Liberi di lavorare. Liberi dal bisogno
eBook - ePub

Liberi di lavorare. Liberi dal bisogno

Le libertà positive e quelle negative

  1. English
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Liberi di lavorare. Liberi dal bisogno

Le libertà positive e quelle negative

About this book

In un'epoca nella quale l'umanità - per molti versi - crede di aver raggiunto il massimo di libertà socio-politiche ci si accorge invece che per un numero ampio di persone le libertà fondamentali: la libertà di intraprendere (lavorare e fare impresa) e quella che libera dal bisogno (povertà ed esclusione sociale), sono ancora negate dalla mancanza di una reale riforma dello stato sociale. Di fronte a questo dato di fatto c'è da chiedersi quanto sia sostenibile lo stato sociale nato nei paesi avanzati nei primi decenni del secondo conflitto mondiale e fino a quando i maggiori paesi saranno in grado di sostenerlo. E qui si apre un conflitto finora non sanato: i sacrifici e i benefici dello stato sociale da chi devono essere usufruiti, da chi devono essere pagati e come.

Frequently asked questions

Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
  • Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
  • Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
Both plans are available with monthly, semester, or annual billing cycles.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access Liberi di lavorare. Liberi dal bisogno by Alberto Cavicchi in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Business & Business General. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

CAPITOLO 1. La sostenibilità dello stato sociale

Le due definizioni di sostenibilità
Dal punto di vista dell’analisi economica e sociale è necessario distinguere due tipi di sostenibilità dello stato sociale:
- l’economica;
- la politica.
Per comprendere al meglio queste due definizioni e valutarne la rilevanza per il nostro Paese è necessario porsi due domande che dovrebbero indirizzare i comportamenti dei nostri amministratori pubblici e dei nostri politici, i quali sono i veri artefici delle misure di politica economica inerente alla spesa per il finanziamento dello Stato sociale.
La sostenibilità economica
La sostenibilità economica è tale quando assicura l’equilibrio nella gestione delle risorse, ovvero quando esista un corretto bilanciamento tra costi e benefici, tra entrate e uscite e tra tasse prelevate al contribuente e spese effettuate per soddisfare i bisogni dei cittadini. Qualora ciò avvenga è presumibile che la decisione di politica economica assicuri la migliore allocazione delle risorse pubbliche, ovvero permetta di perseguire il miglior risultato possibile, comprimendo allo stesso tempo gli sprechi e le rendite monopolistiche. Qualora però la decisione assunta non sia nemmeno sostenibile economicamente dobbiamo concludere che lo stato sta distruggendo ricchezza, in quanto l’utilizzo delle risorse disponibili è errato.
La sostenibilità politica
La sostenibilità politica esiste se c’è un consenso sociale basato su regole etiche che influenzino la distribuzione di oneri e benefici. Perciò là dove s’intenda tenere conto e, quindi, risolvere le difficoltà intrinseche nei meccanismi delle scelte collettive non deve esistere collusione di gruppi rappresentanti interessi particolaristici. Diversamente, se le decisioni non sono ispirata a questi principi fondamentali del “contratto sociale” la politica non sarà in grado di rispondere ai bisogni delle parti più deboli della società (principio solidaristico) né tantomeno alle aspirazioni delle parti più generose e nobili della società (principio di equità).
È auspicabile che il sostegno al reddito sia offerto alle famiglie che ospitano inabili al lavoro, disoccupati temporanei o malati privi di assistenza sanitaria. Qualora però lo stato non abbia capacità di supporto politico cosa si può fare? Intanto è bene ricordare che la teoria economica sancisce un principio fondamentale: la diretta corrispondenza tra il consenso politico e l’equilibrata distribuzione di costi e benefici tra cittadini. Facciamo un esempio: lo stato può decidere di finanziare, con accise straordinarie sui carburanti, una missione di pace dei nostri militari all’estero richiamandosi al principio di utilizzazione razionale e parsimoniosa delle risorse finanziarie.
