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Femminismo storico
Isabella d’Este, Cleopatra, Giulia Récamier, Laura, Maria Antonietta, Gaspara Stampa, George Sand
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Femminismo storico
Isabella d’Este, Cleopatra, Giulia Récamier, Laura, Maria Antonietta, Gaspara Stampa, George Sand
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Isabella d'Este, Cleopatra, Giulia Récamier, Laura ("musa" di Petrarca), Maria Antonietta, Gaspara Stampa (poetessa del '500), George Sand (pseudonimo maschile di Aurore Dupin). Sono queste le indimenticabili e straordinarie artefici del "femminismo storico" biografate e commentate, con mano acuta, intelligente e cólta, dall'autrice Eugenia Codronchi Argeli (con lo pseudonimo Sfinge ) in questo raro e prezioso testo, qua controllato e lievemente e prudentemente revisionato.
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Information
Publisher
Tiemme Edizioni DigitaliYear
2019eBook ISBN
9788834107010MARIA ANTONIETTA
(1755-1793)

Ha detto Guyau « L’art c’est de la tendresse»: e la tenerezza è quella che mi guida, mentre la mano mi trema di commozione, a tracciare un profilo di Maria Antonietta, quale esso fluttua nella mia mente, e ch’io vorrei saper rendere visibile altrui, puro di linee, delicato di colore, sintesi adorabile di tutti i ritratti ch’io ho fino ad ora veduti di lei, fatti dalla penna o dal pennello, e pure da tutti un po’ dissimile. Una intera letteratura ha fiorito e fiorisce sopra Maria Antonietta, la quale ha dopo morta, da un secolo e più, adoranti idolatri, detrattori crudeli e instancabili: così, come ebbe in vita. Né da viva né da morta, sicuro indizio, questo, del suo valore, ella non inspirò mai l’indifferenza: ma amore profondo o immenso odio: e sul suo bellissimo capo biondo, benché staccato dal corpo, durano ancora le tempeste: almeno quelle della discussione.
Eppure a me sembra che da tutta quella letteratura, la vera, la sincera figura morale di questa donna non sia ancora balzata fuori, veramente viva, fin qui. L’odio ce ne ha date caricature mostruose ed assurde; gli apologisti volendo ad ogni costo difenderla hanno fatto, a somiglianza degli avvocati di tutti i tempi, della retorica spesso inutile, qualche volta dannosa; sì che, volendo fare di lei una donna perfetta, pura di tutti i difetti, ricca di tutte le virtù, l’hanno messa fuori dell’umanità : e, ciò che di più m’accora, le hanno tolto il suggello della sua personalità adorabile.
Maria Antonietta non basta adorarla religiosamente, ammirarla e compiangerla (dei detrattori mi piace non occuparmi) sui documenti della sua sventura, per poterla imparare a conoscere: bisogna amarla. Amandola molto, amandola teneramente, sarà assai più facile il conoscerla, il penetrare l’intima essenza di quella creatura che l’oscuro fato destinò ad essere olocausto di secolari errori alla vindice sete dell’umanità che apriva gli occhi alla luce, frammezzo alla nube di sangue di quell’«omicidio collettivo», socialmente necessario, che fu la Rivoluzione francese. Per me, che pure ho l’anima aperta alle divine luci del diritto e della libertà , la morte di Maria Antonietta, e più ancora della morte, il suo martirio, è e sarà , nei secoli, la macchia di quell’epico periodo che inizia la «novella storia». Ma essendo lontano dal mio proposito di fare qui della critica storica, così concentro subito le mie facoltà , che vorrei poter dire pittoriche, sul profilo che, con molta audacia, guidata dalla tenerezza, intraprendo a tracciare.
Ho detto «facoltà pittoriche», e non so perché, mi piacerebbe invece dire «musicali»: ché l’immagine di Maria Antonietta desta in me pensieri che oso chiamare melodici, e che un’armonia significherebbe assai meglio della parola. La parola ha troppa precisione di contorni, troppa inesorabilità di definizioni: e certe immagini dovrebbero, a parer mio, poter apparire sopra uno sfondo indeciso, un poco evanescenti, fluttuanti fra la verità ed il mistero, somiglianti alla luce di quelle aureole che circondano il capo dei «Santi»: esse sono tanto belle che fanno parte dell’ultra definibile.
Proprio così Maria Antonietta. Composta di luce chiara, d’ombre azzurrine, di profumo e di armonia, di dolcezza e di forza, di sorriso e di pianto, di ecloga e di dramma: certo, di divina poesia.
