SCENA PRIMA
Camera di Leonardo.
Vittoria e Paolo.
VITTORIA: Via, via, non istate più a taroccare. Lasciate, che le donne finiscano di fare quel che hanno da fare, e piuttosto v'aiuterò a terminare il baule per mio fratello.
PAOLO: Non so, che dire. Siamo tanti in casa, e pare ch'io solo abbia da fare ogni cosa.
VITTORIA: Presto, presto. Facciamo, che quando torna il signor Leonardo, trovi tutte le cose fatte. Ora son contentissima, a mezzogiorno avrò in casa il mio abito nuovo.
PAOLO: Gliel'ha poi finito il sarto?
VITTORIA: Sì, l'ha finito; ma da colui non mi servo più.
PAOLO: E perché, signora? Lo ha fatto male?
VITTORIA: No, per dir la verità, è riuscito bellissimo. Mi sta bene, è un abito di buon gusto, che forse forse farà la prima figura, e farà crepar qualcheduno d'invidia.
PAOLO: E perché dunque è sdegnata col sarto?
VITTORIA: Perché mi ha fatto un'impertinenza. Ha voluto i danari subito per la stoffa e per la fattura.
PAOLO: Perdoni, non mi par che abbia gran torto. Mi ha detto più volte che ha un conto lungo, e che voleva esser saldato.
VITTORIA: E bene, doveva aggiungere alla lunga polizza anche questo conto, e sarebbe stato pagato di tutto.
PAOLO: E quando sarebbe stato pagato?
VITTORIA: Al ritorno della villeggiatura.
PAOLO: Crede ella di ritornar di campagna con dei quattrini?
VITTORIA: È facilissimo. In campagna si gioca. Io sono piuttosto fortunata nel gioco, e probabilmente l'avrei pagato senza sagrificare quel poco che mio fratello mi passa per il mio vestito.
PAOLO: A buon conto quest'abito è pagato, e non ci ha più da pensare.
VITTORIA: Sì, ma sono restata senza quattrini.
PAOLO: Che importa? Ella non ne ha per ora da spendere.
VITTORIA: E come ho da far a giocare?
PAOLO: Ai giochetti si può perder poco.
VITTORIA: Oh! io non gioco a giochetti. Non ci ho piacere, non vo applicare. In città gioco qualche volta per compiacenza; ma in campagna il mio divertimento, la mia passione, è il faraone.
PAOLO: Per quest'anno le converrà aver pazienza.
VITTORIA: Oh, questo poi, no. Vo' giocare, perché mi piace giocare. Vo' giocare, perché ho bisogno di vincere, ed è necessario che io giochi, per non far dire di me la conversazione. In ogni caso io mi fido, io mi comprometto di voi.
PAOLO: Di me?
VITTORIA: Sì, di voi. Sarebbe gran cosa, che mi anticipaste qualche danaro, a conto del mio vestiario dell'anno venturo?
PAOLO: Perdoni. Mi pare che ella lo abbia intaccato della metà almeno.
VITTORIA: Che importa? Quando l'ho avuto, l'ho avuto. Io non credo, che vi farete pregare per questo.
PAOLO: Per me la servirei volentieri, ma non ne ho. È vero che quantunque io non abbia che il titolo, ed il salario di cameriere, ho l'onor di servire il padrone da fattore e da mastro di casa. Ma la cassa ch'io tengo è così ristretta, che non arrivo mai a poter pagare quello che alla giornata si spende; e per dirle la verità, sono indietro anch'io di sei mesi del mio onorario.
VITTORIA: Lo dirò a mio fratello, e mi darà egli il bisogno.
PAOLO: Signora, si accerti che ora è più che mai in ristrettezze grandissime, e non si lusinghi, perché non le può dar niente.
VITTORIA: Ci sarà del grano in campagna.
PAOLO: Non ci sarà nemmeno il bisogno per fare il pane che occorre.
VITTORIA: L'uva non sarà venduta.
PAOLO: È venduta anche l'uva.
VITTORIA: Anche l'uva?
PAOLO: E se andiamo di questo passo, signora...
VITTORIA: Non sarà così di mio zio.
PAOLO: Oh! quello ha il grano, il vino e i danari.
VITTORIA: E non possiamo noi prevalerci di qualche cosa?
PAOLO: Non signora. Hanno fatto le divisioni. Ciascheduno conosce il suo. Sono separate le fattorie. Non vi è niente da sperare da quella parte.
