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Introduzione alla filologia
About this book
Un saggio divulgativo su tutti gli aspetti della filologia, punto di riferimento per studiosi ed appassionati. Giulio Bertoni (Modena, 26 agosto 1878 – Roma, 28 maggio 1942) è stato un linguista, filologo e critico letterario italiano.
Fu uno dei filologi romanzi più completi della scena internazionale.
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Information
IV. I Problemi fondamentali
Alla luce di questi criteri, esaminiamo ora i problemi fondamentali della nostra disciplina, opponendo e unificando, volta a volta, la lingua come «fatto» e la lingua come «attività».
Dell'unità d'origine delle lingue o della loro origine pluralistica si è usi parlare, comunemente con riferimento alle lingue obbiettivate. E, allora, si tratta di un problema empirico: se, cioè, astrazion fatta dall'espressione, certi gruppi di lingue del globo antiche o moderne, o tutte le lingue antiche e moderne del globo provengano da uno o più ceppi, senza escludere in un passato più remoto una diversa condizione di cose. Le lingue, allora, sono considerate entro l'ambito più o meno vasto di uno o più periodi della storia dell'uomo. Il problema, impostato in questi termini, è ragionevole. Diventa assurdo, se si confonde con la «lingua» intesa come «fatto» la lingua intesa come attività. In questo modo si può risolvere una delle più note antinomie linguistiche studiate da V. Henry («le language est un; le language est multiple»); noi diciamo: il pensiero è uno; ma la «lingua» è molteplice.
Anche il problema della classificazione delle lingue deve essere studiato sotto la luce dei princípi esposti nelle pagine precedenti. Non v'ha dubbio che, impostato male, esso sia addirittura insolubile. Si può riconoscere infatti la comunanza d'origine di più lingue (per es. del sanscrito-tocarico-greco-latino-celtico, ecc.; del caucasico e del basco; del bantu e del sudanese, ecc.), ma non è possibile, scientificamente parlando, fissare i termini o le relazioni della loro parentela. Non è esatto, a ragion d'esempio, discorrere di lingue «madri» e di lingue «figlie», perchè quest'ultime altro non sono che la continuazione delle prime, cioè esse stesse sono le prime in condizioni storiche diverse. Onde è erronea anche la distinzione in lingue «sorelle» poichè si tratta pur sempre di una sola lingua (p. es., l'italiano, il francese, lo spagnuolo, ecc. non sono che il latino). La ragione della impossibilità, in cui siamo, di determinare, una volta riconosciuta l'affinità, il grado di questa affinità è stata veduta da parecchi linguisti e sta nella serie continua di innovazioni, che, sorgendo in questo o quel punto, non hanno mancato e non mancano mai di diffondersi e di provocare differenziazioni successive, le quali finiscono sempre con alterare rapporti di una lingua con un'altra finitima. E si noti che, se si può dimostrare in sede scientifica, l'affinità di due o più lingue, non è possibile, per contro, «dimostrare» che due o più lingue non siano affini.
Inoltre, le immigrazioni, la scomparsa di lingue e la sostituzione di altre, il prevalere di una su altra, per ragioni geografiche, sociali culturali, ecc., sono tutte cause che ostacolano ogni ricerca scientifica sul grado di parentela. Si può, cioè, riconoscere la comune origine di certi linguaggi, come di quelli ariani e di quelli neolatini, ma non è lecito classificare meccanicamente questi linguaggi, nei quali ogni fenomeno ed ogni parola hanno una loro storia particolare. Altrettanto si dica delle lingue di tutti i gruppi linguistici: del camito semitico, del dravidico, dell'uralo-altaico, ecc. ecc. e anche dei gruppi medesimi, in quanto possano collegarsi a unità primitive.