Ma cerchiamo che il fantasma si plasmi, per un momento, tra le nostre mani accarezzanti (dico nostre, non è vero, lettrice?) e assuma la sua forma integrale: esso ci darà , se le nostre carezze avranno il potere di compiere il prodigio, una grande, una freschissima gioia.
Maria Antonietta Giuseppina Giovanna di Lorena, nacque (il 2 novembre 1755) «delfina di Francia»: ché a ciò la votava la materna ambizione dell’Imperatrice Regina Maria Teresa, E l’abate italiano Pietro Metastasio prima, l’abate francese Vermond più tardi, ebbero la missione di educare quel giovane spirito sì come quello di una «principessa francese».
Così i germi della dolce sentimentalità tedesca, i quali, a parer mio, avrebbero, se coltivati, formata l’essenza dell’anima di Maria Antonietta, furono dalla puerizia sempre soffocati, inariditi in lei, da persone e da avvenimenti: e perfino il Dovere dovrà immischiarsene, un giorno!
Invece certa sua amabile tendenza a un motteggiare onestamente birichino, fu incoraggiata, stuzzicata nel suo spirito dal suo precettore — Vermond — nel quale si accoppiavano un colto e fine intelletto a un’anima arida di cinico. Nessuna seria cultura le fu impartita; invano folgorava di pura luce l’intelligenza giovinetta dell’arciduchessa! Ma a Schönbrunn si pensava che l’«Occhio di Bue» dovrebbe accogliere in un giorno non lontano una delfina tanto adorna di tutte le grazie esteriori da offuscare il ricordo delle «ospiti» che prima vi erano emerse: e chi pensava a inorridire se le «ospiti» del cui ricordo la vergine imperiale doveva trionfare, fossero le «favorite»?
A quindici anni la più giovane figlia di Maria Teresa fu giudicata matura per il grave evento: e un bel giorno di maggio ella abbandonò per sempre i viali profondi del suo Schönbrunn dove ancora risuona l’eco giuliva delle sue risate infantili: e tutti piangono mentre ella s’avvia, tutti sono dolenti, come per lo sparire d’un dolce miraggio: solo l’Imperatrice Regina, pallida e muta, non piange: la sovrana ha trionfato su la madre.
La prima volta ch’io mi vedo balzare nella mente Maria Antonietta, viva di tutto il suo fascino, di tutta la sua balda giovinezza, e ch’io vedo linearsi la sua propria «autonomia», è su l’isola del Reno, nel giorno in cui deve aver luogo la solenne cerimonia della «consegna». Ella appare: e tutta la Corte di Francia andata ad incontrarla è tosto sorrisa dalla sua grazia. Eccola su la soglia della sua nuova patria, già presa nelle spire di quel rigido cerimoniale che sarà l’eterno oggetto del suo odio e de’ suoi motteggi, ma cui ella sa subito sottoporsi degnamente, di così «grande stile», con quel suo portamento di testa che diventerà celebre, con quella andatura ch’è come un ritmo di gioia, coronata di quella gran chioma rosseggiante, alta su la fronte bianca come l’aurora.
Poi, in un’altra soave visione io la rivedo sotto gli archi di verzura della foresta di Compiègne, colà dove avviene l’incontro dei due corteggi nuziali. Da una berlina di gala, di cristallo e d’oro, scende il «Cristianissimo Re» in persona, che accompagna il Delfino. Allora la giovinetta sposa si avanza, e con atto «regalmente umile» si prostra ai piedi di Luigi decimoquinto. Al vecchio libertino si inumidiscono gli occhi, e durante tutto il viaggio profonde al «seguito» parole di ammirazione fervente per la nuova nipote. (Era buon conoscitore lui!) Ma al castello della «Muette» dove giungono per riposare, sorge la prima nube sul cielo della così bene auspicata gioia famigliare. Il vecchio Re impone alla Delfina la presentazione della contessa du Barry: e la vergine quindicenne, poc’anzi tutta sorriso, assume un contegno così imperialmente glaciale, che la plebea muove lagnanza al suo signore e schiavo, contro la « petite rousse!»
Petite rousse! Dolce bambina! Da poche ore eri entrata sul suolo di Francia, e prima delle rose ritrovavi le spine!
Maria Antonietta fu destinata a soffrire dell’impopolarità di Choiseul, il ministro che «fece» il suo matrimonio: e lo spettro della « Autrichienne» seguirà sempre, prima nell’ombra, discreto, poi a poco a poco ingigantito come da mostruosa fata morgana, la delfina da principio, più tardi la regina di Francia e di Navarra.
