Riassunto del Nuovo Disegno di Cosmografia
e Topografia Dantesca .
§ 1.
Un lavoro storico-scientifico nuovo nel suo genere è quello di una completa esposizione delle forme geografiche e astronomiche secondo le quali si disegna e si svolge il mondo ideale della Divina Commedia. Ma a siffatto lavoro è necessario, come osserva il Marinelli, avere davanti agli occhi continuamente da un lato lo spazio e dall'altro il tempo in cui ha luogo l'azione, e stare attenti con cura gelosa che l'uno corrisponda all'altro e nell'assieme e nei minimi particolari: oltre a ciò è mestieri formarsi un'idea chiara e compiuta dei concetti cosmografici di Dante, al che servono egregiamente i passi del Convito e le opere di storia della geografia e della cosmografia di Peschel e di Günther.
Questo lavoro venne tentato appunto dal maggiore Vaccheri e dallo scrivente con un nuovo esame della Divina Commedia e delle altre opere di Dante considerate esclusivamente dal punto di vista della Topocronografia. E venne intrapreso coll'espresso intento di dimostrare un concetto d'ordine in gran parte morale e filosofico: l'identità del Monte del Primo Canto con quello del Purgatorio, notando in particolar modo l'assurdo che risulta dal proporsi un fine nel Proemio della Commedia per poi raggiungerne un altro nella Commedia stessa, e dal presentarci con tanta solennità la figura di questo Monte, che è principio e cagione di tutta gioia, per poi abbandonarla in tutto il corso della meditata e simbolica rappresentazione. È tanto più inconcepibile questo abbandono dell'idea primitiva di salire il Monte in quanto che sta pur ferma nel Poeta la sentenza riguardante la lupa, la bestia senza pace,
“Che del bel monte il corto andar gli tolse”
e sta il fatto che, toltogli il corto andare ad esso Monte, sale egli di poi il Monte del Purgatorio. Dunque: o il Monte del Purgatorio è lo stesso Monte del primo canto, o questo verso non ha senso.
Il dilemma sembra abbastanza chiaro .
Si tratta di decidere che il verso ha senso, e di dimostrarlo.
Secondo il disegno accettato sin qui dell'inferno Dantesco nei noti lavori del Manetti, del Vellutello, del Ponta, del Borgognini, del Sorio, del Benassuti, del Gregoretti, dell'Antonelli, del Della Valle, del Bähr, del Goeschel, del Longhena, del Witte, del duca di Sermoneta , bisognava per forza ammettere che il Monte del primo canto fosse nel nostro emisfero, mentre quello del Purgatorio si stava nell'emisfero opposto.
Ed ecco adunque un ostacolo reso venerando dai secoli, che nessuno mai ha osato porre in dubbio un solo istante, e che siamo ora per la prima volta costretti ad esaminare d'appresso in tutte le sue particolarità.
Da questo esame, nuovo in questo genere di studi, si sono dedotte due cose. La prima che l'inferno conico dei commentatori è geometricamente insostenibile. La seconda: che è affatto estraneo alla mente del Poeta.
Per la prima si adducono in prova i seguenti due fatti: un cono scaglionato dalla superficie della Terra fino al centro, colla legge del perpendicolo, è impossibile; il cono si chiude se lo si incomincia alla superficie; il cono si rovescia se lo si incomincia dal centro. Ciò, a chiunque si metta alla pratica del disegnarne il profilo, riescirà irrepugnabilmente chiarito.
Per la seconda si adducono le seguenti prove:
1° Le condizioni cronografiche messe da Dante stesso al suo viaggio infernale e secondo le quali, stando al disegno di un cono unico, o l'azione che riempie la Cantica Infernale avrebbe dovuto compiersi in sole tre ore, o quella fra il Canto VII e l'XI avrebbe dovuto aver luogo in un tempo negativo!
2° Dante chiude effettivamente il cono incominciato alla superficie della Terra, formandone la Conca ove stanno gli incontinenti.
3° La palude del Flegias, la grande campagna, ed in ispecie il Malebolge, sono descritti da Dante in modo da escludere affatto l'idea ch'egli avesse potuto immaginarli nella continuazione di un cono unico fino al centro della Terra.
