I.
ā Capitano ā disse Giacinta.
E, presogli il braccio, lo tirava verso la vetrata della terrazza con vivacitĆ fanciullesca.
ā Ć vero che il tenente Brogini ha unāamante vecchia e brutta che talvolta lo picchia?
Il capitano Ranzelli cessò di sorridere e si fece serio serio.
ā Perdoni, signorina; maā¦
ā Al solito, gli scrupoli! ā esclamò Giacinta con una piccola mossa di dispetto. ā Ć una scommessa; me lo dica, mi faccia questo piacere. Dopo se vorrĆ , potrĆ sgridarmi.
ā Io non la sgrido; non ne ho il diritto nĆ© lāautoritĆ ā rispose il capitano. ā Però ho tanta stima di lei e le voglioā¦
ā Tanto bene! ā lo interruppe Giacinta, ridendo.
ā SƬ, tanto bene, che non posso vederla commettere, senza dispiacere, una leggerezza da nulla.
ā Ho fatto male?
ā Almeno qui, dinanzi a questa gente che suole dare maligna interpretazione anche alle cose più innocenti.
ā ComāĆØ severo! Oh! Oh!
ā Non dica cosƬ. Spesso spesso le apparenze valgono più della realtĆ , e il mondoā¦
ā Ć vero o no che il tenente Broginiā¦? ā ripetĆ© Giacinta spazientita.
ā Senta qua.
Il Ranzelli fece girare sulle rotelle la poltrona vicina, prese una seggiola e, appoggiate le mani sulla spalliera, chinandosi un poā in avanti, soggiunse: ā Segga, dieci minuti.
Vedendola sdraiata lƬ, con la bruna testa buttata indietro e la faccia rivolta verso di lui, stette a osservarla, in piedi, dondolando la seggiola. Quella personcina minutina, rannicchiata tra la soffice imbottitura della poltrona e cosƬ ben modellata dalle pieghe dellāabito, gli richiamava alla mente lāimmagine di un gioiello tra la bambagia carnicina e il raso azzurro dellāastuccio; mentre Giacinta, vistagli apparire negli occhi la forte commozione che gli agitava il cuore in quel momento, sorrideva a fior di labbra.
Il capitano sedutosele di fronte, molto accosto, cominciò a parlare sotto voce; e stando ad ascoltarlo attentamente, colle sopracciglia un poā corrugate, ella intanto girava gli occhi attorno, da un gruppo allāaltro del salotto.
Sotto il grande specchio di Murano, dalla cornice di cristallo tutta fiori e foglie scintillanti ai vivi riflessi dei lumi, la bella signora Clerici rideva delle sciocchezze di quellāinsulso dellāavvocato Ratti che gesticolava come un burattino.
Più in lĆ , la signora Manzi, bionda e grassona, movendo lentamente il ventaglio, con gli occhi socchiusi, da quella indolente che era, stava a sentire, chi sa quale discussione tra il Gessi e il giovine Porati. Se nāerano appellati a lei, pareva... Oh! Sapevano scegliere quei due!
ā Eh?... dico bene? ā domandò il capitano.
ā SƬ, sƬ.
Giacinta aveva risposto chinando lievemente il capo, senza interrompere la sua rassegna.
Dal sedile a foggia di unāesse posto nel centro del salotto, la signora Rossi, che ragionava col Merli ā parlava sempre lui quel buratto! ā li spiava di sbieco, con la sua aria maligna di magra stecchita, storcendo più del solito gli occhi sul faccione da mula. Quei due occhi collo strabismo davano a Giacinta il mal di capo ogni volta che le accadeva di fissarli un tantino; e per ciò li aveva subito evitati. Ma sāera incontrata con gli sguardi pettegoli della Gina, la nipote della signora Rossi. Si voltava anche essa, di tanto in tanto verso di loro, forse per distrarsi dal conversare con quel grullo del conte Grippa di San Celso che, piantato davanti a lei, piegato in arco, colle braccia incrociate sulla schiena, le spalancava in viso la bocca enorme, forse, perchĆ© moriva dalla curiositĆ di sapere di che discorressero, con tanto interesse, quei due.
Proprio in quel momento, Giacinta si era messa a sorridere, soddisfatta, abbassando le palpebre, scotendo lentamente il capo in segno di conferma, intanto che il Ranzelli, eretto sulla vita, impettito, scuro in viso, si mordeva i baffi e si guardava, per darsi un contegno, le mani.
Alzando gli occhi, ella scorse in un angolo sua madre che le gettava, di sfuggita, certe occhiate penetranti come un succhiello.
ā La mamma ci osserva ā disse al capitano.
ā Tanto meglio ā rispose questi, guardando dalla parte dove la signora Marulli, col vestito nero accollato, orlato da un goletto bianchissimo, a cartocci, che dava risalto alla sua bella testa di donna matura, pareva ragionasse fitto fitto colla signora Villa, senza neppure badare ai continui dinieghi di questa.
Poco dopo, Giacinta diceva al capitano: ā Gerace ci mangia con gli occhi.
ā Peggio per lui!
