I.
DELLE CAGIONI, CHE FANNO MUTARE GLI STATI.
Insino a qui adunche ho io quasi parlato di tutte le cose, che da me sono state proposte; ma per quai cagioni, e per quante, e di che natura elle sieno, onde si mutino gli stati, e quai siene le rovine di ciascuno, e da quali si trapassi in quegli altri; e oltra di questo quai sieno le salvazioni, e in generale, e in particolare di ciascuno; e per che via massimamente ciascuno stato possa mantenersi, di tutte queste cose dirò io conseguentemente.
Debbesi pertanto pigliare in tale considerazione questo principio, cioè, che gli stati sono di più sorti, e che tutti vogliono il giusto e il pari, che è proporzione. Nella qual cosa e’ s’ingannano, siccome io ho detto innanzi. Ingannasi, dico, il popolare stato, perchè in lui essendo li cittadini tutti in qualcosa pari, e’ vuole, ch’ei sien pari assolutamente; perchè, essendo tutti liberi assolutamente, e’ si stimano però essere tutti pari. E lo stato de’ pochi potenti, per esservi li cittadini in certi casi disuguali, per volere ch’ei vi sieno disuguali in tutti i conti; imperocchè, essendo eglino disuguali nelle ricchezze, e’ si pensano d’essere in ogni altra cosa differenti.
Onde avviene che li primi (come se e’ fussino pari in tutte le cose) si stimano degni d’avere ogni cosa ugualmente nello stato. E li secondi come disuguali vogliono però partecipare nel governo più degli altri, perchè il più è disuguale. Hanno pertanto tutti gli stati un certo che di giustizia, e sono in errore veramente parlando, e per questa cagione, quando l’una parte e l’altra sta in modo, ch’ella non partecipi nel governo, secondo che e’ le pare dovere, allora si viene alle discordie. E certamente che con ragione più d’ogni altro contenderebbe (e essi ciò fanno men d’ogni altro) negli stati de’ primi gradi chi vi contendesse per l’eccellenza della virtù; perchè tali giustamente si debbono riputare inuguali da vero. Sonci ancora di quegli, i quali avanzando gli altri per nobiltà, non pare loro ragionevole d’essere fatti pari agli altri per simile disuguaglianza. E nobili invero pare che sieno quegli, che hanno avuto virtù o ricchezza nei loro antichi.
Tali adunche sono, per via di dire, i principi, e le fonti de’ civili scandoli; onde si combatte, e per i quali si mutano gli stati ragionevolmente. I quali mutamenti alcuna volta si fanno da uno stato all’altro, cioè dal popolare a quel dei pochi in opposito, ovvero da questi nelle republiche e negli ottimati, o da loro in questi. Alcuna volta non si muta il presente stato, e vuolsi dai cittadini il medesimo; ma voglionlo per una parte di loro, com’è dire lo stato dei pochi potenti, o la monarchia.
Combattesi oltra di questo del più e del meno, com’è verbigrazia, in uno stato di pochi, per farlo più o meno tale; e così in uno popolare. E il medesimo si combatte negli altri, cioè, o per restrignerli, o per allentargli. Combattesi ancora per rimuovere un membro del governo, com’è per constituire, o per tor via qualche magistrato; come affermano certi, che in Sparta tentò Lisandro di levare di quella republica il regno, e Pausania re di levare gli efori.
E in Epidamno vi si mutò lo stato in una sola parte, perchè in luogo de’ preposti alle tribù, e’ vi ferono il senato. E in Atene in quel magistrato, che è da loro chiamato Eliea, è necessario che entrino ancora gli altri magistrati di quella republica, quando qualche magistrato ha da essere eletto. Ancora è da stato di pochi potenti quel magistrato, che d’uno solo principe è composto in quella republica. Nascono adunche le contese di tutte le cose per l’inegualità, e contuttociò negli inuguali è la proporzione; imperocchè la dignità regia perpetua è disuguale, quando ella è infra i pari. Nè la importanza delle contese è altro, che il cercamento del pari.
