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Uno spaccato sociale, politico ed economico della New York della fine dell'Ottocento, tra umorismo e riflessioni sociali. Adolfo Rossi (Valdentro di Lendinara, 30 aprile 1857 – Buenos Aires, 22 settembre 1921) è stato un giornalista, scrittore e diplomatico italiano.
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Topic
Personal DevelopmentSubtopic
TravelAlberto Mario a New York
Appendice
Fino dai primi tempi in cui stavo a New-York, cercai di raccogliere notizie intorno al viaggio che nel 1858 fece negli Stati Uniti il mio concittadino Alberto Mario insieme con sua moglie, la signora Jessie White.
E seppi che poco dopo essere sbarcato dal Kangaroo, verso la metà di novembre di quell'anno egli fece a New-York, in una Hall della Quarta Avenue, fra la 19^a e la 20^a strada—ora demolita—una conferenza in lingua italiana sulle condizioni d'allora e sulle speranze dell'Italia. Vi assistettero tutti gli italiani più colti di New-York, oltre parecchi americani amanti del nostro paese e profughi stranieri. L'introito fu da Alberto Mario mandato a Mazzini.
Avendo sentito dire dai più vecchi italiani residenti a New-York che il discorso era stato stupendo, e che a loro pareva sempre di vederlo il giovane e biondo patriota, che parlava con l'accento di una profonda fede nella libertà della patria, che affascinava coi suoi grandi occhi e con la bellissima voce, provai un acuto desiderio di ricercare quel discorso ed ebbi la fortuna di rintracciarne una copia—l'unica, probabilmente, esistente—appunto fra le carte della famiglia della signorina Mary.
La madre di Mary, che aveva assistito alla conferenza, mi diceva che doveva essere stata scritta dall'autore durante la lunga traversata dell'Atlantico. A me è sembrata così interessante che, trattandosi anche di uno scritto inedito che è un vero documento storico, chiedo ai lettori il permesso di farne un sunto, citandone testualmente qualche brano.
La conferenza era intitolata: L'Italia, e portava questa epigrafe di Seneca: Vivere, mi Lucili, militare est. (Traduzione libera: Vivere, o fratelli, è pensare, patire e fare).
Cominciava così:
«Signore e signori: vi venne mai fatto d'incontrarvi in qualche patrizio di stirpe antichissima e gloriosa, presentemente decaduta e nella povertà? Ebbene; l'avrete veduto indolente e altiero, imbelle e millantatore: non vi avrà parlato che degli emblemi della sua arme gentilizia e vi avrà detto:—Questo berretto che sovrasta all'arme è il corno ducale; perchè io sono nipote di dogi: queste bandiere e queste lancie avviluppate, ricordano due miei arcavoli che mossero in Palestina guerrieri crociati. Ebbi fra gli avi miei magistrati integerrimi, letterati insigni, capitani che morirono sulle mura della patria. Sangui illustri per un lungo ordine di generazioni si mescolarono col sangue de' miei maggiori. Non vi dirò nè dei palagi, nè delle ville, nè delle campagne che facevano straricca la mia famiglia.
«E voi, suppongo, avrete interrotto l'orgoglioso ripetitore dell'inventario gentilizio chiedendogli:—Ma tu che possiedi ora? quali sono le opere tue?—Ed egli:—Ma gli avi….—Che avi! parla di te, e rispondi.—E il pover'uomo avrà confessato mormorando:—Nulla!
«Ed a costui le genti straniere assomigliano l'Italia, e la chiamano patrizio spiantato e inetto, e le dicono con sorriso maligno: sta bene, ci hai affaticate le orecchie da lungo tempo narrandoci le tue glorie passate….»
Qui l'oratore, con uno squarcio mirabile in cui sono condensate le più belle pagine della nostra storia, diceva che gli stranieri ricordano che l'Italia, erede della civiltà greca, l'ha diffusa con le sue conquiste nel mondo noto agli antichi, traducendone il pensiero dall'ordine speculativo nella realtà delle istituzioni politiche e municipali, nella pratica delle discipline legislative alle quali tolse il carattere di ineguaglianza civile, che rompeva la società in frammenti gli uni sovrapposti agli altri gerarchicamente, e così si fece precorritrice dell'eguaglianza morale predicata dal cristianesimo.