Il lavoro di cui si tratta non poggia solamente sopra un polo negativo: esso anzi coordina ogni cosa al punto positivo della dimostrazione di un monte solo, come già si è detto; e a questo fine si ricostruisce, dopo una nuova lettura della Commedia, l'intera macchina ideale dell'Allighieri secondo la scienza attestata dalle sue opere, e la cosmografia del Medio Evo.
Ora: si metta ciò che risulta dalla tentata costruzione del cono scaglionato colla legge dei perpendicoli fatto incominciando dalla superficie della Terra e chiuso in fondo alla guisa di un anfiteatro; si metta ciò che risulta dalla tentata costruzione del cono stesso fatta colla medesima legge e incominciando dal centro della Terra, e si vedrà che quest'ultimo è un cono che si rovescia cogli scaglioni all'esterno.
Dante ha anch'esso dovuto fare il medesimo tentativo grafico nella sua mente; anch'esso ha dovuto trovare le stesse difficoltà geometriche alla formazione di un cono unico, perchè la geometria è la stessa in tutti i tempi per chi vuol tentare gli stessi problemi; anch'esso ha dovuto riuscire ai due disegni surriferiti, l'uno alla superficie e l'altro al centro della Terra, perchè le leggi geometriche inesorabilmente trascinano a siffatti disegni anche chi per avventura era lontanissimo dal prevederne i risultati; anch'esso ha dovuto pensare a riunire questi due disegni con una grande superficie intermedia e con alcune discese.
Ed eccone le prove:
Prima di tutto, come già si è detto, la Conca si chiude; è un anfiteatro di sei gradini che ha in fondo la palude del Flegias, lungo la quale si esce orizzontalmente. E non si può uscire altrimenti, in barca sopra un lago, che in senso orizzontale.
In secondo luogo il Poeta, appena giunto nella città di Dite, si trova in una grande campagna; qualità questa che non si potrebbe applicare ad uno qualunque degli scaglioni digradanti del vecchio cono infernale, ed anzi ad un lembo solo di siffatto gradino, poichè dalla Palude alla Città di Dite, considerata nella Grande Campagna, non vi è discesa sensibile.
Da ultimo la descrizione del Malebolge data dal Poeta combina perfettamente col disegno del cono rovescio dato dal nuovo lavoro. Questo fatto è così sorprendente che può parere una scoperta.
Dante discende al centro della Terra, non già in linea perpendicolare o spirale conica, ma secondo una linea speciale le cui coordinate angolari, coll'avvicinarsi al centro, si accorciano irregolarmente e diminuiscono fino a zero.
Ma siccome qualunque via dalla superficie della Terra non può giungere fino al centro (ad eccezione della perpendicolare e della spirale conica suaccennate) se non passando nell'emisfero opposto a quello dal quale si è entrati; così Dante essendo giunto al centro della Terra dalla parte della testa di Lucifero, che è rivolta all'emisfero boreale, deve esser partito necessariamente dall'emisfero Australe. Ed ecco che la Selva del primo canto, il Colle vestito dei raggi del pianeta, la Conca degli incontinenti, l'ingresso a Dite, la Campagna di Farinata, i tre gironi dei violenti, il burrato del Gerione ed una parte del Malebolge, appartengono per conseguenza tutt'insieme all'emisfero australe.
Ma siccome ancora il Monte del Purgatorio è stato immaginato dal Poeta nell'emisfero australe alla latitudine di 32 gradi, isolato in mezzo al mare, nel punto antipodo a Gerusalemme, così ne viene che per non immaginar gratuitamente un'altra isola nello stesso emisfero ove collocare il Monte dilettoso e la Selva del primo canto, dobbiamo ricorrere alla stessa isoletta del secondo regno, e ammettere che il monte veduto da Dante nell'uscir dalla selva, è lo stesso Monte del Purgatorio.
Dal prof. Pasqualigo e da altri si è obbiettato adducendo l'impossibilità delle acque provenienti dal Monte Ida in Creta, di formare l'Acheronte, lo Stige, il Flegetonte, il complesso insomma della idrografia infernale, nell'altro emisfero – ove, in questa nuova ricostruzione, si colloca l'Inferno di Dante. Questa impossibilità sparisce immediatamente se si considera che la natural linea di discesa verso il centro del globo non è per nulla vincolata, come già si è accennato in addietro, ad un solo emisfero e deve anzi passare alternatamente dall'uno all'altro, secondo la qualità della traiettoria e la dolcezza della pendenza.