E questo pari è in due modi, cioè, o per numero, o per dignità. Io metto per pari numerale quello che sia pari a un modo nella moltitudine, e nella grandezza. Pari per dignità chiamo quello, che è pari con ragione. Nella parità numerale è come dire tre e due; dove il tre avanza due, quanto il due avanza uno. E nella parità proporzionale metto, come è dire, quattro e due dove parimente quattro avanza due, che due avanza uno; perchè due è la parte uguale di quattro, e uno di due, essendo l’una, e l’altra la metà. E così volendo costoro, che ’l giusto, che è per via di dignità, sia il vero giusto, contendono insieme, siccome io ho detto innanzi; questi, dico, perchè, essendo in qualcosa pari, e’ si stimano d’essere pari assolutamente, e quegli perchè s’e’ sono in qualche cosa inuguali, e’ si credono, e pare loro ragionevole d’essere inuguali per ogni conto.
Onde avviene che due stati massimamente si creano nella città, cioè il popolare, e quel dei pochi potenti; conciossiachè la nobiltà, e la virtù sia in pochi, e quelle altre due qualità si trovino in molti. Che, per dire il vero, de’ nobili e dei virtuosi in nessun luogo se ne ritrova cento; e dei ricchi più assai in molti luoghi. Ma e’ non è bene ordinare il giusto per via dell’una o dell’altra parità assolutamente. E questo si vede certo per gli eventi, conciossiachè e’ non si vegga nessun tale stato durabile; e di ciò è cagione, che egli è impossibile cosa, dopo il primo errore, e nel principio commesso, non dare di cozzo nel fine in un altro male. Laonde fa di mestieri d’usare la parità numerale, e quella che è secondo la proporzione.
E contuttociò il popolare stato è più sicuro di quello dei pochi potenti, e manco alle sedizioni sottoposto, perchè nello stato dei pochi potenti v’è due discordie. Una, che è infra loro che governano, e l’altra, che è infra loro e il popolo. Ma nel popolare v’è solamente quella, che è infra ’l popolo e i grandi. Ma di discordie, che sieno di valore infra ’l popolo stesso, poco o niente si trova. Oltra di questo lo stato dei cittadini mediocri è più vicino al popolare, che ei non è a quel dei pochi potenti, il quale stato dei mediocri e infra tutti gli altri il più sicuro.
II.
PER QUAI CAGIONI NASCHINO LE DISCORDIE CIVILI.
Ma perchè noi consideriamo, onde le discordie naschino e li mutamenti degli stati; però è da pigliare in universale primierameute li principî, e le cagioni di tali accidenti, i quali principî e cagioni sono quasi tre a novero per via di dire, le quali voglio io innanzi tratto così in figura andare discorrendo. Che imprima è da esaminare, come sieno fatti quei, che contendono, e per che cagione e’ contendono, e in ultimo quai sieno i principî dei tumulti civili, e delle sedizioni, che nascono infra i cittadini. Per cagione principalissima adunche e universale, che i cittadini sieno disposti a volere mutare i governi, si debbe mettere quella, di che poco fa s’è parlato; cioè, che questi, volendo l’ugualità, combattono per averla, s’e’ pare loro d’avere manco di quei, che hanno più nel governo, e essere loro pari. E questi, per volere l’inegualità e l’eccellenza muovono sedizione, quando e’ non pare loro avere più nel governo, e essere da più degli altri; anzi pare loro d’avere quanto loro, o manco.
E queste cose si possono invero desiderare giustamente, e possonsi desiderare senza giustizia. E la ragione è, che e’ contendono li cittadini, che sono da meno degli altri per diventare pari a loro. E li pari agli altri contendono per essere da più di loro. Detto si sia adunche qualmente sieno fatti quei, che sono volti a cose nuove. Ma li fini onde e’ son mossi a contendere, sono l’utile e l’onore, e i loro contrarî; imperocché fuggendo essi il disonore e il danno, o per loro stessi, o per gli amici, muovono i tumulti civili.
