Elegia di Madonna Fiammetta
eBook - ePub

Elegia di Madonna Fiammetta

  1. English
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Elegia di Madonna Fiammetta

About this book

Le peripezie dell'amore nel Trecento secondo Giovanni Boccaccio, che racconta della bella e passionale Fiammetta, la quale a sua volta narra in prima persona la propria tormentata vicenda sentimentale. Innamoratasi di Panfilo, un mercante fiorentino, la giovane napoletana vive una stagione di felicità, finché lui riparte per Firenze. In seguito Panfilo non mantiene la promessa di ritornare a Napoli e anzi Fiammetta apprende che lui si è sposato. Quando sembra essersi ormai tristemente rassegnata, viene a sapere che quella notizia era falsa e che (però) l'amato ha una relazione con una donna fiorentina. Folle di gelosia, lei vuole uccidersi ma la fedele nutrice glielo impedisce. Infine arriva la notizia di un prossimo ritorno a Napoli di Panfilo e Fiammetta torna ancora a sperare.

Frequently asked questions

Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
  • Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
  • Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
Both plans are available with monthly, semester, or annual billing cycles.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access Elegia di Madonna Fiammetta by Giovanni Boccaccio in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Media & Performing Arts & Storytelling. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Capitolo V.

Nel quale la Fiammetta dimostra come alli suoi orecchi pervenne Panfilo aver presa moglie, mostrando appresso quanto del suo tornare disperata e dolorosa vivesse.

Lievi sono state infino a qui le mie lagrime, o pietose donne, e i miei sospiri piacevoli a rispetto di quelli, i quali la dolente penna, più pigra a scrivere che il cuore a sentire, s’apparecchia di dimostrarvi. E certo, se bene si considera, le pene infino a qui trapassate, più di lasciva giovine che di tormentata quasi si possono dire; ma le seguenti vi parranno d’un’altra mano. Adunque fermate gli animi, né vi spaventino sì le mie promesse, che, le cose passate parendovi gravi, voi non vogliate ancora vedere le seguenti gravissime; e in verità io non vi conforto tanto a questo affanno perché voi più di me divegniate pietose, quanto perché più la nequizia di colui per cui ciò m’avviene conoscendo divegniate più caute in non commettervi ad ogni giovine. E così forse ad un’ora a voi m’obligherò ragionando e disobligherò consigliando, ovvero per le cose a me avvenute ammonendo e avvisando.
Dico adunque, donne, che con così varie imaginazioni, quali poco avanti avete potute comprendere nel mio dire, io stava continuo, quando, di più d’uno mese essendo il tempo trapassato promesso, a me così dell’amato giovine un dì novelle pervennero. Io andata a visitare con animo pio sacre religiose, e forse per fare per me porgere a Dio pietose orazioni, che o rendendomi Panfilo o cacciandolmi della mente mi ritornasse il perduto conforto, avvenne che, sedendo io con le già dette donne, assai discrete e piacevoli nel loro ragionare e a me molte per parentado e per antica amistà congiunte, quivi venne un mercatante, né altramente che Ulisse e Diomedes a Deidamia e alle suore, cominciò diverse gioie e belle, quali a così fatte donne si conveniano, a mostrare.
Egli, sì come io alla sua favella compresi, ed esso medesimo da una di quelle dimandatone confessò, era della terra di Panfilo mio. Ma poi che egli mostrate molte delle sue cose, e di quelle da esse alcune per lo convenuto pregio prese, e l’altre rendutegli, entrati in nuovi motti e lieti, e esse ed esso, mentre che egli il pagamento aspettava, una di loro d’età giovine e di forma bellissima e chiara di sangue e di costumi, quella medesima ch’avanti dimandato l’avea onde fosse, il dimandò se egli Panfilo suo compatriota conosciuto avesse giammai. Oh, quanto cotale dimanda diè per lo mio disio!
Certo io ne fui contentissima, e gli orecchi alla risposta levai. Il mercatante senza indugio rispose: “E chi è quegli che meglio di me il conosca?”