Questa volta il Ranzelli non si degnò di voltarsi. Giacinta, però, continuò a guardare laggiù, verso il pianoforte.
Da un pezzetto Andrea Gerace non prestava più orecchio alla signora Maiocchi che, seduta dirimpetto a lui, pareva gli parlasse di qualche cosa interessante, facendo ballare i nastri, i fiori, i tralci della sua enorme pettinatura. Egli tormentava, ora con una mano ora collāaltra, la punta dei suoi baffettini incipienti e aveva negli occhi tutto il dispetto per quella eterna conversazione tra il capitano e Giacinta.
ā E i dieci minuti? ā diceva infatti Giacinta, con aria di rimprovero, al Ranzelli.
ā Per me non sono ancora passatiā¦, se non la infastidisco.
Giacinta gli accennò di continuare, col ventaglio di tartaruga a cui teneva appoggiata la faccia; e riprese a fissare Gerace, che, pallido, cogli occhi intorbidati, non ne perdeva il più piccolo movimento. La signora Maiocchi, nella foga del ragionare, non gli aveva badato; ma quando gli vide rizzare improvvisamente il capo, si voltò subito indietro agitando il pensile giardino della sua testa, per vedere che cosa accadesse.
Il Ranzelli, accostata un poā più la seggiola alla poltrona, parlava con grande efficacia, curvo, accompagnando le parole con brevi gesti nervosi; e Giacinta, a fronte bassa, mordendo la punta del ventaglino, stava ad ascoltarlo immobile, il seno ansante, infiammata nel viso.
ā Ma dunque questa Giacinta vi fa ammattire tutti!
La signora Maiocchi prese stizzosamente una delle tante partiture ammonticchiate sul pianoforte e cominciò a sfogliarla.
ā Volete un consiglio? ā soggiunse, rimettendo la partitura a posto. ā Lasciate andare; quella ragazza ĆØ impastata di ghiaccio.
ā Il capitano sta per scioglierlo! ā rispose Andrea.
ā Non vi credevo cosƬ sciocco ā disse la Maiocchi, levandosi a sedere.
Nello stesso punto Giacinta si era alzata dalla poltrona.
ā Poesia! Poesia! ā mormorava, fissando il capitano negli occhi.
E si stirava graziosamente con un fare di persona stanca; ma il capitano, indovinando sotto quella sonnolenta indifferenza la commozione vibrante ancora nei delicati nervi di lei, pensava un poā mortificato: ā Strana ragazza!
ā Insomma?⦠ā le domandò tuttāa un tratto.
E siccome a questa insistenza Giacinta non potƩ trattenere un sorriso, il Ranzelli, per ricambio, voleva darle una stretta di mano.
ā Oh, no! ā ella disse, avvedendosi dellāabbaglio di lui. Ma non potĆ© aggiungere altro, sotto tanti sguardi rivolti curiosamente su di loro.
Gli fece un piccolo inchino con la testa, e andò incontro al padre che rientrava dalla stanza da giuoco discutendo, col signor Rossi e il cavaliere Clerici, lāultima partita di tressette. Il Signor Marulli voleva giustificare, a tutti i costi, una giocata andatagli male.
ā Babbo, devi aver torto ā gli disse Giacinta, sforzandosi di parer di buon umore. ā Ha perduto, ĆØ vero cavaliere?
ā Come sempre ā rispose Clerici.
Il Signor Marulli protestava.
Ranzelli intanto, rimasto a riflettere sulle ultime parole di Giacinta, si arrabattava colle dita contro un bottone della divisa che stentava a entrare in un occhiello. Poi, vedendo passare il commendatore Savani scappato da un piccolo crocchio di persone con le quali era stato lungamente a discorrere, gli si accostò, dicendo: ā Buoni affari, commendatore?
ā Ah! gli azionisti son più noiosi delle mosche ā rispose Savani.
ā Il miele dei dividendi li attira! ā aggiunse il Ratti salutandolo e ammiccando malignamente al capitano e alla Maiocchi la quale aveva alzato la testa lasciando di parlare al cavaliere Mochi in un orecchio.
Questi, con la lente allāocchio sinistro, senza smettere di osservare le fotografie del grande album aperto sul tavolino, rispondeva alla signora Maiocchi: ā Vāingannate, non mi riguarda.
ā Andate lĆ ! Come antico cugino della mamma, dovrebbe interessarvi.
E dondolava il capo affermativamente, benchĆ© Mochi le dicesse: ā Niente affatto! Quella parentela costava troppo, allora; e non valeva quel che costava. Oh! io sono sempre economo in vita mia.
ā Sia pure!
E la signora Maiocchi rideva, ma non pareva ben persuasa.
Nel centro del salotto, attorno alla signora Rossi, alla Gina, alla signora Clerici e alla signora Mazzi che si faceva sempre vento indolentemente, la conversazione era diventata animatissima.
ā Che pazzerellone quel Ratti!
ā Non cāera altri che lui per rallegrare la brigata!
Infatti ridevano tutti.