Ma le cagioni, e i principî dei moti civili, onde essi vengono disposti al volergli nel modo detto, e per le cose dette conseguitare, sono in certo modo sette a novero; e in cert’altro più. Delli quali due n’è che sono li medesimi con le cose dette, ma non nel medesimo modo; perchè li cittadini si spingano l’un contra l’altro per cagione dell’utile, e dell’onore; non per acquistare a loro stessi queste due cose (siccome io ho detto innanzi), anzi perchè e’ veggono altri parte giustamente, e parte ingiustamente di tai beni più di loro possessori. Oltra di questo sono spinti a ciò per la villanìa, pel timore, per l’eccellenza, pel dispregio, per l’accrescimento fuori di proporzione; ancora per la vergogna, per la neglezione, per la picciolezza, e per la dissimilitudine.
III.
DICHIARAZIONE DELLE UNDICI CAGIONI.
Delle quai tutte cagioni, che forza ci abbia la contumelia e l’utile, e di quanti mali elle sieno cagioni è quasi manifestissimo. Perchè quando li cittadini, che sono nei magistrati, si fan villanìa, e hanno l’un più che l’altro, e’ vengono perciò a contendere l’un con l’altro; e ancora con quello stato, che loro permette questa licenza. E il più si può avere in due modi, cioè o togliendolo ai privati, o togliendolo al publico. Dell’onore si sa benissimo ancora quello che e’ vaglia, e quanti moti civili e’ partorisca, veggendosi che li cittadini disonorati tumultuano nelle città per vedere gli altri onorati. E tali tumulti ingiustamente non sono eccitati, quando alcuni sono disonorati, o onorati fuori del dovere. E giustamente non si fanno, quando e’ son dati gli onori, e li disonori con ragione.
Sorgono i tumulti per cagione della eccellenza, quando un cittadino o più d’uno, sono più potenti degli altri, e più che non comporti quella città, o quel governo, perchè da tali eccellenze s’usa di venire alla monarchia, o a un potentato.
Donde è in costume in molti luoghi l’ostracismo, come è in Argo e in Atene. Ma ei sarebbe stato meglio avere provisto da prima nella città, che li cittadini non vi fussino venuti sì grandi, che, poi che e’ gli avevano lasciati venire, avervi voluto porgere rimedio. Per la paura vengono a sedizioni quei che han fatte l’ingiurie, temendo di non avere a pagare la pena. E ancora vengono a sedizioni quegli, che debbono essere ingiuriati, volendo essere i primi a far l’ingiuria; siccome accade in Rodi, dove li nobili conspirarono contro al popolo per le accuse state loro messe addosso.
Per il dispregio ancora si contende, e congiurasi contra gli stati, siccome avviene in quei dei pochi potenti, quando gli esclusi dalla republica sono di più numero, che ciò dà loro speranza d’essere più potenti. E negli stati popolari vi muovono tumulti li cittadini ricchi, spregiando il cattivo ordine, e il mancamento dei magistrati, come avvenne in Tebe dopo la giornata fatta negli Enofiti; dove lo stato popolare rovinò per il male ordine di governo. E il medesimo avvenne di quello dei Megarensi, essendovisi dissoluto lo stato, per non v’essere più ordine nè magistrati, che lo reggessino. E come avvenne in Siracusa innanzi alla tirannide di Gelone. E come in Rodi fe’ il popolo innanzi che li nobili insurgessino contra di lui.
Mutansi ancora gli stati per gli accrescimenti, che fuori di proporzione si fanno in una città. Perchè così come il corpo è composto di parti, e debbe pigliare l’augumento, che sia moderato, acciocchè e’ vi resti la proporzione delle membra, perchè altrimenti e’ verrebbe a guastarsi, quando, cioè, uno piè vi fusse di quattro cubiti, e il resto del corpo fusse due spanne; e alcuna volta ancora e’ potrebbe l’animale trapassare in figura d’un altro, quando non pure mediante la quantità, ma mediante la qualità e’ crescesse fuori della sua proporzione debita; così la città ancora ella è composta di parti, delle quali sovente avviene, che una ne cresce, che altri non se ne accorge; come accade negli stati popolari, e nelle republiche della moltitudine dei poveri.