A cui seguì la giovine quasi infignendosi di sapere che di lui fosse: “E che è egli ora di lui?”
“Oh, - disse il mercatante - egli è assai che il padre, non essendogli rimaso altro figliuolo, il richiamò a casa sua”.
Il quale ancora la giovine dimandò: “Quanto ha che tu di lui sapesti novelle?”
“Certo, - disse egli - non poi che da lui mi partii, che ancora non credo che siano quindici giorni compiuti”.
Continuò la donna: “E allora che era di lui?”
Alla quale esso rispose: “Molto bene; e dicovi che il dì medesimo che io mi partii, vidi con grandissima festa entrare di nuovo in casa sua una bellissima giovine, la quale, secondo che io intesi, era a lui novellamente sposata”.
Io, mentre che il mercatante queste cose diceva, ancora che con amarissimo dolore l’ascoltassi, fiso nel viso la dimandante giovine riguardava, maravigliandomi quale cagione potesse essere che costei inducesse a dimandare così strette particolarità di colui, cui io appena credeva che altra donna il conoscesse che io, e vidi che prima a’ suoi orecchi non venne Panfilo avere moglie sposata, che, gli occhi bassati, tutta nel viso si tinse, e la pronta parola le morì in bocca, e per quello che io presumessi, essa con fatica grandissima le lagrime già agli occhi venute ritenne, Ma io prima, ciò udendo, da uno gravissimo dolore presa, sùbito, ciò vedendo, fui da un altro non minore assalita, e appena mi ritenni che io con gravissima villania la turbazione di colei non riprendessi, invidiosa che da lei sì aperti segnali d’amore verso Panfilo si mostrassero, dubitando, non meno che essa, così, come io, non avesse legittima cagione di dolersi delle udite parole. Ma pure mi tenni, e con noiosa fatica, alla quale non credo che simigliante si truovi, il turbato cuore sotto non cambiato viso servai, di piagnere più disiosa che di più ascoltare.
Ma la giovine, forse con quella medesima forza che io, ritenendo dentro il dolore, come se stata non fosse quella che s’era davanti turbata, fattasi far fede di quelle parole, quanto più dimandava più trovava la cosa contraria al suo disio e al mio. Onde, dato al mercatante commiato, ché ’l domandava, e ricoperta con infinite risa la sua tristizia, con ragionamenti diversi insieme quivi per più lungo spazio ch’io non averei voluto ci rimanemmo.
Venuti meno i nostri ragionamenti, ciascuna si dipartì, e io con anima piena d’angosciosa ira, non altramente fremendo che il leone libico poscia che nelle sue insidie scuopre i cacciatori, ora nel viso accesa e ora palida divenendo, quando con lento passo e quando con più veloce che la donnesca onestà non richiede, tornai alla mia casa. E poi che licito mi fu di potere di me fare a mio senno, entrata nella mia camera, amaramente cominciai a piagnere, e quando per lungo spazio le molte lagrime parte della gran doglia ebbero sfogata, essendomi alquanto più libero il parlare, con voce assai debole incominciai: “Ora, o misera Fiammetta, sai perché il tuo Panfilo non ritorna; ora sai la cagione della sua dimora tanto da te disiata; ora hai quello che tu andavi cercando di trovare. Che, misera, chiedi più? Che più addimandi? Bastiti questo: Panfilo non è più tuo. Gitta via omai i disiderii di riaverlo, abandona la mal ritenuta speranza, poni giù il fervente amore, lascia i pensieri matti; credi omai agli agurii e alla tua divinante anima, e comincia a conoscere gl’inganni de’ giovini. Tu se’ a quello punto venuta, là dove l’altre sogliono venire che troppo si fidano”.