Giacinta, in piedi, a braccio della Gina che aveva ceduto il suo posto alla signora Mazzi, non perdeva di vista Gerace. Egli picchiava leggermente con un dito sopra un tasto del pianoforte, mordendosi il labbro, gli occhi rivolti al soffitto; e quella nota, sorda e continua, irritava Giacinta, benché il rumore della conversazione la facesse appena avvertire dagli altri. Ogni battuta era per lei una puntura di spillo. Finalmente non ne poté più!
Svincolatasi dal braccio della Gina, si fece largo colla mano fra il conte Grippa e il Porati, e fermatasi a pochi passi dal pianoforte: ā Dio mio, signor Andrea! ā gli disse. ā Non ha altro da suonare?
ā Musica del cuore! ā esclamò la signora Maiocchi.
E vedendo che gli altri ridevano di quella spiritosaggine buttata quasi in viso a Giacinta, si ringalluzzƬ tutta.
Gerace, sorridendo impacciatamente, erasi giĆ scostato dal pianoforte.
ā Musica del cuore! ā ripetĆ© la signora Maiocchi.
ā Ton! Ton! Ton!⦠Cotesta musica la faccio anchāio che non so suonare nemmeno le campane. Ecco qui!
E il Ratti si mise a pestare allāimpazzata sui tasti, lavorando furiosamente il pedale. I bassi muggivano come tori feriti; gli acuti stridevano con un miagolio indiavolato.
ā Bravo! Bravo!
Il conte Grippa cominciò a batter le mani il primo, sgangherandosi la bocca dalle risa.
ā Bravo!⦠Benissimo!
Tutti gli fecero coro. Quella grassona della signora Mazzi, a cui il gran ridere dava il convulso, si aggravava con tutta la sua persona sopra una spalla del Merli che, piccino comāera, aveva paura di essere schiacciato.
Con tal successo e con tanta ressa di persone attorno al pianoforte, il Ratti pestava, pestava sulla tastiera, stralunando gli occhi, agitando il capo come in preda allāispirazione musicale, facendo le viste di svenirsi nei momenti patetici.
ā Povero pianoforte! ā disse allora la signora Villa a la Marulli che, a quel chiasso, aveva smesso di parlare, nellāangolo dovāerano rimaste esse sole.
Profittando della confusione, Giacinta si era avvicinata a Gerace. Imbroncito, in disparte, Andrea lisciava le foglie della gypsophila paniculata posta in un vaso di porcellana su un treppiede di bronzo.
ā Che ti prende? ā gli disse sdegnosamente sotto voce, passando oltre senzāattendere la risposta.
ā Beene!⦠Braavo!⦠Beeenissimo!
Ratti, dato un ultimo strappo alla tastiera, si applaudiva da sé, battendo le mani più forte degli altri.
II.
Verso le undici erano rimasti nel salotto soltanto il commendatore Savani, il capitano Ranzelli e Andrea Gerace.
La signora Marulli, stretta la mano alla signora Villa che andava via facendosi accompagnare dal Merli e dal Porati, si era avvicinata al Ranzelli giĆ sul punto di prendere commiato.
ā Capitano, ā gli disse ā questa sera avete unāaria⦠una certāaria!⦠Non sapreiā¦
E intanto lo guardava negli occhi, come per strappargli un segreto.
ā Può darsi ā rispose Ranzelli ā che questa sera sia una delle poche veramente felici della mia vita.
ā Per parlare cosƬ ā aggiunse Giacinta, fermata più in lĆ col Savani ā aspetti che sia passata da un pezzo!
Ranzelli sāinchinò, muto, sopra pensiero, intanto che la signora Marulli lanciava unāocchiataccia alla figlia.
ā Testolina! ā disse a questa il commendatore, tentando di accarezzarle i capelli.
Ma ella si trasse indietro, e alzò il ventaglino per sviargli la mano.
Appena il capitano fu andato via, Giacinta fece un piccolo giro attorno, con aria di annoiata; poi, sedutasi al pianoforte, cominciò a suonare a mezzo tono una melodia del Ballo in maschera. Andrea la raggiunse come per voltarle i fogli, mentre il commendatore e la signora Marulli, passavano nel salottino accosto per prendere la solita tazza di thè e latte.
A un tratto, Giacinta cessò di suonare e piantò in viso ad Andrea quel paio di occhi scintillanti che erano la sua bellezza.
ā Che pretende il capitano? ā domandò Andrea seccamente.
ā Nulla ā rispose Giacinta, senza cessar di fissarlo.
ā Tāama, te lo ha detto!ā¦
ā Sta bene. Vorresti impedirglielo?
Andrea si rizzò sulla persona come morso da un serpe.
ā Per caritĆ , non farmi scene!
E cosƬ dicendo, Giacinta lo aveva preso per una mano e gli scuoteva un poā il braccio.
ā Ho forse torto?
Andrea le si accostò col viso al viso, rabbiosamente.
ā Voleva sentirselo dire in faccia, se lei ne aveva il coraggio!
ā SƬ ā rispose Giacinta, rimanendo imperterrita, a fronte alta.
Per alcuni momenti stettero immobili, silenziosi, guardandosi fisso.
ā Dunque sposiamoci! ā disse A...