Sezione VII
Politiche pubbliche nazionali ed europee nel segno dell’inclusione e della sostenibilità: gli aiuti di Stato e il piano NextGenEU. Disciplina degli investimenti esteri diretti e settori strategici.
“Castello” Covid-19: i destini incrociati di aiuti di stato e concorrenza
Elisabetta Bani e Fabiana Di Porto
Sommario: 1. Premessa. – 2. La ratio originaria del divieto di aiuto. – 3. Il divieto di aiuti nel “Castello” delle crisi strutturali. – 4. Le ragioni di una riflessione comune. – 5. I “tasselli” europei. – 5.1. I “destini incrociati” dell’integrazione europea tra condizionalità degli aiuti e rule of law. – 6. La “Locanda”: o del livello interno. – 6.1. “Nuovi” alfieri? Golden power e impresa pubblica in proiezione europea. – 7. Il diritto antitrust e le ricadute sulla concorrenza sleale. – 8 Recovery Fund e Fondi di coesione. – 9. Epilogo: si può ancora parlare di divieto di aiuti di Stato?
1. Premessa
Il Piano Marshall sarebbe generalmente sovrastimato quanto ai suoi effetti economici sulla ricostruzione dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale: il pur ingente quantitativo di risorse messe a disposizione non giustificherebbe, secondo DeLong e Eichengreen, la velocità della ripartenza. I suoi effetti strutturali e di più lunga durata dipenderebbero da qualcosa di diverso dal solo ammontare: sarebbero le condizionalità, espresse o implicite, previste dagli Stati Uniti per procedere alla erogazione degli aiuti ad aver spinto i Paesi europei a superare le loro “mixed economies” in una direzione che le lasciò con più “market” e meno “controls”.
2. La ratio originaria del divieto di aiuto
Il Piano Marshall è certamente stato un elemento propulsore del processo che portò la CEE a inserire nelle sue regole di fondazione il divieto di erogare aiuti di Stato, ma probabilmente giocò un ruolo, in quei procedimenti inespressi che spesso sono parte dei fattori nella redazione di un nuovo testo normativo, anche la consapevolezza che l’aiuto di Stato è solo l’inizio di un percorso che, passando dalla creazione di “campioni nazionali”, porta al conflitto, non solo in campo economico, fra gli Stati. Giova rammentare che la creazione dei “campioni nazionali” è un concetto in sé profondamente diverso da quello esposto in una controversa recente tesi sul ruolo dello Stato come motore del progresso tecnologico, poi capitalizzato da imprese private, ancorché l’area rimanga la medesima, ossia la discussione sul ruolo dello Stato che mette, in parte, le immense risorse pubbliche a disposizione di imprese che poi, sviluppatesi, trattengono i benefici.
Il tema de gli aiuti di Stato si intreccia necessariamente con quelli dello Stato imprenditore e delle imprese di Stato: la stessa esistenza di una impresa di Stato lascia credere che non solo il suo approvvigionamento di fattori produttivi possa non avvenire alle medesime condizioni di prezzo e contrattuali che valgono per le altre imprese, ma che il fuoco dell’attività non sia il perseguimento del miglior risultato economico, che secondo molte teorie è l’obiettivo e la ragion d’essere dell’impresa.
Il fondamento del divieto di aiuti di Stato è la necessità di livellare il piano di gioco per consentire una concorrenza non inquinata dal diverso costo dei fattori produttivi, distorcendo non solo la concorrenza tra le imprese che li acquistano, ma anche, come derivata prima, i processi di formazione del prezzo di tali fattori. Tale fondamento non opera diversamente da ciò che costituisce la base della normativa comunitaria in tema di enti creditizi, nella quale la stella polare è la concorrenza fra operatori e che, infatti, “normalizza” le forme giuridiche che possono gestire l’impresa, in Italia ammettendo solo la società per azioni e, con limiti, la cooperativa, affinché il costo del capitale e della raccolta bancaria divengano dati trasparenti e comparabili e l’aiuto di Stato non sia (almeno in astratto) possibile.