E con queste parole mi raccesi nell’ira, e rinforzai il pianto; e da capo con parole troppo più fiere ricominciai così a parlare: “O iddii ove sete? Ove ora mirano gli occhi vostri? Ov’è ora la vostra ira? Perché sopra lo schernitore della vostra potenza non cade? O spergiurato Giove, che fanno le folgori tue? Ove ora le adoperi? Chi più empiamente l’ha meritate? Come non scendono esse sopra il pessimo giovine, acciò che gli altri per innanzi di spergiurarti abbiano temenza? O luminoso Febo, dove sono ora le tue saette, male merite di ferire il Fitone, a rispetto di colui che falsamente te a’ suoi inganni chiamò testimonio? Privalo della luce de’ raggi tuoi, e non meno gli torna nemico che tu fosti al misero Edippo. O voi altri qualunque dii e dèe, e tu Amore, la cui potenza ha schernita il falso amante, come ora non mostrate le vostre forze e la dovuta ira? Come non convertite voi il cielo e la terra contra il novello sposo, sì che egli nel mondo per essemplo d’ingannatore e d’annullatore della vostra potenza non rimanga a più schernirvi? Molto minori falli mossero già l’ira vostra a vendetta men giusta. Dunque ora perché tardate? Voi non potreste appena tanto incrudelire verso di lui, che egli debitamente punito fosse.
Ohimè misera! Perché non è egli possibile che voi l’effetto de’ suoi inganni così sentiate come io, acciò che così in voi come in me s’accendesse l’ardore della punizione? O iddii, rivolgete in lui alcuni di quelli pericoli, o tutti, de’ quali io già dubitai; uccidetelo di qualunque generazione di morte più vi piace, acciò che io ad un’ora tutta e l’ultima doglia senta, che mai debba sentire per lui, e voi e me vendichiate ad un’ora. Non consentite che io sola per li peccati di lui pianga la pena, ed egli, voi e me avendo beffati, lieto si goda con la nuova sposa, e così per contrario tagli la vostra spada”.
Poi, non meno accesa d’ira, ma con pianto più fiero rivolgendo a Panfilo le parole, mi ricorda che io cominciai: “O Panfilo, ora la cagione della tua dimora conosco, ora i tuoi inganni mi sono palesi, ora veggo che ti ritiene, e qual pietà. Tu ora celebri i santi imenei, e io, dal tuo parlare e da te e da me medesima ingannata, mi consumo piagnendo e con le mie lagrime apro la via alla mia morte, la quale con titolo della tua crudeltà debitamente segnerà la sua dolente venuta; e gli anni, i quali io cotanto disiderai d’allungare, si mozzeranno, essendone tu cagione. O scelerato giovine e pronto ne’ miei affanni! Or con che cuore hai tu presa la nuova sposa? Con intendimento d’ingannare lei, come tu hai me fatto? Con quali occhi la riguardasti tu? Con quelli con li quali miseramente me credula troppo pigliasti? Qual fede le promettesti tu? Quella che tu avevi a me promessa? Or come potevi tu? Non ti ricordi tu che più che una volta la cosa obligata non si può obligare? Quali iddii giurasti? Gli spergiurati da te? Ohimè misera! che io non so quale avverso piacere l’animo t’accecò, sentendoti mio, che tu d’altrui divenissi. Ohimè! per qual colpa meritai io d’esserti così poco a cura? Dove è fuggito da noi così tosto il lieve amore? Ohimè! che fa trista fortuna così miseramente costrigne i dolenti! Tu ora fa promessa fede e a me dalla tua destra data, e li spergiurati iddii per li quali tu con sommo disio giurasti di ritornare, e le tue lusinghevoli parole delle quali molto eri fornito, e le tue lagrime con le quali non solamente il tuo viso bagnasti, ma ancora il mio, tutte insieme raccolte hai gittate a’ venti, e me schernendo, lieto vivi con la nuova donna.