Avvenga che un tale effetto molte volte sia cagionato dalla fortuna, come fu in Taranto; dove essendo stati vinti e spenti assai de’ nobili da quei di Puglia, poco dopo la guerra de’ Medî il governo di republica vi diventò popolare. E in Argo, essendo stati morti nel settimo dì assai di loro da Cleomene Spartano, furono constretti quei cittadini dopo tale rotta a ricevere nel governo alcuni vili uomini. E in Atene avendo essi per terra fatto male, li nobili vi vennero a poco numero, per andare ancora essi fuori alla guerra per proporzione ne’ tempi, che ei combattevano con gli Spartani. E questo medesimo ancora accade negli stati popolari, ma più di rado, perehè se quivi li ricchi vi diventano più di numero, o che le facultà vi creschino, quegli stati si mutano in istati stretti, o potentati.
Mutansi ancora i governi senza sedizione mediante la vergogna, come avvenne in Erea, perchè quivi per tale cagione in cambio d’eleggere li magistrati ei gli traevono, e la cagione fu che egli eleggevono uomini di che e’ si vergognavano.
E mutansi mediante la neglezione, cioè quando ei la sciano per straccurataggine essere nei magistrati supremi quei che non sieno amici di quel governo, siccome avvenne in Oreo, dove si dissolvette quello stato de’ pochi potenti: essendo in magistrato Eracleodoro, che di stato di pochi lo fece republica, e popolare.
Mutansi ancora per li minimi. Io dico minimi, perchè molte volte l’uomo non si accorge d’una gran mutazione fatta nello stato per non gli avvertire, siccome avvenne in Ambracia, dove, dandovisi i magistrati a chi v’aveva poco censo, vi si ridussono le cose al fine, che e’ vi si davano a chi non n’aveva punto, come se e’ fusse quasi il medesimo, o senza differenza alcuna il poco e il niente.
È ancora cagione di discordia il non essere li cittadini d’una medesima stirpe, infine a tanto ch’ei non divenghino una cosa medesima; imperocchè così come la città non di qualsivoglia moltitudine è composta, medesimamente ella non si compone ancora in qualsivoglia tempo. Onde tutti quei, che hanno ricevuto compagni, o forestieri, la più parte hanno avuto tumulti civili, come intervenne ai Troiugeni, con li quali gli Achei abitarono insieme la città di Sibari. Ove essendo gli Achei fatti più di numero cacciarono poi li Troiugeni. Onde alli Sibariti nacque quella rotta. E come intervenne ai Turi, dove li Sibariti, che insieme abitavano, ferono loro il medesimo, perchè, parendo a quei di Turi ragionevole d’avere più, essendo la provincia loro, vi rimasono rovinati. E come avvenne a quei di Costantinopoli, contra dei quali avendo congiurato i vicini, essendosi scoperta la cosa, vi restarono vinti in un fatto d’arme.
E li Antisei avendo ricevuto in casa i ribegli di Scio, alla fine gli cacciarono via a forza d’arme. E il medesimo danno intervenne a Saclei de’ Samî, che essi avevano ricevuti, cioè che li Saclei furono cacciati dai Samî. E quei di Apollonia, che sono in sul mar maggiore, avendo messo in casa li vicini, furono poi ripieni di sedizione. E li Siracusani dopo gli stati tirannici, avendo ricevuti per cittadini li forestieri, e li soldati mercenari, ferono sedizione, e vennono a battaglia. E quei di Antipoli avendo ricevuti quei di Calcide loro vicini, la più parte d’essi restarono da loro rovinati. Negli stati stretti le sedizioni, che vi si fanno, nascono dai più, i quali vi si tengono ingiuriati per non avere il pari, essendo pari siccome io ho detto innanzi. E negli stati popolari ve l’eccitano i nobili, quando egli hanno quanto gli altri, ed a loro pare essere da più.