Orbene, mentre i cattivi amministratori pubblici non sono in grado di rispondere in modo convincente né alla sostenibilità economica né a quella politica, quelli capaci sono, invece, in grado di individuare tempestivamente e con chiarezza le soluzioni sostenibili economicamente e politicamente. In sintesi possiamo dire che, lo stato sociale è sostenibile fino a quando i cittadini lo sopportano.
Il punto fondamentale è tuttavia il saper riconoscere il punto critico del fallimento economico dello stato, oltrepassato il quale lo stato sociale non è più in grado di sostenersi economicamente, ovvero fino a quando il mercato si oppone al finanziamento di una situazione di grave inefficienza economica (crisi del debito sovrano). Per fare un esempio, potremmo dire che l’insostenibilità economica dello stato sociale ha la stessa dinamica prevista dal Codice Civile nei confronti di un imprenditore, il quale viene considerato insolvente quando sia acclarato che è in stato d’insolvenza, ovvero non più in grado di far fronte con regolarità ai propri obblighi verso terzi. Per lo stato questo punto critico viene raggiunto quando il bilancio pubblico, con il quale è finanziato lo stato sociale, non è più sostenibile.
La condizione di sostenibilità tecnica del bilancio pubblico, necessaria ad evitare l’aumento del rapporto debito/Pil, è garantita solo fino a quando il tasso d’interesse reale sul debito non supera il tasso di crescita dell’economia reale, aumentato del rapporto tra l’avanzo primario e la consistenza del debito pubblico. Ebbene questa condizione è stata (ed è) sistematicamente violata dall’Italia e ciò indica che il tasso di crescita della nostra economia è stato (ed è anche oggi) troppo basso per potersi permettere uno stato sociale adeguato ai bisogni, oppure, in alternativa, che il deficit corrente ha innalzato (e sta innalzano ulteriormente) i livelli dei tassi d’interesse rendendoli superiori ai livelli dell’economia reale. Dalle nostre previsioni emerge inoltre che questo trend proseguirà anche nei prossimi anni, rendendo sempre più improbabile la sostenibilità economica del bilancio dello stato.
Con una crescita economica praticamente nulla se non addirittura negativa è certo che crescerà ulteriormente il costo reale del debito, cioè quello dei tassi d’interesse, i quali, a loro volta, spingeranno in alto il rapporto debito/Pil. C’è un rimedio che possa rendere economicamente sostenibile il bilancio pubblico? Nonostante la complessità una soluzione esiste: intervenire - come hanno suggerito i governi dei paesi sviluppati e gli organismi monetari internazionali - sul lato della spesa (taglio delle uscite di parte corrente), anziché su quello delle entrate (aumento della pressione fiscale).
D’altronde, la ricerca economica ha già rilevato che, a parità di dimensione dell’intervento, in tutti i paesi industrializzati la riduzione della spesa pubblica è più efficace dell’aumento delle entrate. Del resto, inasprire il peso fiscale al fine di mantenere identica l’attuale spesa sociale per sanità e pensioni aumenterebbe l’inefficienza dello stato sociale, favorendo le rendite di posizione per pochi privilegiati e aumentando le spese a danno dell’intera collettività. Al fine di evitare questo esito nefasto è necessario dare impulso alla sostenibilità politica dello stato sociale, chiedendo alla politica di decidere su quali spese intervenire, in che misura e adottando quali principi etici.
Le anomalie dello stato sociale italiano
Che il sistema previdenziale pubblico italiano sia soggetto a squilibri, per effetto dell’invecchiamento della popolazione (fenomeno condiviso con altri paesi europei sviluppati) è fatto noto e consolidato che dà origine a effetti incontrollati i quali trasferiscono gli oneri sulle spalle delle generazioni future.
È altrettanto vero che - diversamente dagli altri paesi europei - il sistema italiano è fortemente carente sotto il duplice profilo dell’equità orizzontale (tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti) e di quella verticale (tra i livelli retributivi bassi e alti e fra le carriere lente e veloci). È noto pure che in Italia esiste un effetto negativo sull’efficienza economica complessiva causato dalla redistribuzione iniqua delle risorse tra lavoratori attivi (occupati) e inattivi (disoccupati e pensionati).
Questi esiti negativi hanno due cause:
- provocano un effetto imitazione (per esempio, la corsa ai prepensionamenti, che nel medio temine impoveriscono la qualità della forza lavoro e generano inflazione da costi);
- concentra il potere d’acquisto nelle mani di coloro che hanno uno stile di vita particolare (domanda sempre uguale nel tempo di panieri di beni e servizi a costi crescenti che genera inflazione da domanda).
