La Sonata a Kreutzer
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La Sonata a Kreutzer

Lev Nikolaevič Tolstoj

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La Sonata a Kreutzer

Lev Nikolaevič Tolstoj

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Il romanzo breve La Sonata a Kreutzer di Lev Nikolaevi? Tolstoj venne pubblicato nel 1889, la stesura si situa dopo la cosiddetta “conversione ai Vangeli” del grande scrittore russo. Le tematiche affrontate nella Sonata la caratterizzano come opera del risveglio morale. In questa edizione il testo è stato interamente controllato e prudentemente normalizzato.

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LA SONATA A KREUTZER

E io vi dico che chi guarda una donna con cupidigia ha già fornicato con essa in cuor suo.
(Matt., V, 28)

Gli dissero i suoi discepoli: Se tale è il dovere dell’uomo verso la donna allora è meglio non sposarsi. Egli allora disse loro Non tutti comprendono questa parola ma solo quelli cui è dato di comprenderla. (Matt., XIX, 10-11)

I.
S’era all’inizio della primavera. Noi viaggiavamo da due giorni. Nella vettura ferroviaria entravano e uscivano passeggeri, ma tre di essi soltanto viaggiavano con me dal luogo di partenza del treno: una signora né bella né giovane, che fumava molto, con un viso smunto, un mantello e un berretto di pelliccia di foggia quasi maschile; il suo compagno, un uomo sulla quarantina, discorsivo, che aveva valige nuove e di buona apparenza; e poi un altro signore che si teneva in disparte, piuttosto basso di statura, dai movimenti bruschi, non vecchio ancora, coi capelli ricciuti fatti grigi da un evidentemente precoce incanutimento e con gli occhi straordinariamente luccicanti, che passavano con rapidità da un oggetto all’altro. Egli indossava un vecchio pastrano con pelliccia che doveva essere stato fatto da un sarto dai prezzi cari, e aveva un alto berretto anche di pelliccia. Di sotto al pastrano, quando lo apriva, si vedeva una sottoveste e una camicia russa ricamata. La particolarità di questo signore consisteva in ciò, che ogni tanto egli emetteva strani suoni che somigliavano a colpetti di tosse o a scoppi di risa repressi.
Questo signore per tutto il tempo del viaggio aveva ostinatamente sfuggito ogni rapporto con gli altri passeggeri. Al suo discorsivo vicino rispondeva con parole brevi e recise, e, o si metteva a leggere o, guardando fuori dal finestrino, fumava, o, cavando dalla sua vecchia sacca alcune provviste, beveva o mangiucchiava qualcosa.
Mi pareva che egli soffrisse di quell’essere così appartato e più volte avevo voluto discorrere con lui, ma ogni volta, quando i nostri occhi s’incontravano, il che accadeva spesso, visto che eravamo seduti di traverso uno di faccia all’altro, egli si voltava in là e prendeva un libro o si metteva a guardare fuori dal finestrino.
Verso la sera del secondo giorno, nel tempo di una fermata in una grande stazione, questo nervoso signore fece bollire dell’acqua e si preparò del the. Invece il signore dalle belle valige nuove, un avvocato, come seppi più tardi, scese a prendere il the alla stazione con la sua vicina, la signora che fumava e aveva il mantello e il berretto quasi da uomo.
Nel tempo che il signore e la signora erano assenti, montarono nella vettura altre persone e fra queste un vecchio alto, sbarbato, rugoso, evidentemente un mercante, con una pelliccia fangosa e un berretto di panno con un’enorme visiera. Il mercante sedette di faccia al posto della signora che era in compagnia dell’avvocato e subito entrò in discorso con un giovane, che all’aspetto sembrava un impiegato di commercio e che era salito anche lui nella vettura a quella medesima stazione.
Io ero seduto di lato e siccome il treno era fermo, potevo, nei momenti che nessuno passava, udire dei frammenti dei loro discorsi. Il mercante fin da principio spiegò che egli andava in una sua proprietà che era vicina alla prossima stazione; poi, come accade sempre, parlarono dei prezzi delle derrate, del commercio, dissero, come sempre, che ora Mosca era una città di traffico; poi parlarono della fiera di Nijni-Novgorod. L’impiegato di commercio raccontò le orge di un noto, ricchissimo mercante là alla fiera; ma il vecchio non lo lasciò parlare e si mise a raccontare le orge di un tempo a Kunavin, alle quali aveva partecipato egli stesso. Evidentemente si gloriava di avervi partecipato e con visibile piacere raccontava come, insieme con un suo conoscente, essendo ubriachi tutti e due, una volta a Kunavin, aveva fatto uno scherzo di tal sorta che bisognò raccontarlo sottovoce, e a udire il quale l’impiegato empì delle sue risate tutta la vettura, e il vecchio anche si mise a ridere, mostrando due denti gialli.