Nei giorni crudeli e dolorosi in cui la decrepita razza latina si rifondeva nel violento rimescolamento con quelle truci orde venute dall'Asia, l'Italia, col mezzo dei suoi primi pontefici, ha alleggerite le sofferenze agli oppressi, inculcando nel cuore dei tormentatori le pietose dottrine del vangelo, disarmandone le ire e ridicendoli a propositi più miti, e diede asilo segreto nei monasteri a quei tesori di sapienza antica che per poco si sottrassero alle devastazioni della barbarie armata; ha fatto conoscere, che mentre l'Europa dormiva il profondissimo sonno dell'ignoranza, ella, splendida di genio e di dottrina, sorgeva iniziatrice della civiltà moderna con quel miracolo di ingegno che fu Dante Alighieri, il quale non solo ebbe aperti nuovi mondi e vie inusitate alla poesia ed alle arti, ma sorse a formulare la più virile protesta pronunciata da labbro mortale contro il papato degenere e diventato principalissima e perpetua calamità degl'italiani.
Dietro quel Nume della sua letteratura ha fatto conoscere, come astri di corteggio intorno al sole, una schiera di spiriti pellegrini che svilupparono i germi del pensiero moderno raccolti e chiusi nella sintesi dantesca: Petrarca
…..Quel dolce di Calliope labbro
Che Amore, in Grecia nudo e nudo in Roma,
D'un velo candidissimo adornando,
Rendea nel grembo a Venere celeste;
al quale e al Boccaccio l'Europa è debitrice del primo saggio di restituzione delle opere greche e latine, di quel tesoro che, annotato, commentato e volgarizzato, si diffuse mercè le tipografie italiane: imperocchè fino dal 1465 le cento città tramutaronsi in officine ove si sudava alla perpetuazione delle idee.
In tal guisa richiamata l'attenzione e l'interesse del genere umano al mondo reale, esso fu sottratto al suicidio a cui lo avrebbe trascinato il trionfo della dottrina cattolica, la quale insegna che noi siamo qui di passaggio, che la nostra patria è il cielo, che i maggiori nostri nemici sono il mondo e la carne, che la virtù vera, l'ideale divino consistono nel celibato, nella macerazione del corpo e nella verginità custodita in mezzo ai chiostri.
E la letteratura fino a Torquato Tasso fu uno scroscio di risa a questa dottrina, che risuonarono sin entro ai tabernacoli del santuario cattolico; dal Decamerone del Boccaccio alle Novelle di Franco Sacchetti, al Morgante del Pulci, all'Orlando dell'Ariosto, che riassume e sigilla quest'epoca luminosa del Risorgimento; e dopo quelle risa il Cattolicismo non ha più potuto parlare sul serio per gl'intelletti illuminati, imperocchè evidentemente esso aveva compiuta la sua missione sul cammino del progresso universale; e quelle risa prepararono il terreno ed affrettarono l'ora solenne della Riforma; e apostoli primi e primi martiri della Riforma furono cittadini delle gloriose repubbliche italiane: Arnaldo da Brescia, i Catari e i Paterini, e Girolamo Savonarola, che volevano ridurre la Chiesa Romana alle massime dell'Evangelio, e porre in accordo la fede colla ragione; Arnaldo da Brescia sino dai primi anni del secolo undecimo corse la penisola a propagarvi le teorie dell'avvenire che si incarnarono nelle democrazie comunali del medio evo, aiutò Crescenzio a stabilire la repubblica in Roma, dichiarò dal Campidoglio decaduto il papa dal dominio temporale, e fu bruciato vivo dal papa più tardi alla Porta del Popolo: i Catari e i Paterini formavano una grande associazione di repubblicani nel Lombardo-Veneto, e furono scannati in massa dal papa; Gerolamo Savonarola era capo della democrazia pura in Firenze, al letto di morte di Lorenzo il Magnifico gli rifiutò la assoluzione perchè non volle restituire la libertà alla repubblica, ch'egli aveva usurpata, inalberò primo la bandiera «Dio e Popolo,» Savonarola fu fatto gettare sul rogo dal papa.
L'Italia ha fatto conoscere—seguitava l'oratore con un crescendo di eloquenza meraviglioso—che diede all'Europa i primi e più perfetti modelli delle costituzioni politiche; dal meccanismo complicato e sorprendente della Repubblica di San Marco, agli istituti radicali di Firenze, ove si degradava un cittadino malvagio facendolo nobile e si rimunerava il nobile virtuoso iscrivendolo nell'albo dei lanaiuoli e dei tintori, ove fu ideato e praticato il principio di vera giustizia distributiva sociale, cioè a dire la imposta unica e proporzionata sul capitale.