Inoltre, gli effetti perversi del sistema pensionistico italiano sono individuabili in:
- un elevato grado di copertura della pensione rispetto alla retribuzione; motivo del soffocamento della crescita del sistema previdenziale integrativo privato che si riflette nell’inefficienza nei mercati finanziari e in più alti tassi d’interesse;
- un utilizzo improprio dello strumento previdenziale, utilizzato per finalità solidaristiche (il reddito pensionistico serve a garantire il reddito familiare, ovvero a funzionare da ammortizzatore sociale a difesa dei disoccupati temporanei, dei minori e delle ragazze-madri).
In entrambi i casi si crea inefficienza che, a sua volta, rende meno produttivo e competitivo nel tempo il sistema economico italiano, rendendolo più fragile di quello degli altri paesi europei. Per questo motivo è oggi difficile definire scenari di lungo periodo, soprattutto per quanto concerne l’evoluzione dell’economia e del sistema pensionistico italiani.
Al fine di giustificare questa nostra affermazione è bene concentrare l’attenzione su un esempio teoricamente estremizzato. Supponiamo di trovarci in un’economia nella quale non vi sia un sistema pensionistico. Presumiamo, quindi, che la popolazione sia tutta attiva (interamente occupata), che il tasso di crescita sia positivo e il sistema economico sia pienamente diversificato fra agricoltura industria e terziario. Se in questo contesto trovasse spazio un beneficio pensionistico, godibile a ogni età, generalizzato e pari al livello di sussistenza alimentare, potremmo avere uno spostamento di una parte della popolazione attiva (occupati) verso quella passiva (disoccupati e pensionati).
Come conseguenza avremmo che:
- il settore agro-alimentare assorbirebbe forza lavoro a costi crescenti, data la possibilità limitata di incrementare la produttività;
- il settore industriale regredirebbe per carenza di domanda (consideriamo per comodità che i pensionati acquistino solo beni alimentari).
A questo punto c’è da chiedersi quale sarebbe la situazione di equilibrio del sistema? Sarebbe quella nella quale una frazione residua di lavoratori produrrebbe il fabbisogno alimentare per tutta la popolazione attiva (occupati) e inattiva (disoccupati e pensionati). La frazione di lavoratori dipenderebbe ovviamente dalla produttività combinata della terra e di chi la lavora.
In ogni caso, il tasso di crescita dell’economia tenderà a zero, poiché il livello della produzione agro-alimentare rimarrà praticamente costante, in quanto i consumi delle persone resteranno invariati. Mentre il settore industriale scomparirà completamente. Quando poi anche tutta la terra disponibile sarà stata utilizzata anche il tasso complessivo dell’economia tenderà a zero, in quanto rimarrà solo il settore agricolo residuale.
Infine, qualora i lavoratori del settore alimentare fossero sindacalizzati sarebbe possibile attendersi un’inflazione continua generata dalla crescita salariale. La quale tenderebbe invano ad adeguare il potere d’acquisto dei lavoratori attivi rispetto a quelli inattivi. Infatti, in termini reali, il valore aggiunto, in quota costante, prodotto dai lavoratori sarebbe destinato quasi tutto a loro stessi, mentre una parte marginale andrebbe a sostenere gli inattivi.
Per quanto ipotetico l’esempio riportato in precedenza formula le tre principali anomalie prodotte dall’attuale legislazione pensionistica italiana:
- consentendo il pensionamento anticipato rispetto all’età anagraficamente genera - per effetto dell’aumento dei costi di produzione - un’inflazione superiore a quella media degli altri paesi europei sviluppati;
- ampliando la quota di inattivi - per effetto della riduzione del reddito disponibile e della domanda - deprime il tasso di crescita dell’economia rispetto alla media degli altri paesi europei sviluppati;
- spostando la domanda complessiva verso i beni e servizi primari, aumenta il potere monopolistico di chi produce, contrae la diversificazione competitiva, chiude alle esportazioni, diminuisce la spinta all’innovazione tecnologica e riduce il tasso di crescita della produttività, rispetto alla media dei paesi europei avanzati.
Come già accade da tempo in altri paesi europei sviluppati, l’Italia deve ripristinare le condizioni affinché lo stato sociale, oltreché strumento di equità redistributiva e solidaristica, divenga anche motore della crescita e dello sviluppo.

