Garibaldi: il Massone dei Due Mondi
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Garibaldi: il Massone dei Due Mondi

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Il mito risorgimentale e l'unità d'Italia hanno da sempre in GiuseppeGaribaldiuno dei suoi protagonisti più esaltanti. Ma chi era realmente "l'Eroe dei Due Mondi"? Idealista senza macchia e coraggioso patriota, oppure bandito al soldo della massoneria e della grande finanza? In Garibaldi: il Massone dei Due Mondi emerge il ritratto di una figura storica ben più complessa dell'eroe senza macchia creata ad arte dalla fanfara postunitaria. Un testo documentato e corredato da numerose stampe dell'epoca, alcune rarissime, che contribuisce ad aggiungere un altro tassello al mosaico di verità contrastate che sono alla base del paese Italia.

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Information

Capitolo quarto
4.1 L’assedio di Gaeta e la brigantessa veneta
Carla alloggiò in un albergo all’interno della fortezza. Mai avrebbe immaginato di trovarsi di lì a poco a vivere le pagine più tristi della storia d’Italia e del Sud.
L’assedio cominciò di fatto l’11 novembre del 1861, quando i piemontesi azionarono i loro cannoni. Nessun morto: i soldati si divertivano a raccogliere palle inesplose. Ma un’esplosione improvvisa ne ammazzò quattro e la fortezza rispose con una decina di granate1.
Carla poté vedere con i suoi occhi i tradimenti degli ufficiali borbonici. Un altro re li avrebbe fatti fucilare. Il generale Barbalonga diede subito le dimissioni; poi i generali Colonna, fedelissimo di S.M.; Salsano, governatore di Capua, poi generale di corpo di Armata; il Colonnello Pianell che comandava il 15° Battaglione al di là della prima linea e fece abbassare le armi davanti ai piemontesi. Tutti comprati da Cialdini.
Avrebbero meritato la fucilazione. Come l’avrebbe meritata il generale Landi dopo la ritirata nella battaglia di Calatafimi, nello stupore dei soldati duosiciliani.
La squadra di Garibaldi, nel porto di Montevideo, il 10 novembre 1844.
Si era venduto alla Massoneria, Landi. L’accaduto è stato scritto dai giornali francesi2. Dopo la spedizione, un suo servitore si presentò a Napoli al Banco di Santo Spirito per farsi pagare una polizza di quattordicimila ducati. Il cassiere l’esaminò e disse: «Non vi pago se non viene di persona il vostro padrone». Il Landi si recò al Banco, il cassiere gli domandò dove avesse preso quella polizza e il generale risponde che egli non aveva nessun diritto di domandarlo, che la polizza doveva pagarsi a vista; egli non doveva cercare altro. Il cassiere gli rispose secco: «O voi manifestate chi vi diede la polizza, o di qui non uscite che per balzare in carcere; imperocché la polizza è falsa». Allora il Landi, allibito, dichiarò che l’ebbe dalle mani di Garibaldi in Sicilia.
BATTAGLIA DI CALATAFIMI. Universalmente chiamata “battaglia” (neanche si trattasse di Waterloo, Bataclava, Fort Alamo o di Pittsburg) fu, in effetti, nulla più che un semplice “fatto d’armi”. Ma una simile definizione, ai tromboni risorgimental-sabaudi, andava troppo stretta; infatti il primo scontro tra Garibaldi e i Borbonici, terminato con la pseudo-vittoria garibaldina, doveva assurgere a grande vittoria perché la grancassa della vulgata potesse sfondare i timpani col suo clamore e iniziare a divulgare la favola dell’“invittissimo generale”.
Il traditore fu pagato con la moneta che meritava. Fu tanta l’ira e la vergogna del Landi che pochi giorni dopo morì di crepacuore.
Ecco come il Sud fu conquistato dai piemontesi. Tradimenti dei generali. Famoso è anche quello del generale Briganti in Calabria, inseguito dai soldati e impiccato dopo aver preparato la strada a Garibaldi.