Ohimè! or chi averebbe mai potuto credere che falsità fosse nelle tue parole nascosta e che le tue lagrime fossero con arte mandate fuori? Certo non io; anzi così come fedelmente parlava, così con fede le parole e le lagrime riceveva E se forse in contrario dicessi e le lagrime vere e i saramenti e la fede prestati con puro cuore, concedasi; ma quale scusa darai tu al non averli servati così puramente come promessi? Dirai tu: “La piacevolezza della nuova donna ne è stata cagione?” Certo debole fia, e manifesta dimostrazione di mobile animo. E oltre a tutto questo, sarà egli però satisfatto a me? Certo no. O malvagissimo giovine! Non t’era egli manifesto l’ardente amore che io ti portava e porto ancora contro a mia voglia? Certo sì era; dunque molto meno d’ingegno ti bisognava ad ingannarmi. Ma tu, acciò che più sottile ti mostrassi poi ne’ tuoi parlari, ogni arte volesti usare; ma tu non pensavi quanto poco di gloria ti séguita ad ingannare una giovine, la quale di te si fidava. La mia semplicità meritò maggior fede che la tua non era. Ma che? Io ciò credetti non meno agl’iddii da te giurati, che a te, li quali io priego che facciano che questa sia la più somma parte della tua fama, cioè avere ingannata una giovine che più che sé t’amava.
Deh, Panfilo, dimmi ora: avea io commesso alcuna cosa per la quale io meritassi da te d’essere con cotanto ingegno tradita? Certo niuno altro fallo feci verso di te giammai se non che poco saviamente di te innamorai, e oltre al dovere ti portai fede e t’amai; ma questo peccato almeno da te non meritava ricevere cotale penitenza. Veramente una iniquità in me conosco, per la quale l’ira degl’iddii, faccendola, giustamente impetrai; e questa fu di ricevere te, scelerato giovine e senza alcuna pietà, nel letto mio, e avere sostenuto che il tuo lato al mio s’accostasse; avvegna che di questo, come essi medesimi videro, non io, ma tu se’ colpevole; il quale col tuo ardito ingegno, me presa nella tacita notte sicura dormendo, sì come colui che altre volte eri uso d’ingannare, prima nelle braccia m’avesti e quasi la mia pudicizia violata, che io appena fossi dal sonno interamente sviluppata. E che doveva io fare, questo veggendo? Doveva io gridare e col mio grido a me infamia perpetua, e a te, il quale io più che me medesima amava, morte cercare? Io opposi le forze mie, come Iddio sa, quanto io potei; le quali, alle tue non potendo resistere, vinte, possedesti la tua rapina. Ohimè! ora mi fosse il dì precedente a quella notte stato l’ultimo, nel quale io sarei potuta morire onesta!
Oh, quante doglie e come acerbe m’assaliranno oggimai! E tu con la menata giovine stando, per più piacerle, i tuoi antichi amori racconterai, e me misera farai in molte cose colpevole, e la mia bellezza avvilendo e i miei costumi, la quale e li quali da te con somma laude solevano sopra tutti quelli e quelle dell’altre donne essere essaltati, sommamente li suoi lauderai; e quelle cose, le quali io pietosamente verso di te da molto amore sospinta operai, da focosa libidine dirai nate.
Ma ricorditi, tra le cose che non vere racconterai, di narrare i tuoi veri inganni, per li quali me piagnevole e misera potrai dire aver lasciata, e con essi i ricevuti onori, acciò che bene facci la tua ingratitudine manifesta all’ascoltante. Né t’esca di mente di raccontare quanti e quali giovini già d’avere il mio amore tentassero, e i diversi modi, e le inghirlandate porte da’ loro amori, e le notturne risse e le diurne prodezze per quelli operate; né mai dal tuo ingannevole amore mi poterono piegare. E tu per una giovine appena da te ancora conosciuta, sùbito mi cambiasti; la quale, se come me non fia semplice, i tuoi baci prenderà sempre sospetti e guarderassi da’ tuoi inganni, da’ quali io guardare non mi seppi. La quale io priego che tale con teco sia, quale con Atreo fu la sua, o le figliuole di Danao con li nuovi sposi, o Clitemestra con Agamennone, o almeno quale io, operandolo la tua nequizia, col mio marito, non degno di queste ingiurie, sono dimorata; e te a tale miseria perduca, che come io ora per la pietà di me medesima piango, così mi sforzi di spandere lagrime per te: e questo, se dagl’iddii verso i miseri con pietà nulla si mira, priego che tosto sia”.