Fanno ancora le città alcuna volta sedizione mediante i siti, cioè quando il luogo non è bene dalla natura situato per fare una sola città, come avvenne ai Clazomenî, che abitavano sopra Citro con gli altri popoli della isola, e come a quei di Colofone con li Notî. E in Atene interviene ancora che li cittadini non vi sono simili, perchè cittadini più popolari sono quei, che abitano il Pireo, che quei che abitano la città. Finalmente come nelle guerre i transiti delle fosse, avvenga che piccioli, vi rompono le squadre; similmente in una città ogni differenza pare che vi faccia dissensione. E di ogni altra grandissima è forse quella, che vi fa la virtù, e il vizio, e dappoi la ricchezza e la povertà, e così ve n’è una più dell’altra, infra le quali una è la detta.
IV.
SEGUITA DELLE CAGIONI, CHE MUTANO GLI STATI.
Fannosi adunche le sedizioni non per conseguire cose piccole, ma ben da piccole cagioni, e fannosi per fine di conseguire cose grandi. E le piccole ancora pigliano gran forza, quando elle sono infra i cittadini principali, siccome avvenne in Siracusa anticamente, dove si mutò lo stato per cagione di due giovanetti, i quali, essendo in magistrato, ebbon disparere per cagione di lite amatoria, perchè essendo ito l’un fuori, l’altro, che restò, svolse un giovane amato da lui a fargli piacere. La qual cosa avendo avuto quell’altro molto per male, fe’ tanto che egli ebbe a fare con la moglie di colui; onde avvenne che ciascuno chiamati a sè gli amici nel governo, divisono tutta la città.
Però si debbe molto guardarsi dalle discordie, che nascono infra li cittadini principali, e sforzarsi tosto di romperle, e di quietarle, imperocchè un errore tale è commesso nel principio, e il principio si dice essere la metà del tutto. Imperocchè un errore picciolo fatto qui è corrispondente agli errori, che si fanno nell’altre parti. Finalmente le sedizioni dei nobili fanno, che la città tutta ne sente, siccome avvenne in Estiea dopo gli stati popolari, che due frategli essendovi venuti a contese per cagione della eredità paterna, il più povero d’essi chiamò in suo favore li popolari; come quei che accusava il fratello di non avergli partito le sue facultà, e celatogli parte del tesoro paterno, e quell’altro che aveva più facultà, chiamò in suo ajuto li ricchi.
E in Delfo essendo nata una differenza per conto di un parentado, vi fu questa cagione di tutte le discordie, che dappoi vennero in quella città, perchè lo sposo, essendosi pronosticato non so che infortunio, venuto che ei fu dalla sposa, se ne partì con dire che non la voleva, e li parenti della fanciulla come ingiuriati gli apposono, che e’ sacrificava co’ danari de’ sacrifizi, e dipoi lo ferono ammazzare come sacrilego. E in Metellino essendo nata una discordia per cagione d’una eredità fu la detta, e di molti altri danni cagione, e di più della guerra che egli ebbono con li Ateniesi, nella quale Pache prese la città loro, perchè Timofane un certo ricco avendo dopo la morte lasciato due figliuole eredi, Dossandro, che era stato sbeffato per non l’aver avute per nuore, cominciò la sedizione, e commosse gli Ateniesi, dei quali egli era ospite in Metellino, a pigliare la guerra.
E in Focide ancora nacque discordia per il medesimo conto infra Mnasea padre di Mnasone, e Euticrate figliuolo di Onomarco, la quale fu cagione di tutta quella guerra chiamata Sacra, che ebbe poi tale città. Mutossi ancora lo stato d’Epidauro per conto d’un parentado, perchè avendo un cittadino promesso la figliuola per moglie, il padre poi dello sposo, essendo l’un dei due del magistrato supremo, condannò il suocero del figliatolo; onde al suocero parendo d’essere stato negletto, però s’accostò egli a tutti quei cittadini, che erano malcontenti dello stato.
