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About this book
Questa silloge raccoglie tutte le 311 poesie (245 "rime d'amore" e 66 "rime varie") di Gaspara Stampa, una donna artisticamente dotata, colta, libera e piuttosto spregiudicata per i suoi tempi. Le "rime d'amore" sono dedicate in gran parte all'amato conte Collaltino di Collato, che però la lasciò dopo tre anni. Gaspara morÏ appena trentunenne, divenendo una sorta di icona femminile ispiratrice delle varie tesi romantiche sull'animo delle donne. In questa edizione, a parte la normalizzazione degli accenti e degli apostrofi, il testo è intatto come nell'originale cinquecentesco.
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Information
RIME DâAMORE
I
Voi, châascoltate in queste meste rime,
in questi mesti, in questi oscuri accenti
il suon degli amorosi miei lamenti
e de le pene mie tra lâaltre prime,
ove fia chi valor apprezzi e stime,
gloria, non che perdon, deâ miei lamenti
spero trovar fra le ben nate genti,
poi che la lor cagione è sÏ sublime.
E spero ancor che debba dir qualcuna:
- Felicissima lei, da che sostenne
per sĂŹ chiara cagion danno sĂŹ chiaro!
Deh, perchĂŠ tantâamor, tanta fortuna
per sĂŹ nobil signor a me non venne,
châanchâio nâandrei con tanta donna a paro?
II
Era vicino il dĂŹ che âl Creatore,
che ne lâaltezza sua potea restarsi,
in forma umana venne a dimostrarsi,
dal ventre virginal uscendo fore,
quando degnò lâillustre mio signore,
per cui ho tanti poi lamenti sparsi,
potendo in luogo piĂš alto annidarsi,
farsi nido e ricetto del mio core.
Ondâio sĂŹ rara e sĂŹ alta ventura
accolsi lieta; e duolmi sol che tardi
mi feâ degna di lei lâeterna cura.
Da indi in qua pensieri e speme e sguardi
volsi a lui tutti, fuor dâogni misura
chiaro e gentil, quanto âl sol giri e guardi.
III
Se di rozzo pastor di gregge e folle
il giogo ascreo feâ diventar poeta
lui, che poi salse a sĂŹ lodata meta,
che quasi a tutti gli altri fama tolle,
che meraviglia fia sâalza ed estolle
me bassa e vile a scriver tanta pièta
quel che può piÚ che studio e che pianeta,
il mio verde, pregiato ed alto colle?
La cui sacra, onorata e fatal ombra
dal mio cor, quasi sĂšbita tempesta,
ogni ignoranza, ogni bassezza sgombra.
Questa da basso luogo mâerge, e questa
mi rinnova lo stil, la vena adombra;
tanta virtĂš nellâalma ognor mi desta!
IV
Quando fu prima il mio signor concetto,
tutti i pianeti in ciel, tutte le stelle
gli dier le grazie, e queste doti e quelle,
perchâei fosse tra noi solo perfetto.
Saturno diègli altezza dâintelletto;
Giove il cercar le cose degne e belle;
Marte appo lui fece ognâaltrâuomo imbelle;
Febo gli empĂŹ di stile e senno il petto;
Vener gli dieâ bellezza e leggiadria;
eloquenza Mercurio; ma la luna
lo feâ gelato piĂš châio non vorria.
Di queste tante e rare grazie ognuna
mâinfiammò de la chiara fiamma mia,
e per agghiacciar lui restò quellâuna.
V
Io assimiglio il mio signor al cielo
meco sovente. Il suo bel viso è âl sole;
gli occhi, le stelle, e âl suon de le parole
è lâarmonia, che fa âl signor di Delo.
Le tempeste, le piogge, i tuoni e âl gelo
son i suoi sdegni, quando irar si suole;
le bonacce e âl sereno è quando vuole
squarciar de lâire sue benigno il velo.
La primavera e âl germogliar deâ fiori
è quando ei fa fiorir la mia speranza,
promettendo tenermi in questo stato.
Lâorrido verno è poi, quando cangiato
minaccia di mutar pensieri e stanza,
spogliata me deâ miei piĂš ricchi onori.
VI
Un intelletto angelico e divino,
una real natura ed un valore,
un disio vago di fama e dâonore,
un parlar saggio, grave e pellegrino,
un sangue illustre, agli alti re vicino,
una fortuna a poche altre minore,
unâetĂ nel suo proprio e vero fiore,
un atto onesto, mansueto e chino,
un viso piĂš che âl sol lucente e chiaro,
ove bellezza e grazia Amor riserra
in non mai piĂš vedute o udite tempre,
fÝr le catene, che già mi legâro,
e mi fan dolce ed onorata guerra.
O pur piaccia ad Amor che stringan sempre!