Ma, non aspettandomi di udire nulla d’interessante, mi alzai con l’intenzione di passeggiare sul marciapiede sino alla partenza del treno. All’uscita incontrai l’avvocato con la signora che parlavano animatamente.
— Non farete a tempo — mi disse l’ufficioso avvocato — ora daranno il secondo segnale.
E, difatti, non ero giunto all’estremità del treno che si udì il segnale. Quando tornai, fra la signora e l’avvocato continuava l’animata discussione. Il vecchio mercante sedeva in silenzio di faccia a loro, guardando con aria severa davanti a sé e arrotando di tanto in tanto i denti con disapprovazione.
— In seguito al che essa dichiarò nettamente a suo marito — diceva sorridendo l’avvocato al momento che io gli passavo davanti — che essa non poteva e non voleva vivere con lui, sicché...
Ed egli seguitò il discorso ma io non potei udire altro. Dopo di me entrarono ancora dei viaggiatori, passò il conduttore, balzò dentro di corsa un operaio e il frastuono durò abbastanza a lungo, in modo che non si udì per un pezzo ciò che si diceva fra quei due. Quando tornò il silenzio ed io potei udire di nuovo la voce dell’avvocato, il discorso da un caso particolare era già trascorso alle considerazioni generali.
L’avvocato diceva che la questione del divorzio occupava ora l’opinione pubblica in Europa, e che da noi si facevano sempre più frequenti simili casi. Accorgendosi che si udiva soltanto la sua voce, l’avvocato troncò il suo discorso e si rivolse al vecchio.
— Ai tempi antichi ciò non accadeva, vero? — disse egli, sorridendo con fare amichevole.
Il vecchio voleva rispondere qualcosa, ma in quel momento il treno si mosse, e il vecchio, togliendosi il berretto, cominciò a segnarsi e a dire sottovoce una preghiera. L’avvocato, rivolgendo altrove gli occhi, attese cortesemente. Avendo finito la sua preghiera e fatto tre segni di croce, il vecchio si calcò il berretto dritto in capo, si accomodò al suo posto e cominciò a parlare.
— Ciò accadeva anche prima, signore, ma meno di adesso — disse egli. — Al tempo d’oggi è impossibile che queste cose non accadano. La gente è diventata troppo istruita.
Il treno, aumentando sempre la sua velocità, faceva un gran frastuono sulle rotaie, e m’era difficile udire la conversazione: ma siccome m’interessava, andai a sedermi più dappresso ai due. Il mio vicino, il signore nervoso dagli occhi luccicanti, evidentemente s’interessava anche lui e, senza alzarsi dal suo posto, tendeva l’orecchio.
— Ma perché è un male l’istruzione? — disse la signora con un sorriso appena percettibile. — Era forse meglio sposarsi come in passato quando i due fidanzati non si dovevano vedere neppure? — continuò essa rispondendo, secondo l’abitudine di molte signore, non alle parole del suo interlocutore, ma alle parole che pensava che egli avrebbe dette. — Non sapevano se si amavano, se potevano amarsi, si sposavano così a caso ed erano infelici per tutta la vita. Secondo voi era meglio così? — disse essa, rivolgendo evidentemente il discorso a me e all’avvocato più che al vecchio col quale parlava.
— La gente è diventata troppo istruita — ripeté il mercante, guardando con disprezzo la signora e lasciando la sua interrogazione senza risposta.
— Sarebbe desiderabile sapere come voi spiegate il nesso fra l’istruzione e la discordia nel matrimonio — disse l’avvocato, sorridendo in modo appena percettibile.
Il mercante voleva dir qualcosa, ma la signora lo interruppe.
— No, quel tempo è passato — disse. Ma l’avvocato la fermò.
— No, lasciate che esprima il suo pensiero.
— Sciocchezze che si commettono per via dell’istruzione — disse recisamente il vecchio.
— Far sposare delle persone che non si amano e poi stupirsi che non vadano d’accordo! — si affrettò a dire la signora, gettando un’occhiata all’avvocato e a me e anche all’impiegato di commercio il quale, essendosi alzato dal suo posto, ascoltava il discorso col gomito appoggiato alla spalliera del sedile.