Carla rimase interdetta. Cominciava a spiegarsi come un grande regno e un grande esercito avrebbero svenduto le Due Sicilie ai bastardi piemontesi.
Pianell era fratello del ministro della guerra a Napoli. Assieme a Liborio Romano e ad altri personaggi, tramava per il rovesciamento della Monarchia più illuminata d’Europa. I soldati si fanno uccidere o ferire, gli ufficiali mai.
Piemontesi e borbonici si accordarono per uno scambio di prigionieri. Nel castello di Gaeta vi erano 1.200 garibaldini, tra i quali il figlio del mercenario ungherese Stevan Tuur, sempre trattati non da pirati ma cristianamente, nello stesso modo dei soldati napoletani.
Il 13 novembre i piemontesi continuarono a lavorare per sistemare i cannoni rigati sulle colline che cingono la fortezza, mentre il governatore di Gaeta ordinò la chiusura dei caffè alle due ore di notte. Una bomba cadde nei pressi del convento dei cappuccini, uccidendo e ferendo una cinquantina di uomini tra i quali Emilio Savio, ufficiale piemontese.
Carla osservava l’efficienza dei soldati napoletani, il loro attaccamento al dovere. Il 15 novembre assistette a un avvenimento accaduto a Gaeta.
Il Comando della Fortezza avvertì che gli abitanti che volevano lasciare la città potevano farsi iscrivere alla segreteria comunale. Ma i gaetani erano abituati a difenderla da sempre. Quel giorno numerosi piemontesi feriti furono trasportati nella vicina Itri per le cure del caso. Tre ufficiali parlavano francese, come i loro amici piemontesi, e nessuno seppe se fossero francesi o piemontesi.
Un ufficiale spagnolo assicurò di aver visto trasportare più di duecento feriti piemontesi. I tiratori napoletani erano precisi: a Gaeta, la valle di Calegna veniva chiamata “valle della ghisa”, dato che le palle arrivavano fin là.
Mr. Harrington della Chesnaye aveva preso di mira una chiesa del borgo, ma Francesco II diede ordine di fermare il bombardamento pur sapendo che lì dentro stazionavano i piemontesi. Un contadino entrato in città riferì che era scoppiato un cannone rigato, al primo colpo, uccidendo e ferendo cinquantadue persone.
Carla Furlan assisteva incredula all’eroismo dei soldati e a volte, come fosse maschio, aiutava a trasportare le palle di cannone verso le batterie e le postazioni. Portava calzoni per non farsi notare e i suoi capelli castani erano nascosti da un cappello alla cacciatora ricevuto in dono dalla regina Sofia, che l’adorava per la sua versatilità e la sua cultura.
Spesso la chiamava per parlare di storia e lingua italiana, lei tedesca e Carla veneta.
Il 17 novembre Carla assistette alla partenza per Civitavecchia della Dahomè, vapore marsigliese; molti ufficiali approfittarono dell’occasione per mettersi al sicuro. I soldati, invece, restarono fedeli al loro re.
Intanto gli operai stavano rinforzando le batterie dei cannoni rigati. I piemontesi spesero 25 milioni di lire per l’assedio di Gaeta. In una nota del ministro degli esteri si ringraziavano non solo i ministri, ma anche i governi di cui essi erano interpreti: Francesco II conferì onorificenze al Nunzio Mons. Giannelli, al conte Szecheny ministro d’Austria, al principe Wolkonsky ministro di Russia, al conte Perponcher ministro di Prussia, al Conte di Loss ministro di Sassonia e al cavalier Frescobaldi incaricato di affari del Granducato di Toscana.
Il giorno 19 Cialdini chiese una tregua per dar tempo agli abitanti del borgo di rifugiarsi in luogo sicuro. Molti entrarono nella fortezza per difenderla; tra questi v’era Cosmo, un marinaio che era solito navigare sulle navi gaetane per trasportare olio in tutto il mondo.