Mutansi ancora i governi in stati stretti, e in larghi, e in republica con l’avervi acquistato nome, o essere accresciuto di potenza qualche magistrato, o parte della città. Siccome intervenne del senato dello Ariopago, il quale avendo acquistato fama nella guerra contra li Medî, parve che e’ riducesse quel governo più stretto, e all’incontro il popolo essendovi stato cagione di quella vittoria navale acquistata a Salamina, per tale preminenza, dico, e per la potenza acquistata in mare venne a far più gagliardo lo stato del popolo. E in Argo li nobili, avendovi acquistato riputazione dopo la battaglia fatta a Mantinea contra gli Spartani, tentarono di rovinarvi lo stato popolare.
E in Siracusa il popolo, essendovi stato cagione della vittoria contro gli Ateniesi, fe’ quello stato, ch’era republica, popolarissimo. E in Calcide la nobiltà insieme col popolo avendo cacciato Foxo tiranno, subito vi si fe’ uno stato di republica. E in Ambracia ancora similmente il popolo insieme con li congiurati, avendone cacciato Periandro tiranno, ridusse lo stato in sè stesso.
Questo adunche non ci debbe essere nascosto, che tutti quei che sono cagione di fare acquistare qualche potenza o sieno questi cittadini privati, o magistrati; o tribù, o parti della città, o qual altra si voglia moltitudine, tali, dico, sono cagione di sedizioni, e tumulti nelle città; imperocchè, o e’ sono mossi da chi porta invidia alla loro grandezza, o essi per la loro eccellenza non patiscono di stare al pari degli altri. Mutansi ancora, quando quelle parti, che in una città appariscono contrarie, si pareggiano insieme (com’è verbigrazia li ricchi, e il popolo), e che nel mezzo non vi resta niente o poco, perchè quando una parte avanza l’altra d’assai, l’altra non si vuole mai provare con quella che è manifestamente da più. Onde non si trova (per via di dire) chi faccia sedizione, per essere in virtù da più degli altri, e la ragione è, che li pochi avrebbono a contendere coi troppi. Le cagioni adunche, e li movimenti di stati si fanno nel modo detto a discorrere di loro generalmente.
E mutansi alcuna volta dalla forza, e alcuna volta dalla fraude: dalla forza in due modi, cioè, o nel principio, o nel fine essendo costretti i cittadini a mutare il governo: e dalla fraude in due modi similmente, cioè quando li cittadini, ingannati da prima volentieri mutan lo stato, e dipoi sono ritenuti per forza in esso, siccome avvenne dei Quattrocento cittadini in Atene, che ragunarono il popolo, affermanti che il re dei Persi aveva dato loro danari per fare la guerra contra li Spartani, e mentendo di ciò si sforzarono dipoi di ritenere in mano il governo. L’altro modo è, quando da prima li cittadini sono persuasi a mutar lo stato, e dipoi così persuasi restano volentieri sotto il mutato governo. Assolutamente adunche parlando, egli occorre in tutti gli stati, che le mutazioni vi si faccino nel modo detto.
V.
DE’ MODI CHE FAN MUTARE GLI STATI POPOLARI.
Ma consideriamo ora per la divisione delle dette cagioni in ciascuna specie di stato quello, che vi occorra di movimenti. Gli stati popolari per lo più fanno mutazione mediante la cattività de’ loro capi, imperocchè tali parte irritando a torto privatamente i cittadini ricchi gli fanno unire insieme; conciossiachè la paura comune accozzi ancora gli inimici; e parte irritando il popolo contra di loro. E questo, ch’io dico, si può vedere in molti stati così fatti.
Conciossiachè in Coo vi si mutasse il governo per la malignità di questi capi di popolo; essendo contra loro li nobili fattisi forti. E in Rodi essendosi posti danari per pagare ai soldati mercenarî, questi tali gli ritenevono per loro, nè gli lasciavano pagare ai capitani delle galee, ed essi capitani all’incontro per le pene da dovere loro darsi, temendo, furono costretti a convenire insieme contro a quello stato. E medesimamente in Eraclea tale stato popolare rovinò subito dopo le colonie mandate fuori per cagione dei popolari capi, perchè li nobili, essendo stati da loro ingiuriati, cederono: e dipoi essendosi rifatt...