Come che io fossi molto da queste dolenti ramaricazioni offesa, e sovente sopra esse tornassi, e non solamente quello dì ma molti altri seguenti, nondimeno mi pungeva d’altra parte non poco la turbazione veduta della giovine sopraddetta, la quale alcuna volta m’indusse a così con greve doglia pensare; io, sì come molte volte era usata, diceva con meco stessa: “Deh, perché, o Panfilo, mi dolgo io del tuo essere lontano, e che tu di nuova giovine sii divenuto, con ciò sia cosa che, essendo tu qui presente, non mio ma d’altrui dimoravi? O pessimo giovine, in quante parti era il tuo amore diviso, o atto a potersi dividere? Io posso presumere che come questa giovine con meco insieme, alle quali hai ora aggiunta la terza, t’eravamo donne, che tu a questo modo n’avevi molte, dove io sola mi credeva essere; e così avveniva che, credendo le mie medesime cose trattare, occupava l’altrui. E chi può sapere, se questo già si seppe per alcuna, la quale, più della grazia degl’iddii di me degna, pregando per le ricevute ingiurie, per li miei mali impetrò che io così sia, come io sono, d’angoscie piena? Ma chiunque ella è, s’alcuna è, perdonimi, ché ignorantemente peccai, e la mia ignoranza merita il perdono. Ma tu con quale arte queste cose fingevi? Con quale coscienza l’adoperavi? Da quale amore o da quale tenerezza eri a ciò tirato? Io ho più volte inteso non potersi amare più che una persona in un medesimo tempo, ma questa regola mostra che in te non avesse luogo: tu n’amavi molte ovvero facevi vista d’amare.
Deh, desti tu a tutte, o almeno a questa una, che male ha saputo celare quello che tu hai bene celato, quella fede, quelle promessioni, quelle lagrime che a me donasti? Se ciò facesti, tu puoi, sì come a niuna obligato, dimorarti sicuro, perciò che quello che a molti indistintamente si dona, non pare che ad alcuno sia donato. Deh, come può egli essere che chi di tante piglia i cuori non sia il suo alcuna volta preso? Narcisso, amato da molte, essendo a tutte durissimo, ultimamente fu preso dalla sua forma; Atalanta, velocissima nel suo córso, rigida superava i suoi amanti, infino che Ipomenes con maestrevole inganno, come ella medesima volle, la vinse. Ma perché vo io per gli essempli antichi? Io medesima, non potuta mai da alcuno essere presa, fui presa da te. Tu adunque come tra le molte non hai trovato chi t’abbia preso? La qual cosa io non credo, anzi sicura sono che preso fosti; e se fosti, chi che colei si fosse che con tanta forza ti prese, come a lei non torni? Se tu non vuogli a me tornare, torna a costei che celare non ha saputo il vostro amore; se la fortuna vuogli che a me sia contraria, che forse secondo la tua oppinione l’ho meritato, non nocciano all’altre li miei peccati. Torna almeno ad esse, e serva loro la promessa fede forse prima che a me; non volere, per far noia a me, offenderne tante quante io credo che in isperanza qua n’abbi lasciate, né possa costà una sola più che qua molte. Cotesta è oramai tua, né può, volendo, non essere; dunque, lei sicuramente lasciando, vieni, acciò che quelle, che non tue si possono fare, per tue con la tua presenza le conservi”.
Dopo questi molti parlari e vani, però che né l’orecchie degl’iddii toccavano né quelle del giovine ingrato, avveniva alcuna volta che io subitamente mutava consiglio, dicendo: “O misera, perché disideri tu che Panfilo qui torni? Credi tu con maggiore pazienza sostenere vicino quello che gravissimo t’è lontano? Tu disideri il tuo danno. E così come ora in forse dimori che egli t’ami o no, così, lui tornando, potresti divenire certa che non per te, ma per altrui fosse tornato. Stiasi, e innanzi, essendo lontano, te tenga del suo amore in forse, che vegnendo vicino, del non amarti ti faccia certa. Sii almeno contenta che sola non dimori in cotali pene, e quello conforto piglia che i miseri sogliono fare nelle miserie accompagnati”.