Lo stato sociale italiano
Gli scenari
La spesa per prestazioni sociali in Italia comprendente la previdenza, l’assistenza e la sanità supera il 20% del Pil e rappresenta più di un terzo dell’intera spesa pubblica. Questi dati sono variati nel tempo e si prevedono in ulteriore crescita nei prossimi anni. Le voci più importanti dello Stato sociale italiano sono:
- l’Istruzione;
- la Sanità;
- la Previdenza;
- l’Assistenza.
Il volume della spesa per lo stato sociale italiano è sostanzialmente in linea con quelli degli altri paesi europei, sebbene la nostra spesa pensionistica sia percentualmente più alta della media europea. Quel che cambia è la sua composizione. In certe nazioni il reddito previdenziale pubblico è minore di quello italiano, mentre sono maggiori le agevolazioni e la qualità dei servizi.
L’anticipazione pensionistica per gli insegnanti, il prepensionamento dei lavoratori dei settori industriali in declino, la politica sociale attraverso il basso canone degli affitti e il basso rendimento degli immobili abitativi di proprietà degli Enti pubblici sono da considerare provvedimenti previdenziali o assistenziali? Occorre, inoltre, tenere conto dell’imposizione fiscale sul reddito e, quindi, dell’intera struttura dell’intervento pubblico poiché, ad esempio, è assai originale che in Italia, rispetto ad altri paesi sviluppati, gravi sullo stato sociale il costo dell’organizzazione pubblica dell’istruzione scolastica.
Passando all’esame del settore previdenziale c’è da rilevare che la spesa pensionistica italiana è ancora più alta di quella degli altri maggiori paesi europei. Così come il tasso di dipendenza degli anziani sulla popolazione attiva (coloro che hanno superato i 65 anni in relazione a coloro che stanno nella fascia 15-65 anni)) è anch’esso superiore a quello medio europeo. Inoltre va sottolineato che in Italia il rapporto fra soggetti contributivi e soggetti beneficiari è il più basso tra i maggiori paesi sviluppati. Ciò significa che i pensionati italiani sugli attivi sono quasi il doppio di quanto si rileva nei maggiori paesi europei.
Inoltre l’aliquota di equilibrio (il tasso di contribuzione, inclusi i trasferimenti di bilancio, rapportato alla massa retributiva che consente di mantenere in costante equilibrio finanziario) è la più alta tra quelle dei paesi analizzati dal Fondo Monetario Internazionale. Ciò significa che il nostro cuneo previdenziale implicito sui redditi è di almeno un quinto superiore a quello dei maggiori paesi della UE.
Le simulazioni effettuate dalla nostra Ragioneria Generale e dal Fondo Monetario Internazionale (utilizzando scenari demografici differenti: maggiore o minore fertilità e mortalità e maggiore o minore flusso d’immigrazione) giungono alla conclusione che entro il 2050 la popolazione italiana si ridurrà dagli attuali 60 milioni di persone a meno di 50. Qualora questo fosse l’andamento demografico il nostro sistema previdenziale - a legislatura vigente - registrerebbe entro il 2045 una spesa pensionistica in rapporto al Pil di oltre il 20%. In questo scenario, il tasso di dipendenza degli anziani dai lavorativi attivi salirebbe, entro il 2050, al 60%, mentre il rapporto contributori/beneficiari scenderebbe allo 0,7, ovvero 1,4 pensionati per ogni lavoratore attivo. Ciò significa che per quella data gli anziani (superiori ai 65 anni) saranno più di 30 milioni. Questa ipotesi porterebbe a un radicale cambiamento strutturale della vita sociale, dell’organizzazione urbana, dei servizi sociali e dei bisogni dei cittadini.