In secondo luogo, il divieto mira a tutelare l’ordinato svolgimento della attività economica, nel senso di non alterare il normale profilo del rischio di impresa: in caso fosse consentito alimentare, al di fuori di una razionalità allocativa, alcune società con risorse economiche a un prezzo politico, ciò consentirebbe a imprese “zombie” di sopravvivere e ne abbiamo un esempio, evidente e costoso, in ciò che resta dalla compagnia aerea di bandiera.
Da ultimo, non è estranea al divieto che si discute la considerazione che selezionare le imprese cui dare accesso agli aiuti equivale, nel migliore dei casi, a scegliere i vincitori, gesto politico che viola palesemente la rule of law e, nel peggiore, è un modo di favorire gli amici degli amici.
3. Il divieto di aiuti nel “Castello” delle crisi strutturali
Come il Calvino ha da reinterpretare figure consolidate (i Tarocchi) costretto nel chiuso del suo “Castello”, così le crisi trutturali impongono di rivedere, ove non relegare in soffitta, l’ideale, di stampo liberale, per il quale lo Stato è solo arbitro tra le contese e mantiene neutralità nell’attività economica. La nuova crisi da Covid-19 costringe i legislatori, di ogni ordine e grado, e i regolatori a intervenire con strumenti non convenzionali, creando uno stato d’eccezione (relativamente ad alcune aree dell’ordinamento) durante il quale sono sospese regole prima indiscusse. Il problema che la sospensione, oggetto di approfondita e dettagliata analisi nel presente volume, pone è di due ordini diversi. Il primo e più ovvio è che una misura contingente per fronteggiare una emergenza spesso ha la tendenza a divenire l’ancoraggio normativo di uno stato permanente; mentre il secondo, corollario del primo, è che la forza espansiva del privilegio lo rende una avanguardia che porta alla sua diffusione in capo a tutti, facendolo divenire una libertà, o una nuova regola generale.
4. Le ragioni di una riflessione comune
Seguendo l’evoluzione degli interventi adottati dai governi nazionali e dalle istituzioni europee (principalmente rivolti a fronteggiare l’emergenza e a cercare di limitare gli effetti degenerativi sull’economia mediante misure pubbliche di sostegno), è emersa come opportuna una comune riflessione sulla eventualità che esse possano avere ripercussioni sui successivi sviluppi della politica della concorrenza e in particolare su quella relativa agli aiuti di Stato.
La crisi indotta dalla pandemia, lungi dall’essersi esaurita, pone numerosi quesiti giuridici ed istituzionali, alcuni vecchi – come forme e limiti del sostegno alle economie nazionali – altri nuovi, come la sperimentazione di moduli innovativi di cooperazione istituzionale – che sono esplorati nei diversi saggi dei questa sezione del presente Volume.
5. I “tasselli” europei
A livello europeo la risposta è duplice: da un lato si introducono meccanismi di flessibilità nella applicazione delle norme sugli aiuti di Stato, con ciò rimettendo alle singole realtà locali la scelta sulla tipologia di intervento a sostegno delle imprese; dall’altro si inaugura una stagione di finanziamenti europei, idonea ad imprimere all’azione delle politiche economiche nazionali, per lo meno in taluni settori (sostenibilità ambientale e digitale), una svolta propulsiva.
La risposta che le istituzioni europee approntano differisce rispetto alla crisi del 2008: si ricerca una più marcata collegialità inter-istituzionale e si supera la rigida austerità in favore di una flessibilizzazione delle regole sugli aiuti (oltre ad attivare da subito la clausola di salvaguardia, “congelando” il Patto di Stabilità).