Durante la notte il sottotenente Rieger, seguito da otto soldati svizzeri, uscì dalla fortezza per una ricognizione fino al Convento dei cappuccini. Il generale De Bosco arrivò con il battello delle Messaggerie Imperiali, al contrario dei felloni che avevano tradito il loro re.
Due casse d’oro arrivarono da Roma per riempire quelle vuote della Fortezza. Furono una vera manna dal cielo. I comitati borbonici nella capitale e il Papa si stavano attivando.
Intanto, al sud, si dava vita a corpi di volontari per la difesa del Regno. Nacquero 350 bande di volontari che i piemontesi chiamarono “Briganti”.
La regina Sofia, stupita dall’attivismo di Carla, la chiamò e le chiese di dove fosse.
«Di Venezia, Maestà» rispose lei. «Sono laureata a Padova e conosco la storia delle Due Sicilie e quella della famiglia con cui lei si è imparentata. Ha dato al mondo grandi leggi e grandi lavori. Noi in Veneto abbiamo una legislazione corretta, non vi sono ladri e corrotti, grazie alle leggi austriache. Non abbiamo governi massonici, abbiamo un re capace.»
«Come mai ti trovi a Gaeta, Carla?» incalzò la regina.
«Stavo facendo degli studi sul Regno della Due Sicilie. Ho visitato l’apparato industriale in Calabria, la meravigliosa fabbrica di Mongiana e le altre fabbriche calabresi, sono stata a Napoli ma non ho potuto vedere la città presidiata dai bersaglieri, né Pietrarsa, per me una novità.»
«Da domani» riprese la regina, «se ti va verrai con me nelle mie perlustrazioni presso le batterie. Ti ho vista caricare palle di cannone e trasportarle presso gli avamposti come un uomo. Ah! Ho notato qualcuno osservarti, ma non è un militare. È un volontario. A Gaeta è usanza che i cittadini aiutano i militari nella difesa della loro città. Lo fanno da sempre, fin da quando la città era autonoma, era repubblica marinara come Venezia. Una città sempre attiva, Gaeta, che ha avuto grandi naviganti e scrittori come Giovanni Caboto, scopritore del Canada, ed Enrico Tonti. Ma perché non mi parli di te?»
«Non ho niente di particolare da dirle, regina, se non la mia attività culturale all’università. Mio padre ha pensato a tutto, commercia e guadagna, grazie alle leggi austriache. Fino al 1797 eravamo liberi di intraprendere, poi Napoleone ha spento la nostra repubblica e che dio lo maledica in eterno. Era un dittatore. Anche Ugo Foscolo, giacobino, lo maledisse. Ma, maestà, solo per curiosità, chi è il volontario che mi segue? Non ho mai avuto corteggiatori a Padova, né a Venezia.»
La regina le rispose: «Sarai tu stessa ad accorgerti dei suoi sguardi, ha occhi strani. Una donna non può rimanere insensibile. Venezia ha accolto con freddezza mia sorella Sissi quando visitò la tua città, eppure l’Austria ha dato la massima libertà al Friuli-Venezia Giulia. Trieste ha il più grande porto del Mediterraneo grazie ai commerci instaurati con le industrie del centro Europa; pensa che con i Savoia sarebbe meglio?»
«Maestà, Venezia vorrebbe solo la vecchia Repubblica, non altro. I piemontesi stanno massacrando il Sud sotto il Regno della più nera delle monarchie d’Europa» rispose Carla. «Tutti i principi e le donne altolocate sono andate via, la regina Sofia è rimasta a difendere il suo regno e il re. Senza figli le è più facile consacrarsi unicamente ai doveri di sposa e di regina; solo le donne forti hanno carattere per salvare il loro onore e quello dell’uomo che hanno sposato.»
Da una settimana, l’Arcivescovo di Gaeta dormiva su un bastimento prussiano per paura delle bombe. Partì con il corpo diplomatico per Civitavecchia per poi andare a Roma. Abbandonò il suo gregge.
Il re fece distribuire la medaglia per i combattenti che erano sopravvissuti con i ...

Table of contents

  1. Prefazione
  2. Premessa
  3. Capitolo primo
  4. Capitolo secondo
  5. Capitolo terzo
  6. Capitolo quarto
  7. Conclusione
  8. Bibliografia
  9. Appendice