— Così si possono accoppiare soltanto gli animali, secondo la volontà del proprietario, ma le persone hanno le loro inclinazioni, i loro affetti — disse la signora con l’evidente desiderio di pungere il mercante.
— È inutile che diciate questo, signora — replicò il vecchio. — Le bestie son bestie, ma all’uomo è stata data la legge.
— Ma come vivere con un uomo quando non c’è amore? — si affrettò ancora la signora a metter fuori i suoi aforismi che, di certo, le sembravano molto nuovi.
— Prima non si facevano tante distinzioni — disse il vecchio con tono ispirato. — Ora soltanto si usano queste cose. Al minimo urto ora la moglie dice: «Me ne vado». Anche fra i contadini è venuta questa moda. «Su — dice la donna — eccoti le tue camicie e i tuoi calzoni e io me ne vado con Vanka che ha i capelli più ricciuti dei tuoi». Vacci a discutere! Nella donna per prima cosa ci deve essere il timore.
L’impiegato guardò la signora, poi l’avvocato, poi me, trattenendo evidentemente un sorriso, pronto a burlarsi delle parole del mercante o ad approvarle secondo gli paresse che fossero prese da noi.
— Quale timore? — disse la signora.
— Questo: il timore del ma-ri-to! Ecco quale timore.
— Questa è roba del tempo passato, buon uomo — disse la signora con una certa rabbia.
— No, signora, per queste faccende il tempo non è passato. Come era Eva, la donna formata dalla costola dell’uomo, così rimarrà sino alla fine dei secoli — disse il vecchio, scuotendo il capo con un fare così severo e così trionfante che l’impiegato subito decise che la vittoria era dalla parte del mercante, e si mise a ridere forte.
— Così giudicate voi uomini — disse la signora senza arrendersi e guardando verso di noi. — Concedete a voi stessi ogni libertà, e la donna la volete tener chiusa nel serraglio. Voi vi permettete qualunque cosa.
— Nessuno dà di tali permessi, ma c’è questo soltanto: che a cagione dell’uomo non accade nulla in casa: per la donna è un altro affare, l’involucro è fragile — continuò il mercante. La sicurezza del tono di lui evidentemente soggiogava gli ascoltatori e perfino la signora si sentiva scossa ma non si dava per vinta.
— Sì, ma io penso, e voi sarete d’accordo, che la donna è una creatura umana e ha sentimento come l’uomo. Che deve fare se non ama il marito?
— Non l’ama! — ripeté minaccioso il mercante, con un moto delle sopracciglia e delle labbra. — Lo deve amare! —. Quest’argomento inatteso piacque particolarmente all’impiegato che ebbe un mormorio di approvazione.
— Ma no, non la si può forzare — ribatté la signora. — Quando l’amore non c’è non si può costringere uno ad amare.
— E se la moglie tradisce il marito che si deve fare allora? — disse l’avvocato.
— Non si deve ammettere questo caso — disse il vecchio — bisogna impedirlo.
— Ma se la cosa accade? Eppure accade.
— Accade a qualcheduno, ma da noi non accade — disse il vecchio.
Tutti tacquero. Ma l’impiegato si mosse, si avvicinò ancora e, non volendo esser di meno degli altri, cominciò sorridendo: — Già, ecco, in casa del nostro principale è accaduto uno scandalo. Ma è troppo difficile giudicare come sia andato il fatto. Lei è una donna che ama la dissipazione. Lui invece è un giovane serio, istruito. Lei cominciò con un commesso. Il marito la riprese con le buone. Lei non smise. Seguitò a fare ogni specie di svergognatezze. Cominciò a rubargli il denaro. Lui la batté. Ma andò sempre peggio. Si mise ad amoreggiare con un ebreo, parlando con creanza. Che doveva fare il marito? Abbandonarla del tutto. Così lui vive da scapolo e lei seguita a far la donnaccia.
— Perché lui è un imbecille — disse il vecchio. — Se da principio non le avesse lasciata la briglia sul collo, ma l’avesse rimproverata a dovere, ora lei vivrebbe in grazia di Dio. Bisogna non concedere libertà fin da principio. Non ti fidare del cavallo in campagna aperta né della donna in casa.
In quel momento venne il conduttore a chiedere i biglietti per la prossima stazione. Il vecchio diede il suo biglietto.
— Sì, bisogna domare il sesso femminile, se no tutto va in rovina.
— Ma, come raccontavate voi stesso poco fa, alla fiera di Kunavin c’erano degli uomini ammogliati che facevano baldoria — dissi io, non potendo trattenermi.
— Questi son fatti particolari — disse il mercante e facendosi burbero, tacque.
Quando si udì il fischio, il mercante si alzò, tirò di sotto al sedile una sacca, si ravvolse nel mantello e, sollevando il berretto, uscì dalla vettura.