Se passiamo ora al problema delle radici, diremo che questi elementi non sono i progenitori delle famiglie dei vocaboli, ma sono ricavati per astrazione dalla espressione, poichè ormai deve esser chiaro che si parla per proposizioni e non con parole isolate. Il Pott, più di ottant'anni or sono, aveva posto il problema sulla via della sua soluzione, scrivendo che in realtà non esistono radici di una lingua e che «anche ciò che esteriormente può parere una mera radice, è una parola, è la forma d'una parola, non è una radice, poichè radice è appunto l'astrazione che si fa dalle classi delle parole ed è, come a dire, la luce comune ad esse, il vertice di una piramide, che contiene i membri di una determinata famiglia». E ancora: «le radici sono soltanto ideali, sono astrazioni necessarie al lavoro del grammatico, che egli del resto deve ricavare attenendosi strettamente alle forme reali della lingua». In altre parole, le radici, checchè sia stato detto e scritto dopo il Pott, non sono mai esistite come entità reali. Non sono esistite che le proposizioni, le quali alcuni vogliono siano state dapprima monomie, altri binomie, pur essendo state sempre «proposizioni». Ma la questione della monomia o plurinomia, è insolubile. Per ragioni pratiche, anche il Pott diceva monomie, olofrastiche, le proposizioni primordiali, ammettendo che le variazioni interne, i raddoppiamenti, le composizioni, ecc. fossero fenomeni sviluppatisi in serie cronologica. È, questo, un modo di rappresentarsi le cose, partendo dal presupposto che dalle forme più complesse si debba arrivare alle forme più semplici (vedremo che cosa sia da pensare di questa concezione) via via sino all'origine del linguaggio. Ma noi abbiamo già visto che se si può parlare del problema dell'origine dei gruppi linguistici, non esiste, invece il problema dell'origine delle lingue. Esso appartiene, in caso, alla teologia e non alla linguistica.
Dalle teorie sulle radici procede la così detta teoria dell'agglutinazione. Essendo il linguaggio non già un'invenzione dell'intelletto umano e neppure un prodotto naturale organico, ma un'attività umana con riflessi divini, una categoria, senza cui l'uomo non sarebbe più uomo, è chiaro che non si può accettare l'opinione comunemente ammessa e formulata già dal Curtius, che nel linguaggio si possano distinguere diversi strati, non altrimente che nella geologia, e che da uno stadio radicale si passi ad uno stadio flessivo, ecc. Il Curtius moveva, in fondo, dalle risultanze delle comparazioni del Bopp e dei suoi seguaci, i quali si opponevano risolutamente alla teoria di Federico e Augusto Guglielmo Schlegel sulla indipendenza effettiva della flessione (con mutamenti e accrescimenti nel seno delle radici) dall'agglomeramento degli affissi. Le lingue flessive, secondo Fed. Schlegel, sono ricche e durevoli, paragonabili a un tessuto organico che cresca dal di dentro; le altre sono aride e quasi incapaci di svolgimento. Il Bopp, invece, aveva formulato il principio che nelle lingue indoeuropee le radici erano monosillabiche e che le modificazioni grammaticali, salvo taluni casi di «trasformazione organica» (processo, a cui il Bopp diede il nome di simbolismo) non si potevano spiegare per variazione interna, ma solo coll'aiuto di nuove aggiunte pronominali e talora verbali (teoria dell'agglutinazione o della composizione). Questo principio fu quello che ottenne i maggiori suffragi dei dotti che discussero sui modi dell'agglutinazione (Giacomo Grimm, Benfey, ecc.), ma accettarono il teorema del monosillabismo, al quale parve favorevole persino G. di Humboldt.
Il problema fu formulato (un po' all'ingrosso) hegelianamente dallo Schleicher, per il quale esistono tre classi di lingue: le prime «isolanti» con sole radici significative, le seconde con radici, a cui si aggiungono segni di relazione, e le terze con intima connessione o unità dei segni significativi e relativi. Le seconde lo Schleicher chiama propriamente «agglutinanti», le terze «flessive» (agglutinanti-flessive). Ma lo Schleicher si riattaccò alla concezione dei Boppiani sostenendo che dalle lingue isolan...
Table of contents
- Copertina
- Introduzione alla filologia
- Indice dei contenuti
- Nota introduttiva dell'autore
- I. Lingua e pensiero
- II. L’espressione concreta
- III. L’espressione naturalistica
- IV. I Problemi fondamentali
- V. Lessicologia e geografia linguistica
- VI. Etimologia, grammatica e storia
- VII. L’espressione estetica
- VIII. Epilogo