Il contributo di G. Luchena offre un quadro generale, che ben ricostruisce come, in assenza di disposizioni specifiche in materia di crisi nel Trattato fondamentale dell’UE, le norme in materia di aiuti abbiamo finito per rappresentare la base legittimante l’azione eurounitaria. Ne rileva, in positivo, come la Commissione riguadagni centralità ed autonomia rispetto al Consiglio – e dunque alle politiche nazionali e ai conseguenti poteri di veto, pur ancora non sopiti – e acquisisca, sebbene mediante strumenti di soft law (le Comunicazioni), funzioni di indirizzo delle politiche economiche degli Stati membri.
Le modifiche al Temporary framework (i.e. la Comunicazione della Commissione del 20 marzo 2020, C91 I/01, più volte emendata) susseguitesi in un lasso di tempo molto breve denotano una crescente maturazione da parte dell’esecutivo europeo: in esse si chiariscono via via i tratti di una politica industriale europea Covid-19, politiche in materia di aiuti di stato e diritto della concorrenza volta a sostenere «quelle misure [nazionali] che sostengano la transizione verde e la trasformazione digitale» (Montedoro).
5.1. I “destini incrociati” dell’integrazione europea tra condizionalità degli aiuti e rule of law
Ma la pandemia amplifica anche i limiti e le pre-esistenti distorsioni, soprattutto quelle finanziarie. In un certo senso si può assumere la pandemia a “banco di prova” della tenuta giuridica e politica della stessa costruzione europea (economica e no), e dunque degli strumenti di regolazione e controllo di cui sono attualmente titolari le istituzioni europee. Molti di questi variamente intersecano il tema degli aiuti di stato, ma le criticità sembrano legate più che alla politica degli aiuti di Stato, agli altri nodi irrisolti.
In un’ottica macro, colpisce il contrasto tra i numerosi strumenti adottati dall’Unione per fronteggiare l’emergenza sanitaria e la crisi economica, quali la sospensione del Patto di stabilità e crescita, gli interventi della BCE e della BEI, o ancora il fondo SURE per la disoccupazione, il MES, la messa a disposizione del recupero dei fondi europei, da un lato; e, dall’altro, le contraddizioni che impediscono il compiuto dispiegarsi di tutte le possibili azioni, come: i poteri di veto ancora esistenti, la mancanza di una politica fiscale europea e di un vero mutualismo fra Stati.
È proprio la costante tensione tra «un coordinamento centralizzato [paneuropeo] e la preservazione della sovranità nazionale che lascia spazio ad aree grigie, rapidamente occupate dalla negoziazione intergovernativa» (G. Sabatino) a generare incertezze.
Inevitabile, in simile indeterminatezza, che il giurista ricerchi àncore su cui saldare la costruzione europea. Vi è chi lo fa – anche in chiave anti-euroscettica – percorrendo la strada della “condizionalità” del rule of law, cioè ipotizzando di poter imporre sanzioni a quei paesi che non si allineano ai valori fondamentali dell’UE; e chi addentellando la medesima condizionalità, ma riferendola all’aiuto di stato.
Questo punto è ben illustrato dai due contributi di Scotti e di Passalacqua e Celati. Come accennato, il Temporary framework disegna il quadro di coordinamento europeo per favorire gli investimenti nei settori della economia verde e della innovazione digitale. Mentre Passalacqua e Celati ritengono non indispensabile la condizionalità dell’aiuto al perseguimento di tali obiettivi per l’innescarsi di dinamiche virtuose; Scotti configura la condizionalità come requisito se non indispensabile almeno necessario. Ad avviso delle prime, infatti, l’effetto “conformante” delle politiche di aiuto potrebbe essere sufficiente ad orientare le scelte nazionali di promozione di una convinta azione pubblica. In un’ottica che potremmo qualificare come post-keneysiana, le Autrici ravvisano proprio nell’assenza della condizionalità una occasione per il rilancio dell’impresa pubblica sub specie di partenariato pubblico-privato (sul punto torneremo infra).