Ma ella era fatta per la gioia. Frammezzo ai torbidi intrighi di quella Corte, fradicia di corruzione al di dentro, così scintillante di splendore al di fuori, tra il cupo e ancora lontano minacciare dell’uragano, s’ode, sì come fresco scrosciare d’acqua cristallina, la giovanile risata di Maria Antonietta. Rapita all’austera Corte di Vienna, alla tranquilla solitudine di Schönbrunn dove dai primi sogni dell’adolescenza la sua pura fronte era stata sorrisa, ella, la pianta tenerella, si acclima ben presto all’atmosfera di Versailles, dove porta il profumo della sua grazia ninfale. La lunga teoria di pallide e mute Regine, di splendide e sfrontate cortigiane, è travolta nell’oblio: a Versailles, Maria Antonietta, con la piccola orma del suo piede, appose il suggello che lo asserviva all’unica sua sovranità .
Ma pure ammettendo e riconoscendo che quel luogo e quel momento storico ebbero in lei una Regina che vi si adattava come una gemma nel castone del suo anello, è assurdo non vedere che ella, la grande Calunniata, non portò nessun contributo peggiorativo nell’ambiente in cui visse e cui presiedette, prendendolo quale esso era. La società francese del secolo decimottavo: quella società che, come ha detto Taine, «era quasi tutto, mentre lo Stato era quasi nulla»: ecco la grande colpevole, quella in cui si devono cercare le cause, ed anche le attenuanti, degli errori della giovane Regina. Di essa Talleyrand ha detto più tardi «chi non conobbe la società francese prima dell’89 non conobbe la vera gioia di vivere»: società di «decadenti», di esseri corrotti a forza di raffinatezze, di vita molle e gioiosa, dimentichi dell’alta responsabilità di chi rappresenta un glorioso passato, da cui il denaro, sudato dal popolo oppresso, era gettato con una spudoratezza consentita solo dalla sincera incoscienza. Sì che, per un esempio, il cardinale di Rohan aveva tutte le batterie delle sue cucine di argento massiccio: e il principe di Conti faceva, come epilogo di un intrigo galante, ridurre in polvere un brillante di parecchie migliaia di lire per seccare l’inchiostro di un biglietto per una dama!
E allora, perché ci sorprenderà soverchiamente che la Regina, avendo un giorno regalato al piccolo delfino (così lungamente sospirato dal suo cuore assetato di maternità !) una carrozza tutta d’argento dorato, incrostata di rubini e zaffiri, dica, con la sua aria di candore: «Io devo pure spendere il denaro che il Re mi dà : non posso mica conservarlo, non è vero?» in queste parole è tutta la coscienza di doveri sociali di Maria Antonietta!
Ma se, quale ella fu, spendereccia, un po’ frivola, spensierata, un po’ civetta, di quella civetteria senza malizia «per piacere a tutti, non già a qualcuno» come diceva il principe di Ligne, noi siamo tentati qualche volta di biasimarla, di tenerle un poco di broncio... ebbene, ciò non ci riesce: e non sappiamo nemmeno indispettirci con noi medesimi della nostra debolezza, proprio come avviene se ci proponiamo di correggere un bambino che abbia fatto qualche monelleria e che la monelleria sia così adorabile da mutare, nella bocca nostra, la correzione in uno scoccante bacio!
Vediamola dunque un poco da presso, questa bionda Regina, seguiamola in qualcuna delle sue giornate, che ce la svelino ad ora ad ora, per mezzo de’ suoi gesti visibili, nei diversi momenti della sua vita.