VII
Chi vuol conoscer, donne, il mio signore,
miri un signor di vago e dolce aspetto,
giovane dâanni e vecchio dâintelletto,
imagin de la gloria e del valore:
di pelo biondo, e di vivo colore,
di persona alta e spazioso petto,
e finalmente in ogni opra perfetto,
fuor châun poco (oimè lassa!) empio in amore.
E chi vuol poi conoscer me, rimiri
una donna in effetti ed in sembiante
imagin de la morte e deâ martiri,
un albergo di fĂŠ salda e costante,
una, che, perchĂŠ pianga, arda e sospiri,
non fa pietoso il suo crudel amante.
VIII
Se cosĂŹ come sono abietta e vile
donna, posso portar sĂŹ alto foco,
perchĂŠ non debbo aver almeno un poco
di ritraggerlo al mondo e vena e stile?
SâAmor con novo, insolito focile,
ovâio non potea gir, mâalzò a tal loco,
perchÊ non può non con usato gioco
far la pena e la penna in me simĂŹle?
E, se non può per forza di natura,
puollo almen per miracolo, che spesso
vince, trapassa e rompe ogni misura.
Come ciò sia non posso dir espresso;
io provo ben che per mia gran ventura
mi sento il cor di novo stile impresso.
IX
Sâavien châun giorno Amor a me mi renda,
e mi ritolga a questo empio signore;
di che paventa e non vorrebbe, il core,
tal gioia del penar suo par che prenda;
voi chiamerete invan la mia stupenda
fede, e lâimmenso e smisurato amore,
di vostra crudeltĂ , di vostro errore
tardi pentite, ove non è chi intenda.
Ed io cantando la mia libertade,
da cosĂŹ duri lacci e crudi sciolta,
passerò lieta a la futura etade.
E, se giusto pregar in ciel sâascolta,
vedrò forse anco in man di crudeltade
la vita vostra a mia vendetta involta.
X
Alto colle, gradito e grazioso,
novo Parnaso mio, novo Elicona,
ove poggiando attendo la corona,
de le fatiche mie dolce riposo:
quanto sei qui tra noi chiaro e famoso,
e quanto sei a Rodano e a Garona,
a dir in rime alto disio mi sprona,
ma lâopra è tal, che cominciar non oso.
Anzi quanto averrĂ che mai ne canti,
fia pura ombra del ver, perciò che âl vero
va di lungo il mio stil e lâaltrui innanti.
Le tue frondi e âl tuo giogo verdi e ântero
conservi âl cielo, albergo degli amanti.
colle gentil, dignissimo dâimpero.
XI
Arbor felice, aventuroso e chiaro.
onde i due rami sono al mondo nati,
che vanno in alto, e son giĂ tanto alzati,
quanto raro altri rami unqua sâalzâro:
rami che vanno ai grandi Scipi a paro,
o sâaltri fĂťr di lor mai piĂš lodati
(ben lo sanno i miei occhi fortunati,
che per bearsi in un dâessi miraro),
a te, tronco, a voi rami, sempre il cielo
piova rugiada, sĂŹ che non vâoffenda
per avversa stagion caldo, nĂŠ gelo.
La chioma vostra e lâombra sâapra e stenda
verde per tutto; e dâonorato zelo
odor, fior, frutti a tuttâItalia renda.
XII
Deh, perchĂŠ cosĂŹ tardo gli occhi apersi
nel divin, non umano amato volto,
ondâio scorgo, mirando, impresso e scolto
un mar dâalti miracoli e diversi?
Non avrei, lassa, gli occhi indarno aspersi
dâinutil pianto in questo viver stolto,
nĂŠ lâalma avria, comâha, poco nĂŠ molto
di Fortuna o dâAmore onde dolersi.
E sarei forse di sĂŹ chiaro grido,
che, mercĂŠ de lo stil, châindi mâè dato,
risoneria forsâAdria oggi, e âl suo lido.
Ondâio sol piango il mio tempo passato,
mirando altrove; e forse anche mi fido
di far in parte il foco mio lodato.
XIII
Chi darĂ penne dâaquila o colomba
al mio stil basso, sĂŹ châei prenda il volo
da lâIndo al Mauro e dâuno in altro polo,
ove arrivar non può saetta o fromba?
e, quasi amara e risonante tromba,
la bellezza, il valor, al mondo solo,
di quel bel viso, châio sospiro e còlo,
descriva sĂŹ, che lâopra non soccomba?
Ma, poi che ciò mâè tolto, ed io poggiare
p...
Table of contents
- Copertina
- LE POESIE
- Indice
- Intro
- ALLO ILLUSTRE MIO SIGNORE
- RIME DâAMORE
- RIME VARIE
- Ringraziamenti