Ha fatto conoscere, che sue sono le massime invenzioni commerciali—la bussola, le banche, i contratti di assicurazioni marittime—e suoi i trovati dei Monti di Pietà; che opera sua furono i grandi e molteplici viaggi e la navigazione; opera sua gli emporî e le corrispondenze commerciali in Europa, in Asia e in Africa, tutte sistemate e protette con trattati e consolati e statuti, i quali costituivano un genere di potenza sconosciuta e che fu estesa per tutto il globo; ha fatto conoscere, che introdusse in Europa, con Leonardo Fibonacci, le cifre arabiche e l'uso dell'algebra, che ha creata la meccanica e ricostrutta dalla base l'astronomia con Galileo, scoperta la circolazione del sangue con Fra Paolo Sarpi, stabilite le fondamenta della matematica sublime con Cavalieri, sciolti i maggiori problemi di algebra con Tartaglia, Cardano, Ferrari, e d'architettura con Brunellesco e Michelangelo, rilevata di pianta l'anatomia con Malpighi, aperte nuove e interminabili regioni alla fisica con la pila d'Alessandro Volta, della quale la telegrafia elettrica non è che una delle numerose applicazioni, ridotta a scienza la legislazione con Accorso, Alciato e Filangieri, spenti i roghi e rotte le funi con Cesare Beccaria, ridotta a scienza l'economia politica con Antonio Genovesi, con Intieri e con Galiani, l'arte militare con Raimondo Montecuccoli e con Napoleone Bonaparte, la politica con Macchiavelli, e la storia con Giambattista Vico, ammonì che tanto importante fu la opera del Vico, e così straordinario prodotto della mente umana, che essa caratterizza le tendenze intellettuali del nostro secolo.
Ha fatto conoscere, che fu maestra solenne nelle arti del disegno e della musica e nominò Ghiberti, Buonarroti, Raffaello, Cellini, Tiziano, Canova, Pergolesi e Rossini, a ciò che ogni uomo s'inginocchi e adori le divine sembianze del genio; ha fatto conoscere, che la filosofia moderna è uscita dalla sua grande scuola filosofica del secolo XVI e XVII, la quale liberò il pensiero umano dall'aristocrazia di Aristotile che lo teneva prigioniero in un circolo vizioso di arzigogoli teologici e lo svigoriva con una ginnastica improduttiva di sillogismi e di entelechie, pasticcio filosofico noto sotto il nome di filosofia scolastica, di cui, com'è naturale, fu patrocinatrice la Chiesa romana; perchè era supremo interesse, era questione di esistenza per la Chiesa romana di perpetuare l'ignoranza, ovvero (che è peggio), non potendo riuscirvi, di evirare lo ingegno con sottigliezze e con metafisicherie, le quali, assurde nella loro base, non possono condurre a nessun risultato pratico, a nessuna utile applicazione.
Sorse Bernardino Telesio, soggiunse, e insegnò che la sola esperienza e il metodo induttivo possono guidare alla conoscenza del vero: Tommaso Campanella sulla traccia di Telesio tentò una ricostruzione enciclopedica delle scienze filosofiche nei loro rapporti cogl'Istituti politici, sociali ed economici; poi in un altro libro segnò le prime linee della società futura, ove sono adombrate alcune idee fondamentali dei socialisti moderni: e quel libro—intitolato «La città del sole»—è la repubblica di Platone presieduta da Cristo.
Il cancelliere Bacone da Verulamio non fu che un continuatore di Celesio, più celebre e più applaudito, ma meno grande di Campanella. Pietro Pomponazzi e Lucilio Vanini si posero intorno ai dogmi, alla dottrina e alla morale del Cattolicismo e assoggettati alla critica della ragione, incominciarono la demolizione scientifica e furono i fondatori di quel metodo che si chiama criticismo filosofico, e i primi maestri di Pietro Bayle, di Voltaire, degli Enciclopedisti francesi. Giordano Bruno nelle sue speculazioni sublimi si distaccò affatto dal sovrannaturalismo, cioè dalla rivelazione immediata divina (onde precorse a Cartesio), e costrusse un sistema di filosofia ove sollevò l'uomo, sino allora depresso, decaduto e maledetto, alle altezze della divinità, fece dell'uomo, di Dio e del mondo un tutto che si manifesta con forme o con rappresentazioni differenti, ma sostanzialmente identiche. L'oratore trovò trasfuso quel panteismo in varia misura nelle opere di Spinosa, di Mallebranche, di Leibnitz, di Hobbes, di Shelling e di Hegel, e conchiuse: quel Panteismo, diventato subbiettivo con Fichte, è il genio della filosofia moderna.
