aveva fatto sfoggiando sicurezza ed una certa borìa. Una seconda iniziativa sul fronte dell’Adige, e poi più ad est verso il fiume Isonzo, per occupare Gorizia e tenerla stretta fino a conquista ultimata. Infine, con una buona dose di ottimismo e un pizzico di audacia in più – si rivolse questa volta a Sua Maestà Reale, comandante in primis di tutte le forze armate – ci spingeremo fin verso Vienna per concludere la campagna di guerra nel trionfo più assoluto”. Un gioco di alta strategia militare stando ai dati forniti dal generale Cadorna; una sorta di azione lampo sul fronte nord orientale, viste le condizioni degli austro-ungarici che impegnati sui diversi fronti ...

Table of contents

  1. Prologo
  2. Cartolina dal fronte
  3. Sfogliando le pagine dell’album
  4. Prime d’accumenzà
  5. La cartulline dagliu fronte
  6. Epilogo
  7. Piccolo dizionario dei termini e delle frasi più ricorrenti citate nel racconto