Di contro, Scotti ritiene essenziale una più stretta condizionalità, nel senso della sostenibilità, al fine di orientare l’aiuto verso la transizione ecologica dell’economia. V’è di più. Lo Stato finanziatore dovrebbe indirizzarsi in questo senso per due ragioni. Se lasciato libero, il mercato non avvierebbe la transizione, se non altro a causa del suo costo: è questo un motivo sufficiente per orientarlo verso scelte green. In secondo luogo, rallentando la transizione verde dell’industria nazionale, si penalizza il sistema paese nel mercato unico dell’industria sostenibile, che sembra oggi iniziare a capitalizzare l’effetto di induzione e di sostegno delle politiche ambientali comuni e dei relativi aiuti di Stato (riconvertiti all’ambiente in misura massiccia soprattutto in nord Europa): il green si delinea non a caso oggi quale nuovo ed elettivo luogo della competizione europea e globale. In questo quadro, duplice è dunque la criticità dell’aiuto di Stato non “condizionato” all’ambiente: oltre a continuare ad alimentare la produzione di danni ecosistemici, costituisce fattore di squilibrio e di svantaggio competitivo nel mercato europeo, sempre più verde (dove la Germania, ad esempio, ha già un tasso di destinazione all’ambiente dell’80% di tutti gli aiuti pubblici).
6. La “Locanda”: o del livello interno
Se il Castello ha la regalità del tempo, lo stile della distanza e la forza per reggere l’onda d’urto della peste, la periferia, incarnata dalla “Locanda” (il secondo atto dei destini incrociati), no. Qui, nelle Capitali, l’eccezionalità della pandemia genera interventi puntuali, disorganici ed eterogenei in grado di frammentare e probabilmente negare per un lungo periodo lo stesso mercato unico. Quella che va profilandosi sul piano nazionale è una nuova normalità, che solo un ordinamento europeo capace di affrontare le sfide come opportunità sarà in grado di gestire, preservando la costruzione del mercato unico.
6.1. “Nuovi” alfieri? Golden power e impresa pubblica in proiezione europea
Il legislatore dell’emergenza comprende che la pandemia è in grado di indebolire i grandi facendone facili bersagli di scalate ostili da parte di operatori intra come extra-UE, agevolati dal ricorso all’indebitamento.
Così, col “Decreto Liquidità” (d.l. 8 aprile 2020, n. 23), l’ambito di applicazione della disciplina sul golden power (i poteri speciali di controllo esercitati dal Governo) è esteso alle società operanti in tutti i settori strategici ritenuti ammissibili in base al Regolamento UE 2019/452 (come quelle delle infrastrutture tecnologiche critiche, cybersicurezza, robotica), con la vistosa aggiunta (ancorché transitoria) di quelli “finanziario .. creditizio e assicurativo” nonché dei dispositivi medicali. Come ben nota Raganelli, il profilo in cui la disciplina rasenta aspetti di criticità è là dove introduce misure non più transitorie ma permanenti. Ciò accade ad esempio quando il potere di verifica governativo sull’operazione di concentrazione viene anticipato al momento della conclusione del procedimento di accertamento dell’obbligo di notifica (anziché alla successiva conclusione dell’operazione stessa). Appare lecito dunque domandarsi se la legittima tutela dell’interesse nazionale in settori strategici non rischi di tradursi, in un quadro post-pandemico, in base legittimante per misure protezionistiche a carattere permanente ed infra-europeo; le quali, seppur comprensibili in un diritto di crisi, appaiono eccessivamente limitative della concorrenza, che invece si avvantaggerebbe di un quadro se non uniforme almeno omogeneo di regole e, finalmente, orientato alla promozione di “campioni strategici europei”.
In questa direzione paiono andare tanto Raganelli, quanto Passalacqua e Celati. La prima vi arriva, aggiornando ispirazioni neo-liberiste, invocando il superamento dei profili (neppure troppo velatamente) protezionistici del “Decreto liquidità” in favore di una più decisa adesione della disciplina del golden power allo spirito del Single Forei...