II.
Appena fu uscito il vecchio, cominciò un discorso a più voci.
— È un patriarca del vecchio testamento — disse l’impiegato.
— Ecco un Domostroi 1 vivente — disse la signora. — Che idee selvagge sulla donna e sul matrimonio!
— Già, siamo lontani dalla concezione europea del matrimonio — disse l’avvocato.
— Ma la cosa principale che certa gente non vuol capire — disse la signora — è che il matrimonio senza amore non è matrimonio, e che vero matrimonio è soltanto quello consacrato dall’amore.
L’impiegato ascoltava e sorrideva, desiderando tenere a mente per suo profitto quanto più poteva di quei discorsi interessanti.
Mentre la signora parlava, dietro a me si udì come un risolino represso o forse un singhiozzo, e, guardandoci intorno, vedemmo il mio vicino, quel signore solitario dai capelli grigi e dagli occhi luccicanti, il quale, durante la conversazione, che senza dubbio lo interessava, s’era approssimato a noi, senza farsi scorgere. Egli stava ritto, con le braccia appoggiate sulla spalliera del sedile ed era evidentemente agitato: aveva il viso congestionato e gli tremava il muscolo della gota.
— Che cos’è questo amore... amore... che consacra il matrimonio? — disse egli balbettando.
Vedendo l’agitazione del suo interlocutore, la signora si sforzò di rispondere nel modo più mite e più preciso che fosse possibile.
— Il vero amore... quell’amore fra un uomo e una donna... possibile anche nel matrimonio — disse la signora.
— Già: ma che cosa s’intende per vero amore? — disse il signore dagli occhi luccicanti, sorridendo con un certo imbarazzo e facendosi timido.
— Ognuno sa che cosa sia questo amore — disse la signora, che evidentemente desiderava interrompere quel discorso con lui.
— Ma io non lo so — disse il signore. — Bisogna definire che cosa intendete...
— Come? È molto semplice — disse la signora, ma si mise a riflettere. — L’amore? L’amore è l’esclusiva preferenza per una persona che si mette innanzi a tutti gli altri.
— Preferenza per quanto tempo? un mese, o due giorni o mezzora? — proruppe il signore canuto, e si mise a ridere.
— No, permettete, si vede che voi non parlate della stessa cosa.
— No, proprio della stessa cosa.
— La signora dice — entrò nel discorso l’avvocato, indicando la sua compagna — che il matrimonio dovrebbe nascere da un attaccamento, da un amore, se così volete, e se questo effettivamente c’è, allora, soltanto in questo caso, il matrimonio rappresenta per sé stesso qualche cosa, è, per così dire, santificato. Quindi ogni matrimonio alla base del quale non è posto un vero attaccamento, un amore, se volete, non ha moralmente in sé nessun freno di dovere. Ho capito bene? — si rivolse egli alla signora.
La signora con un cenno del capo espresse la sua approvazione per quel chiarimento del suo pensiero.
— Quindi... — proseguì a dire l’avvocato, ma il signore nervoso, che ora schizzava fuoco dagli occhi e visibilmente si tratteneva a stento, cominciò, senza permettere all’avvocato di continuare