VITTORIA: Mio fratello dunque va in precipizio.
PAOLO: Se non ci rimedia.
VITTORIA: E come avrebbe da rimediarci?
PAOLO: Regolar le spese. Cambiar sistema di vivere. Abbandonar soprattutto la villeggiatura.
VITTORIA: Abbandonar la villeggiatura? Si vede bene che siete un uomo da niente. Ristringa le spese in casa. Scemi la tavola in città, minori la servitù; le dia meno salario. Si vesta con meno sfarzo, risparmi quel che getta in Livorno. Ma la villeggiatura si deve fare, e ha da essere da par nostro, grandiosa secondo il solito, e colla solita proprietà.
PAOLO: Crede ella, che possa durar lungo tempo?
VITTORIA: Che duri fin che io ci sono. La mia dote è in deposito, e spero che non tarderò a maritarmi.
PAOLO: E intanto?...
VITTORIA: E intanto terminiamo il baule.
PAOLO: Ecco il padrone.
VITTORIA: Non gli diciamo niente per ora. Non lo mettiamo in melanconia. Ho piacere che sia di buon animo, che si parta con allegria. Terminiamo di empir il baule. ( Si affrettano tutti e due a riporre il baule.)
SCENA SECONDA
Leonardo e detti.
LEONARDO: (Ah! vorrei nascondere la mia passione, ma non so se sarà possibile. Sono troppo fuor di me stesso).
VITTORIA: Eccoci qui, signor fratello, eccoci qui a lavorare per voi.
LEONARDO: Non vi affrettate. Può essere che la partenza si differisca.
VITTORIA: No, no, sollecitatela pure. Io sono in ordine, il mio mariage è finito. Son contentissima, non vedo l'ora d'andarmene.
LEONARDO: Ed io, sul supposto di far a voi un piacere, ho cambiato disposizione, e per oggi non si partirà.
VITTORIA: E ci vuol tanto a rimettere le cose in ordine per partire?
LEONARDO: Per oggi, vi dico, non è possibile.
VITTORIA: Via, per oggi pazienza. Si partirà domattina pel fresco; non è così?
LEONARDO: Non lo so. Non ne son sicuro.
VITTORIA: Ma voi mi volete far dare alla disperazione.
LEONARDO: Disperatevi quanto volete, non so che farvi.
VITTORIA: Bisogna dire che vi siano de' gran motivi.
LEONARDO: Qualche cosa di più della mancanza d'un abito.
VITTORIA: E la signora Giacinta va questa sera?
LEONARDO: Può essere ch'ella pure non vada.
VITTORIA: Ecco la gran ragione. Eccolo il gran motivo. Perché non parte la bella, non vorrà partire l'amante. Io non ho che fare con lei, e si può partire senza di lei.
LEONARDO: Partirete, quando a me parerà di partire.
VITTORIA: Questo è un torto, questa è un'ingiustizia, che voi mi fate. Io non ho da restar in Livorno, quando tutti vanno in campagna, e la signora Giacinta mi sentirà se resterò a Livorno per lei.
LEONARDO: Questo non è ragionare da fanciulla propria, e civile, come voi siete. E voi che fate colà ritto, ritto, come una statua? ( A Paolo.)
PAOLO: Aspetto gli ordini. Sto a veder, sto a sentire. Non so, s'io abbia a seguitar a fare, o a principiar a disfare.
VITTORIA: Seguitate a fare.
LEONARDO: Principiate a disfare.
PAOLO: Fare e disfare è tutto lavorare. ( Levando dal baule.)
VITTORIA: Io butterei volentieri ogni cosa dalla finestra.
LEONARDO: Principiate a buttarvi il vostro mariage.
VITTORIA: Sì, se non vado in campagna, lo straccio in centomila pezzi.
LEONARDO: Che cosa c'è in questa cassa? ( A Paolo.)
PAOLO: Il caffè, la cioccolata, lo zucchero, la cera e le spezierie.
LEONARDO: M'immagino che niente di ciò sarà stato pagato.
PAOLO: Con che vuol ella ch'io abbia pagato? So bene che per aver questa roba a credito, ho dovuto sudare; e i bottegai mi hanno maltrattato, come se io l'avessi rubata.
LEONARDO: Riportate ogni cosa a chi ve l'ha data, e fate che depennino la partita.
PAOLO: Sì, signore. Ehi! chi...