Ha fatto conoscere, che nella giornata di Legnano, fiaccata l'oltracotanza dell'imperatore Barbarossa, guarentì l'esistenza delle due repubbliche; che in Sicilia vendicò l'onta di un'oppressione insolente uccidendo tutti, senza eccezione, i francesi insultatori al suono dei vespri immortali; che la sua Venezia, con una costanza di lotte secolari, ha salvata l'Europa dalla barbarie musulmana; che in Napoli, sotto i piedi della sua plebe, calpestò l'orgoglio di Spagna; che a Genova i suoi popolani (pagina di gloria insuperata) cacciavano ignominiosamente 44 mila austriaci dalle loro mura, e poscia vittoriosamente e per lunghi mesi ne sostennero l'assedio, comechè quegli eterni nemici suoi fossero aiutati dal loro vecchio alleato il re di Piemonte; che combattè con valore antico con le bandiere napoleoniche, e nella disfatta di Russia salvò le reliquie della grande armata francese che, senza gl'italiani, sarebbero tutte cadute sotto la lancia del cosacco; che il suo popolo di Milano sostenne quasi inerme cinque giorni di duello immortale contro 16 mila austriaci e finì col gettarli in isbaraglio talmente, che malconci, disordinati, avviliti, spossati impiegarono la metà di un mese ad arrivare fino a Verona; che in pochi giorni ne cacciò 60 mila dal Lombardo-Veneto e li costrinse fra l'Adige e il Mincio; che il 24 maggio 1848, in Vicenza, 15 mila furono messi in fuga da 8 mila italiani; che nel settembre un pugno di patriotti rompeva più battaglioni di loro in Mestre, faceva centinaia di prigionieri, prendeva sei cannoni, e, quel che più vale, una bandiera giallo nera a viva forza; che un altro pugno di italiani, il 30 aprile 1849, cacciava le baionette nelle reni di francesi fuggitivi.
Alberto Mario continuò:
«Tutto codesto, o Italia, ci facesti conoscere, dicono le genti straniere, e ci ripeti tuttodì, con mille bocche, e tutto codesto è gloria, grandezza, magnanimità, genio; e sta bene. Ma che possiedi ora? Rispondi.
«Dove sono le tue arti? Dove la tua letteratura? Dove le tue scuole filosofiche? Dove i tuoi sapienti che procedano sulle tradizioni di quei grandissimi dianzi rammentati? Dove il frutto delle tue scoperte, delle tue invenzioni, delle tue conquiste? Dove il commercio, le industrie, gli avventurosi veleggiamenti, e le navi temute, e la bandiera formidabile e rispettata?
«Vediamo una bandiera a tre colori sulle fortezze del re Savoiardo, ma quei colori sono impalliditi e guasti da un quarto colore che non è tuo e da uno stemma regio che non è tuo, imperocchè tu non hai altro stemma che la corona di torri, e quella bandiera oggi è fatta cencio e raccolta dietro l'aquila nera dello tsar di Russia, e dietro l'aquila usurpata e infame dello tsar di Parigi. Di'…. Rispondi…. Che sei oggi?
«Schiava invilita tolleri l'onta di un re di Napoli che la storia ricorderà col soprannome di Bomba, il quale flagella i tuoi figli al cavalletto, li tortura con la cuffia del silenzio, e li fa morire di sete nelle carceri, nutrendoli di aringhe salate, per istrappar loro di bocca una rivelazione; l'onta d'un re, che un uomo di Stato inglese, Gladstone, chiamò negazione di Dio.
«Tolleri l'onta peggiore di un prete padre della menzogna che siede principe sulle teste di tre milioni d'italiani, insanguinate da quattro armate straniere; di un prete empio che in nome di Dio taglia le ali al pensiero e soffoca le aspirazioni della coscienza.
«Tolleri l'onta di due tirannucci—quel di Modena e quel di
Parma—crudeli quanto sono piccini.
«Tolleri l'onta del soldato austriaco che ti rapisce ogni anno 16 mila de' tuoi figliuoli più eletti, divine speranze del tuo avvenire, che ha bastonate a Venezia e a Milano pubblicamente le tue donne quasi ignude e che ti degrada al cospetto del mondo incivilito. Su via, rispondi. Ma che puoi rispondere? O levati di dosso l'ignominia della schiavitù, ovvero soffri e taci.»