È domenica, ella si reca alla messa solenne, passando per la grande galleria «degli Specchi» dove hanno luogo, rapidamente, sul suo passaggio, le novelle presentazioni. Gli aspettanti, ansiosi, febbrili di vederla, sono disposti su due file: la più altera nobiltà di Francia, forestieri «di distinzione», celebrità di oltremare e d’oltremonte. Ella esce dai suoi appartamenti, preceduta, seguita dalla sua numerosa corte: una magnificenza! Ecco la gravità superba della prima dama d’onore, la Contessa di Noailles, che la Regina ha battezzata « Madame l’Etiquette»: ecco la bionda e soave Maria Luisa di Savoia Carignano Principessa di Lamballe, che cela nel gracile petto l’anima di un’eroina; e la bruna e sorridente Giulia di Polignac, impareggiabili quando balla il minuetto; e tutto un drappello di gentiluomini invitti nell’arte di arrotondare un inchino o di comporre un madrigale, squisiti gran signori della licenza: e il gaio sciame dei giovani paggi e le uniformi magnificamente scintillanti. Tutto un fulgore... Ma eccola... non ci sono più occhi che per «lei». La sua testa sovrasta quelle di tutte le altre dame, un ciuffo di piume color di rosa si erge su la chioma incipriata e si agita al ritmo di quella andatura ondeggiante e leggera ch’è forse il più piccante aroma di tanta bellezza: l’abito è di tessuto argenteo a tralci di rosei oleandri, alcuni fili di brillanti, puri come gocce di rugiada, girano intorno alla «torre d’avorio» del suo collo. Ha il portamento di testa delle «grandi occasioni»: quel portamento di cui essa medesima si diletta a chiedere «se le dia l’aria insolente»: e un profumo delicato l’avvolge e l’accompagna, lasciando un solco inebriante dovunque ella passa... Ella è così idealmente, così suggestivamente «Regina» che ognuno vede splendere il serto... ch’essa non porta, che ognuno cerca lo scettro tra le piccole mirabili mani che recano il ventaglio e l’inseparabile « lorgnon». Eppure, mentre passa, diffondendo tanta luce di regalità , squisita di cortesi parole ad ognuno, l’odiatrice della etichetta, la motteggiatrice sottile si palesa: ché essa coglie al volo tutto quanto di comico le offre la magnifica assemblea, e col viso composto alla maggiore dignità , strette le piccole labbra vermiglie e un po’ sporgenti, dice a bruciapelo ai suoi intimi, agli «Eletti» qualcuno de’ suoi così piacevoli motti... che compromettono, fino allo spasimo, il contegno di chi li ascolta! Ella ha una voglia matta di ridere, sente di rappresentare una «parte», disprezza in cuor suo quel cerimoniale... ch’è pure così necessario, sorta di rito di una religione: e non s’accorge, la deliziosa incosciente che quel suo sorriso schernitore contribuisce, in qualche modo, alla grande opera di fatale demolizione... Ma non funestiamoci ancora.
Mi piace di sorprenderla una volta nel suo salotto particolare, il celebre « Cabinet de la Reine». È quello il solo rifugio della sua intimità , il piccolo paradiso di colei che questa amò sopra tutte le cose, e che invidiava la sorte delle sue amiche (ella sentì l’amicizia come poche donne al mondo e come forse nessuna Regina!) solo perché non avevano da sopportare il tedio enorme del trono!
Il salottino squisito, ch’ella medesima ha fatto arredare, è tutto bianco a lievi ornamenti d’oro. Una folla di poltrone di tutte le forme lo popola, dandovi una «fisonomia» di dolce famigliarità ; tra tutte, la « bergère» profonda che accoglie per lunghe ore la bella persona serpentina della padrona di casa. Lì ella è solamente una padrona di casa, una dolce e gaia signora. Ecco la sua arpa, ch’ella tocca con tanta grazia, ecco la grande cesta contenente le tappezzerie che occupano instancabilmente le sue belle mani così sapienti nell’opera dell’ago; ed ecco, nel posto d’onore, il pianoforte, al quale siede un vecchietto che tutti trattano come un nume: è il maestro ed il protetto insieme di Maria Antonietta: è Cristoforo Vilibaldo Gluck. L’aria ch’egli in questo momento accompagna alla regale discepola è «che farò senza Euridice» dell’ Orfeo ch’ella canta col più caldo accento della sua voce grave e pure soave. L’effetto di quella squisita audizione spegne, per alcuni istanti, la frivola gaiezza della eletta radunanza, che a me sembra veramente vedere col pensiero evocatore.
Come sottili e lunghi sono i busti delle dame, sui gonfi guardinfanti! Che pallide soavità di broccati! Che fronti superbe e che rapaci sguardi sotto la cipria, hanno i cavalieri! Quanti fiori, sui tavolinetti carichi di miniature di Lebrun e di Vertmüller, di avori preziosi, entro i vasi di Sévres e di Venezia!... Tolti alla ricca biblioteca che occupa un altro dei salotti intimi, sono qua e là alcuni libri, i libri ch’ella predilige: forse Marianna di Mariveax , forse la Nouvelle Héloise... o forse qualcuno dei libri un poco scurrili che erano di moda in quel tempo (e non soltanto in quel tempo... è vero?).