— No, parlo della stessa cosa, della preferenza per uno o per una che si mette innanzi a tutti gli altri, ma soltanto domando: preferenza per quanto tempo?
— Per quanto tempo? Per molto, per tutta la vita a volte — disse la signora, stringendosi sulle spalle.
— Questo si vede solo nei romanzi, ma nella vita mai. Nella vita accadde che questa preferenza per uno innanzi a tutti gli altri, duri qualche anno, il che è molto raro, più spesso qualche mese, magari qualche settimana, qualche giorno, qualche ora — disse egli, comprendendo che faceva stupire tutti con questa sua opinione, ma contento di farlo.
— Oh! che dite! Ma no... no, permettete — esclamarono ad una voce tutti e tre. Anche l’impiegato mandò fuori un grido di disapprovazione.
— Già, lo so — gridò più forte di noi il signore canuto — voi parlate di ciò che si crede che esista, ma io parlo di ciò che è. Ogni uomo ha provato quello che voi chiamate amore per qualsiasi bella donna.
— Ah! è terribile ciò che voi dite: ma pure esiste fra la gente questo sentimento che si chiama amore e che dura non mesi e anni, ma tutta la vita.
— No, niente affatto. Anche ammesso che un uomo possa preferire una data donna per tutta la sua vita, questa donna, secondo tutte le verosimiglianze, preferirà un altro, e così è stato sempre ed è nel mondo — e tirando fuori il portasigarette si mise a fumare.
— Ma l’amore può essere anche reciproco — disse l’avvocato.
— No, non può essere — replicò l’altro — come non può essere che in un carico di ceci due ceci segnati in un dato modo capitino vicino. E non è neppure una probabilità ma è una certezza che verrà la sazietà. Dire che si può amare per tutta la vita un uomo o una donna, è lo stesso che dire che una candela può durare tutta la vita — disse egli, stiracchiandosi con voluttà.
— Ma voi parlate sempre dell’amore fisico. Che forse non ammettete un amore fondato sulla conformità d’ideali, sull’affinità spirituale? — disse la signora.
— Affinità spirituale! Conformità d’ideali! — ripeté egli con quel suo sghignazzo solito. — Ma in tal caso non c’è bisogno di stare a letto insieme (scusate la grossolanità). La conseguenza di questa conformità d’ideali è di andare a letto insieme — disse egli, e rise nervosamente.
— Ma permettete — disse l’avvocato — il fatto contraddice a ciò che voi asserite. Noi vediamo che il matrimonio esiste, che sempre l’umanità o la maggior parte di essa è vissuta coniugalmente, che molti conducono e finiscono insieme una vita coniugale.
Il signore canuto rise di nuovo.
— Voi dite che i matrimoni si basano sull’amore, e quando invece io esprimo il dubbio sull’esistenza dell’amore che non sia sensuale voi volete provarmi l’esistenza dell’amore perché esistono i matrimoni. Ma il matrimonio a tempo nostro non è altro che un inganno.
— No, permettete — disse l’avvocato, — io dico soltanto che sono sempre esistiti ed esistono i matrimoni.
— Esistono! Ma perché esistono? Sono esistiti ed esistono per coloro che vedono nel matrimonio qualcosa di sacro che li obbliga dinanzi a Dio. Per coloro esistono, ma per...

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