Queste simulazioni contengono anche ipotesi di produttività esogena e crescente (la quale però non è stata ancora realizzata) e non è detto che si stabilizzi al 2,4-2,8% tra il 2045 e il 2050. Del resto, chi può dire ora se nel 2045 il 40% della popolazione attiva manterrà un ritmo di piena efficienza, con aumenti di produttività prossimi a quelli del boom economico degli anni Sessanta o se, invece, si attesterà sui ritmi di crescita della società dei servizi (post-industriale) degli anni Novanta.
Qualora analizzassimo meglio le proiezioni del Fondo Monetario Internazionale i risultati sarebbero ancor più preoccupanti. Tra il 2045 e il 2050 la spesa previdenziale italiana in rapporto al Pil potrebbe essere quasi doppia di quella tedesca, il 15% più alta di quella francese e il 90% di quella inglese. Inoltre negli altri maggiori paesi europei vi sarebbe una minore dipendenza degli anziani sui lavoratori attivi e un maggior rapporto contributori/beneficiari, visto che in questi paesi il trend demografico è più favorevole. Questi dati si riflettono sull’aliquota d’equilibrio, cioè su quella di contribuzione, la quale permetterebbe di raggiungere, in termini attuariali, l’equilibrio finanziario del sistema italiano sarebbe nel periodo 2045-2050 del 60%, mentre in Germania e Francia non supererebbe il 40% e in Inghilterra si attesterebbe attorno al 5%.
Osservando questi dati emergono chiaramente due fattori negativi:
- la portata dell’implicito effetto redistributivo fra generazioni - ancora presente nell’attuale legislazione italiana - rispetto agli altri paesi;
- lo stentato sviluppo in Italia dei fondi pensione integrativi.
Due altri dati vanno, inoltre, tenuti in considerazione:
- il rapporto pensione media/reddito pro-capite sta crescendo;
- il meccanismo previdenziale italiano, rispetto a quelli degli altri paesi europei, è più sensibile ai mutamenti dello scenario economico e istituzionale.
Riprendendo i dati del Fondo Monetario Internazionale rileviamo che per stabilizzare, nel 2050, il nostro sistema previdenziale (in presenza di una bassa crescita del Pil) lo stato dovrebbe richiedere maggiori risorse contributive, mentre Germania, Francia e Gran Bretagna ne abbisognerebbero di meno. In ogni caso, diversamente dall’Italia, nei maggiori paesi europei la diminuzione della crescita avrebbe conseguenze negative generalizzate e graverebbe perciò tanto sui lavoratori attivi che sui pensionati. C’è infine da rilevare che la rigidità relativa alle variazioni strutturali del nostro sistema pensionistico è rivelato dal fatto che quello italiano è meno sensibile (rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna) alle modifiche delle regole di indicizzazione dei prezzi al consumo e più sensibile all’innalzamento dell’età pensionabile.

C...

Table of contents

  1. Copertina
  2. LIBERI DI LAVORARE. LIBERI DAL BISOGNO
  3. Indice
  4. Intro
  5. SINOSSI
  6. INTRODUZIONE. La libertà di intraprendere e la libertà di vivere dignitosamente
  7. CAPITOLO 1. La sostenibilità dello stato sociale
  8. CAPITOLO 2. Dal sacrificio al beneficio
  9. CAPITOLO 3. Migliorare lo stato sociale nel rispetto di Maastricht
  10. CAPITOLO 4. Il mercato del lavoro in Italia
  11. CAPITOLO 5. Meno regole, più lavoro
  12. CAPITOLO 6. La tutela della salute
  13. CAPITOLO 7. La lotta alla povertà
  14. CAPITOLO 8. Stato sociale e no-profit
  15. BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
  16. Ringraziamenti