Egli mi sarebbe duro il potere, o donne, mostrare con quanta focosa ira, con quante lagrime, con quanta strettezza di cuore, io quasi ogni dì cotali pensieri e ragionamenti solessi fare; ma però che ogni dura cosa in processo di tempo si pur matura e ammollisce, avvenne che, avendo io più giorni cotale vita tenuta, né potendo più oltre nel dolore procedere che proceduta mi fossi, esso alquanto si cominciò a cessare. E tanto quanto egli della mente disoccupava, cotanto, fervente amore e tiepida speranza ne raccendevano, e così a poco a poco con esso il dolore dimorandovi, me fecero di voglia cambiare, e il primo disiderio di riavere il mio Panfilo ritornò. E quantunque in ciò mi fosse alcuna speranza di mai dover riaverlo contraria, tanto ne divenne maggiore il disio; e così come le fiamme da’ venti agitate crescono in maggiore vampa, così amore, per li contrarii pensieri stati, tutte le sue forze contra di loro adoperate, si fece maggiore. Laonde delle cose dette sùbito pentimento mi venne.
Io, riguardando a quello a che m’avea l’ira condotta a dire, quasi come se udita m’avesse, mi vergognai, e lei forte biasimai, la quale ne’ primi assalti con tanto fervore piglia gli animi, che alcuna verità a loro essere palese non lascia. Ma nondimeno quanto più viene grave, tanto più in processo di tempo diventa fredda, e lascia chiaro conoscere quelle che seco male ha fatte adoperare; e riavuta la debita mente, così incominciai a dire: “O stoltissima giovine, di che così ti turbi? Perché senza certa cagione in ira t’accendi? Posto che vero sia ciò che il mercatante disse, il che è forse non vero, cioè che egli abbia moglie sposata, è questo così gran fatto e cosa nuova, o che tu non dovessi sperare? Egli è di necessità che i giovini in così fatte cose compiacciano a’ padri. Se il padre ha voluto questo, con che colore il potea esso negare? E credere dei che né tutti coloro che moglie prendono e che l’hanno, l’amano, come fanno dell’altre donne: la soperchia copia che le mogli fanno di sé a’ loro mariti, è cagione di tostano rincrescimento, quando pure nel principio sommamente piacesse, e tu non sai quanto costei si piaccia. Forse che sforzato Panfilo la prese e, amando ancora te più di lei, gli è noia d’essere con essa; e se ella gli pur piace, tu puoi sperare che ella gli rincrescerà tosto. E certo della sua fede e de’ suoi giuramenti tu non ti puoi con ragione biasimare, però che egli a te tornando nella tua camera l’uno e l’altro adempie.
Priega adunque Iddio che Amore, il quale più che saramento o promessa fede puote, il costringa a tornarci. E oltre a questo, perché per la turbazione della giovine di lui prendi sospetto? Non sai tu quanti giovini te amano invano, i quali, sappiendo te essere di Panfilo, senza dubbio si turberebbero? Così dei credere possibile lui essere amato da molte, alle quali pare duro di lui udire quello che a te dolse, benché per diverse ragioni a ciascuna ne incresca”.
E in cotale modo me medesima dimentendo quasi in sulla prima speranza tornando, dove molte bestemmie mandate aveva, con orazioni supplico in contrario.
Questa speranza in cotal guisa tornata, non avea però forza di rallegrarmi, anzi con tutta essa con turbazione continua e nell’animo e nell’aspetto era veduta, e io medesima non sapeva che farmi. Le prime sollecitudini erano fuggite; io avea nel primo impeto della mia ira gittate via le pietre, le quali de’ giorni stati erano memorevoli testimonie, e aveva arse le lettere da lui ricevute, e molte altre cose guastate. Il rimirare il cielo più non mi gradiva, sì come a colei che incerta era della tornata allora, sì come certa me ne pareva essere avanti. La volontà del favoleggiare se n’era ita, e il tempo, che molto aveva le notti abbreviate, nol concedea, le quali sovente, o tutte o gran parte di loro, io passava senza dormire, continuamente o piagnendo o pensando passandole; e qualora pure avveniva che io dormissi, diversamente era da’ sogni occupata, alcuna lieti vegnenti, e alcuna tristissimi. Le feste e i templi m’erano noievoli, né mai se non di rado, quasi non potendo altro fare, li visitava. E il mio viso, palido ritornato, faceva tutta malinconiosa la casa mia, e da varii variamente di me parlare: e così, aspettando, e quasi che non sappiendo, malinconica e trista mi stava.