Così l'oratore riassumeva il linguaggio degli stranieri sulla patria nostra, linguaggio per verità, egli stesso diceva, troppo severo e in qualche parte non giusto, perchè, disotto all'apparente quiete di sepolcro che pesava sull'Italia, la sua gioventù generosa e devota stava apparecchiando in mezzo al popolo gli elementi della risurrezione, e ogni qual volta quella falange sacra era scemata di qualche caduto nelle mani del vigile tormentatore, e il quale ascendeva il patibolo gridando: «Viva l'Italia», il posto per lui vacante veniva occupato da altro che immediatamente gli succedeva; e quella falange di apostoli e di martiri evangelizzava la parola di salute col discorso e con la stampa; acquistava e distribuiva armi, raccoglieva continuamente i patriotti in isquadre e in reggimenti invisibili all'oppressore, e di tempo in tempo alcuni di loro insorgevano e lo assalivano per mostrare all'Italia il suo dovere e il suo diritto, per additarle la via unica di compierlo e di esercitarlo per significare ai suoi manigoldi che la battaglia non era punto terminata, e al mondo che l'Italia era schiava per la cospirazione del dispotismo europeo, ma schiava fremente e indomata e che oggi o domani, o più tardi, ma infallibilmente, si sarebbe sollevata ad affermare luminosamente la propria personalità nazionale.
E quella sacra falange, non solo si componeva di patriotti che vivevano nella penisola, ma di quanti dannati all'esilio serbavano in cuore intatta la religione della patria e sentivano l'obbligo imperioso di non istarsene spettatori inerti del lavoro, degli sforzi e della virtù cittadina dei loro fratelli, e coi gomiti sulle ginocchia e la faccia tra le mani, di non attendere che la libertà cadesse dal cielo come le quaglie agli ebrei nel deserto, ovvero che venisse regalata dai re e dalla diplomazia, che ne sono gli avversali naturali e perpetui.
Nè quelle audacie, quel martirio e quell'esempio riuscirono infecondi. Il fremito di patria dei pochi magnanimi oggimai si riappalesava nelle moltitudini, e si capiva che non doveva tardar guari a risuonare la campana a martello del popolo.
—Però—continuava Alberto Mario—finchè rimane il fatto che l'Italia è serva, quel fatto ci vieta di rispondere vittoriosamente alle accuse e ai rimproveri degli stranieri; e siamo costretti a mormorare loro come quel patrizio—avete ragione. Se non che, è in nostra facoltà di poter soggiungere ciascuno e tutti: ma lavoriamo acciocchè quel fatto cessi. E potete voi affermarlo dal canto vostro? Se l'Italia, la santa madre nostra vi domandasse: O voi presenti, che fate per me? Quale risposta potreste darle? Non basta dire: «Laggiù si lavora a quest'uopo»; ognuno di noi è parte d'Italia; e vuolsi che la coscienza di ciascuno di noi ci ripeta: anche io adempio al mio dovere di cittadino.
Quindi raccomandava agli italiani residenti a New-York di non pensare alla distanza che li separava dalla patria, di associarsi e di porsi in comunicazione con quanti si affaticavano pel suo riscatto: la sola adesione morale sarebbe una forza aggiunta al cumulo delle forze che si stavano ragunando ed organizzando contro l'oppressione.
—Propagate la dottrina del dovere fra i vostri fratelli—diceva— ridestateli alla santa carità della patria se mai fosse muta nei loro petti: formatevi in compagnie, in battaglioni, in reggimenti, addestratevi alle armi: date il vostro obolo mensile per acquistarle: qui nel paese più libero del mondo, potete fare apertamente ciò che altrove ai fratelli vostri è interdetto. Provvedete così di trovarvi pronti alla prima chiamata del paese. Colla parola e coll'esempio mostratevi degni della libertà che volete conquistata alla vostra terra materna. Questo libero popolo americano non vedrà più in voi una ge...
Table of contents
- Copertina
- Nel paese dei dollari
- Indice dei contenuti
- La forca
- La danza dei milioni
- Gli alimenti nervosi
- Il riposo festivo
- In ferrovia aerea
- La città della luce
- La guerra ai mormoni.
- La distruzione delle Pelli Rosse
- Una lezione di miss Mary
- A bordo del «Pilgrim»
- Un'altra lezione
- Dario Papa in America
- L'ultima conversazione con Mary
- Rimpatriando
- Alberto Mario a New York