Ma che c’è? La romanza è finita: e perché ride così forte la Regina, celando il viso lunghetto e bianco come un giglio dietro il ventaglio? « Baron, quel mauvais ton!» ella ha detto, minacciandolo col dito, al terribile barone di Besenval, il maturo impenitente galante, che ha l’arte di dire, facendosele perdonare, le più atroci cose. E la sua risata vola per l’aria, confondendosi col profumo della essenza « à la maréchale» e all’eco dell’ultima cadenza della divina melodia di Gluck!
Intanto, in piedi, dietro le poltroncine delle dame, con gli occhi fissi in «lei» mi pare di vedere: qui il presuntuoso, l’audace don Quan, colui che l’innocente capriccio della Regina ha così insuperbito di folli speranze, il proprietario della famosa penna di airone bianco che Maria Antonietta gli ha tolto dal cappello per ornarne l’alto edificio della sua acconciatura: il famosissimo duca di Lauzun: là il principe di Ligne, il rassegnatissimo adoratore, il vecchio «don Guritano» della Corte: e muto, pallido di commozione, cercando disperatamente da «lei» la elemosina d’uno sguardo, il biondo cavaliere scandinavo, addetto all’ambasciata di re Gustavo, il conte Axel de Fersen. E il mio pensiero evocatore vede che il chiaro sguardo della donna regale, incontrandosi con quello di lui, si tempra d’una dolcezza intensa... se pur fugace... che basta a colmare di gioia un veramente nobile cuore di eroe sentimentale.
La femminilità , nel senso più ampio e più completo, si personifica in Maria Antonietta: quella femminilità , che rasenta qualche volta una sorta d’infanzia dello spirito, ma che pure saprà sublimarsi in atti di elevazione quasi super-umana: e nell’uno e nell’altro caso presieduta sempre da una assoluta sincerità nell’operare.
Ella ha un’intelligenza gagliarda se non nutrita di forti studi: e sortì da natura un gusto finemente squisito che rare volte la traeva in errore. Amò e protesse gli artisti, ammettendone alcuni nella propria intimità , facendosene sinceri amici: e Beaumarchais, Voltaire, Lebrun, Grétry, Delille, Gluck ebbero da lei favori ed onori. Il teatro fu, nel campo dell’arte, la sua più viva passione: e Grimm ci racconta che anche come attrice ella dimostrava singolare attitudine: era un gioiello di grazia, a modo di esempio, nelle vesti di «Rosina» del Matrimonio di Figaro.
Era pietosa e benefica, in quel tempo in cui nulla si faceva per il popolo sofferente, ed era sempre pronta a intercedere, con lieto cuore, presso il re, a favore di qualcuno de’ suoi charmants vilains sujets come scherzosamente ella chiamava i francesi.
Anche nella sua difficile parte di moglie, ella dimostra sempre un fine tatto, una simpatica e tutta femminea amabilità di carattere senza angoli e senza rancori. (È curiosissima, a questo proposito, la sua corrispondenza privata con Maria Teresa). Quantunque, evidentemente, ella non possa amare il re d’amore, ella è per lui una buona camerata nella lieta fortuna, una fedelissima alleata, la sua migliore amica nella sventura. Non può ammirarlo come uomo, ma sa rispettare in lui il padre de’ suoi figli; non ha fiducia in lui come Re, ma saprà obbedirgli un giorno (trasportiamoci con la coscienza a un secolo fa) come all’unto del Signore, sacro per diritto divino.
Ma certo quelle due nature non furono fatte per intendersi, per amalgamare le loro tendenze. Quella giovane donna così piena di gagliardo sangue, ha bisogno di vivere, di amare, di gioire. Tutti i suoi sentimenti sono esuberanti. I suoi piccini essa li adora: ne è la prima maestra, la compagna di monellerie, la dolce, instancabile infermiera: le sue amiche colma a piene mani di favori, giungendo perfino a suscitare critiche e scontenti, nella Corte e fuori di essa: alla principessa di Lamballe scrive: « mon cher cœur»; Giulia di Polignac ammette alle confidenze di una sua eguale, invitando...
Table of contents
- Copertina
- FEMMINISMO STORICO
- Indice
- Intro
- PREFAZIONE
- ISABELLA D’ESTE GONZAGA
- CLEOPATRA
- GIULIA RÉCAMIER
- LAURA
- MARIA ANTONIETTA
- GASPARA STAMPA
- GEORGE SAND
- Ringraziamenti