Li miei dubbiosi pensieri il più mi traevano tutto il giorno incerta di dolermi o di rallegrarmi; ma vegnendo la notte, attissimo tempo alli miei mali, trovandomi nella mia camera sola, avendo prima e pianto e molte cose con meco dette, quasi mossa da consiglio migliore, le mie orazioni a Venere rivolgea, dicendo: “O del cielo bellezza speciale, o pietosissima dèa, o santa Venere, la cui effigie nel principio de’ miei affanni in questa camera fu manifesta, porgi conforto alli miei dolori, e per quello venerabile e intrinseco amore che tu portasti ad Adone, mitiga li miei mali. Vedi quanto per te io tribulo; vedi quante volte per te la terribile imagine della morte sia già stata innanzi agli occhi miei; vedi se tanto male ha la mia pura fede meritato, quanto io sostegno. Io, lasciva giovine, non conoscendo li tuoi dardi, al primo tuo piacere senza disdire mi ti feci suggetta. Tu sai quanto per te mi fu promesso di bene, e certo io non niego che parte già non n’avessi; ma, se questi affanni che tu mi dài, di quel bene parte s’intendono perisca il cielo e la terra ad un’otta, e rifacciansi col mondo che seguirà le leggi nuove a queste simili. Se egli è pur male, come a me il pare sentire, venga, o graziosa dèa, il bene promesso, acciò che la santa bocca non si possa dire come gli uomini avere apparato a mentire.
Manda il tuo figliuolo con le sue saette e con le tue fiaccole al mio Panfilo, là dove egli ora da me dimora lontano, e lui se forse per non vedermi nel mio amore è raffreddato, o di quello d’alcun’altra è fatto caldo, rinfiammilo per tal maniera che, ardendo come io ardo, niuna cagione il ritenga che egli non torni, acciò che io, riprendendo conforto, sotto questa gravezza non muoia. O bellissima dèa, vengano le mie parole a’ tuoi orecchi, e se lui riscaldar non vuoi, trai a me di cuore i dardi tuoi acciò che io, così come egli, possa senza tante angoscie passare li giorni miei”.
In questi così fatti prieghi, ancora che vani gli vedessi poi riuscire, pure allora quasi essauditi credendomi, alquanto con isperanza alleviava il mio tormento, e nuovi mormorii ricominciando, diceva: “O Panfilo, dove se’ tu ora? Deh, che fai tu ora? Hatti la tacita notte senza sonno e con tante lagrime quante me, o forse nelle braccia ti tiene della giovine male per me udita? O pure senza alcuno ricordo di me soavissimamente dormi? Deh, come può questo essere che Amore due amanti con disiguali leggi governi, ciascuno ferventemente amando, come io fo, e forse come tu fai? Io non so, ma se così è, che quelli pensieri te, che me, occupino quali prigioni e quali catene ti tengono, che quelle rompendo a me non torni? Certo io non s...

Table of contents

  1. Copertina
  2. ELEGIA DI MADONNA FIAMMETTA
  3. Indice
  4. Intro
  5. ELEGIA DI MADONNA FIAMMETTA
  6. Prologo
  7. Capitolo I.
  8. Capitolo II.
  9. Capitolo III.
  10. Capitolo IV.
  11. Capitolo V.
  12. Capitolo VI.
  13. Capitolo VII.
  14. Capitolo VIII.
  15. Capitolo IX.
  16. Ringraziamenti