Una fra le molte prove circa all'aver Dante immaginato di trovarsi nell'emisfero australe, nella maggior parte del suo cammino nel regno dei morti, è appunto lo stupore dal quale il Poeta mostra di esser colpito alla vista del Flegetonte:
Se il presente rigagno
Si deriva così dal nostro mondo
Perchè ne appar pure a questo vivagno?
Onde si rileva spiccatamente la differenza che esiste fra il luogo in cui immagina Dante di trovarsi e quello designato nel nostro mondo. E non ci sarebbe per vero ragione a stupore se i due luoghi appartenessero ad uno stesso emisfero. Se vivagno anzichè esprimere col suo stesso nome una regione estrema, lontana dal nostro mondo, fosse invece dalla stessa parte di questo, niuna meraviglia che abbia a ricadere in basso l'acqua proveniente dalle regioni immediatamente superiori mentre la natural linea di pendenza che, senza essere una spirale conica, si avvicina al centro della Terra, e per cui le acque del Monte Ida possono immaginarsi trasmesse in via sotterranea all'emisfero australe, non risulta così evidente al nostro intelletto quanto l'idea di una immediata discesa per gradini in un vasto anfiteatro scavato nello stesso emisfero.
§ 2.
Altre difficoltà si sono messe innanzi riguardo a questo esordio della Commedia da noi trasportato addirittura nell'emisfero australe. Si domanda, per esempio, come può aver fatto il Poeta ad attraversare l'immenso mare che cinge l'isola del Purgatorio, per trovarsi poscia smarrito nella selva? Ma si dimentica qui che trattasi di una Visione, che il Poeta è libero di sceglierne il teatro dove meglio gli conviene, e che essendo una visione allegorica gli conviene anzitutto di sceglierla in luogo quanto più può remoto dal mondo reale: in un mondo totalmente fantastico, quale è appunto questa isoletta immaginaria dell'emisfero Australe.
Il prof. Molineri oppone al nuovo disegno le due terzine descrittive che si riferiscono all'isoletta del Purgatorio:
Questa isoletta intorno ad imo ad imo,
Laggiù colà dove la batte l'onda,
Porta dei giunchi sovra il molle limo.
Null'altra pianta che facesse fronda,
O indurasse, vi puote aver vita,
Però ch'alle percosse non seconda.
Purg., C. I, v. 100-105.
Egli afferma che basta questa indicazione a render vano ogni tentativo di identificare la montagna del Purgatorio col Colle del I Canto del Poema .
Ora, chiunque legga con un po' di attenzione le terzine messe innanzi dal Molineri, non ha bisogno di riflessioni molto profonde per avvedersi che qui si parla del contorno dell'isoletta del Purgatorio “intorno ad imo ad imo, laggiù colà dove la batte l'onda” ciò che indica il sito ove cresce il giunco, di cui Catone vuole che Virgilio ricinga i lombi del nostro Poeta, sciolto dalla corda simbolica che venne gittata nel burrato del Gerione. Ma che il paesaggio per tal modo segnalato sulla spiaggia dell'isola, si debba ritenere identico al paesaggio interno, di cui qui non si fa cenno, è per lo meno arbitrario e gratuito. Tanto in natura quanto (fino a prova contraria) nell'immaginazione di Dante, il fatto che un'isola ha nel suo contorno un paesaggio marino non esclude la possibilità, nel suo interno, di un paesaggio selvoso ed alpestre. Nè si intende che la selva del I canto debba proprio trovarsi, rispetto al Monte, dalla stessa parte a cui arriva il Poeta uscendo dall'Inferno. È anzi necessario assolutamente che vi arrivi per un'altra parte, diversa da quella in cui trovavasi la lupa onde gli convenne, dietro il suggerimento di Virgilio, di tener altro viaggio. La differenza di paesaggio adunque non costituisce un argomento serio in opposizione al disegno proposto di un monte solo, poichè, ripeto, si sa bene che il paesaggio marino del contorno non modifica per nulla la possibilità ed anzi la necessità di un paesaggio diverso nell'interno, sul fianco opposto della montagna che forma il centro dell'isola. Badisi inoltre che Dante nel I Canto attribuisce alla Selva qualità che nulla veramente hanno di concreto e di descrittivo. Un pittore si troverebbe molto imbarazzato a riprodurre la propria impressione. Lo Scaramuzza mi confessò ...