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Giuseppe Mazzini (1805-1872) è stato un patriota, un politico, un filosofo. Affiliato alla Carboneria, fu arrestato ed esiliato. Si stabilì in Francia, dove fondò la Giovine Italia (1831, poi disciolta); riparò in Svizzera, dove fondò la Giovine Europa; e inoltre a Londra, dove ricostituì la Giovine Italia (1839). Esponente di punta del patriottismo risorgimentale, le sue idee e la sua azione politica contribuirono in maniera decisiva alla nascita dello Stato unitario italiano. Contrario alla violenza rivoluzionaria, legato a una concezione religiosa della vita («Dio e Popolo») e a una idealizzazione dell'agire politico («Pensiero e Azione»), scrisse articoli, saggi letterari, un epistolario e il trattatello I doveri dell'uomo (1860).

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Information

GIUSEPPE MAZZINI

Giuseppe Mazzini
povero, contristato, schernito sognatore
tollera
questi onori postumi
i soli consentiti dal destino
ai maestri.

Non ignoro che a molti parrà singolare stranezza questo parlare di Mazzini immediatamente dopo Socrate e Cristo, i due primi più solenni e più rifermati maestri di civiltà; ma penso che quelli che verranno dopo di noi, considerata tutta a parte a parte la dottrina e la vita dell’uomo, dopo Socrate e Cristo nella storia lo allogheranno terzo non di valore, ma di tempo. E per sostenere dimostrativamente così difficile e nuovo assunto e farlo passare nel convincimento non solo degl’Italiani ma di quei stranieri che con amore umano guardano il procedere di tutti i popoli nella vita del mondo, devo ragionare di Mazzini non di fuga, come per cagioni subitanee mi occorse altre due volte, ma con animo riposato e con occhio intensamente rivolto alla dottrina e alla storia. Spero, e l’opera non tradirà la speranza, che così facendo n’esca intera la grande figura del nuovo Apostolo, che fu più grande dell’Italia e pari all’umanità: intera, sicché ciascuno ne veda la Verità e la contraddizione, la grandezza e l’errore e nel medesimo errore la grandezza.
Di uomo liberissimo oso parlare liberamente innanzi alla sua scuola, giacché Egli è stato e poteva essere il solo dei grandi uomini moderni che ha lasciato dopo di sé una scuola d’uomini forti, anche in ciò comparabile a quei due fondatori di due scuole di fortissimi, dietro alle quali stavano due civiltà. E liberamente parlo anche innanzi ai suoi nemici che nemmeno sull’urna depongono l’ira, perché nei dilettanti di Stato, di libertà e di lettere la voce di Lui mette ancora sgomento, e perché molti sono ancora gl’interessi che attaccati tenacemente alle reliquie del medioevo, resistono al vero che gli sperde o trasmuta. Né si placano ancora i fautori del rivolgimento sociale, i quali, per necessità dolorosa dei tempi, troppo duramente da lui giudicati duramente lo giudicarono; ed ora aspettano da giorni non lontani la composizione del fraterno dissidio.
E a queste difficoltà non lievi, aggiunta quell’altra e suprema che fece dire a Mazzini: «Se la mia fede poggiasse nel Vero, dirà il futuro», si vede che difficile oltre modo, per il tempo, per le passioni di parte, e sopra tutto per le condizioni della stampa in Italia, è parlare di Mazzini: e pure se ne deve, perché dal giudizio che si darà di Lui dipende la soluzione delle questioni più cocenti, più contrariamente agitate, più inerenti alla nostra esistenza individuale, domestica, civile, politica, nazionale, cosmica: dipende, in ultimo, la soluzione del problema economico, che è l’ubi consistam dell’età nostra. E mi terrei avventuroso, se i suoi discepoli e i suoi nemici e quelli che a me sono avversi per antagonismo di sistemi, volessero leggermi con animo dimentico di me e tutto inteso ai principî ch’io fermo e alle conclusioni che ne derivo: fortuna poco sperabile in questo cadere di tempi tra questa gente. E non si è detto moltissimo di Lui? Niente, a me pare che pareggi l’argomento per le ragioni sopra discorse e per altre spiegabili meglio dal tempo. Ed entriamo dunque in questo ragionamento come in foresta vergine.
Socrate intimò allo Stato greco la protesta umana; morì cittadino, ma trascinò lo Stato dietro il suo feretro. Il sacello innalzato a Socrate, dissi, consacra la prima deificazione istintiva dell’uomo fatta dall’espiazione civica. Cristo venne e seppe di venire nella pienezza dei tempi per mettere la scure alle radici, cioè per contrapporre un evo ad un altro, al cittadino l’individuo; il quale comincia nell’eremita e finisce nella brutalità dell’egoismo odierno, comincia nella superba continenza del deserto e finisce nelle usure civili onde il capitale tormenta il lavoro. E Mazzini, che dai più liberi fu salutato Apostolo e profeta di nuova Idea, si rese conto strettissimo del suo tempo e della sua missione? Mantenne sempre conformi pensiero ed azioni, o talora difformi per necessità impreveduta, per deviamento di logica, o per debolezza di volere? Lasciamo che risponda egli stesso a queste domande fondamentali che sono le premesse al nostro discorso; ed egli è uomo che non deve mendicare la risposta, avendola meditata quarant’anni. Sin da quando fondava la Giovine Italia scriveva queste parole: «E chi siam noi, perché abbiamo a calcolare i nostri discorsi dalle conseguenze personali? L’epoca degl’individui è sfumata. Siamo all’êra dei principî». Egli dunque sin dal 1831 si fa nunzio di un terzo evo; araldo e non improvvisatore, dice netto che l’individualismo cristiano tramonta e che sopra l’individuo s’alza un’idea. Scrive appresso che bisogna consacrarsi interamente alla Santa Causa di questa Idea; e del resto avvenga che può, perché l’uomo il quale si slancia nella crociata dell’umanità senz’aver dato un addio ai calcoli, ai conforti, a tutte quante te gioie della vita, non ha missione? Vi è dunque un’êra nuova, vi è una missione: l’una determinata da un principio, l’altra da una consacrazione. A chi spetta la missione? Ei risponde: «Chi scrive codeste linee ha disperato, tranne un affetto, della vita contemplata individualmente, e per questo ei si sente più forte nella predicazione del pensiero rigeneratore». Dunque egli si è consacrato: la missione spetta al nunzio dell’Idea. E fin qui troviamo in Mazzini ciò che in Socrate ed in Cristo: la compenetrazione del principio con la missione, il connubio del pensiero coll’azione: e questa compenetrazione costituisce la totalità etica senza cui non vi è grandezza d’uomo e assai meno grandezza di fondatori. E pure la grandezza di Socrate non è quella di Cristo, perché tra i due non essendovi medesimezza di principio, non vi è parità di missione, di fine, di vita, di sacrificio: Socrate muore come i difensori delle Termopili, pro sanctis patriae legibus; l’altro tradidit sese pro nobis, ma per noi individui, non greci né latini: l’una è grandezza civile, l’altra è sommità individuale. In che la grandezza di Mazzini differisce dalle due prime?
Differire deve, perché i tempi non si ripetono e per conseguenza né i principî, né i fini, né i sacrifici, né i fondatori. E questa differenza di principio non dev’essere semplicemente annunciata, ma determinata, non dev’essere un nescio quid che sfugge di continuo alla prova dell’azione, al travaglio della vita, al moto della storia; ma deve avere gravità di polpe e d’ossa; cioè lineamenti suoi, forma sua, sua visibile sembianza, se vuol entrare nella fede, nella associazione, nella lotta durevole. E non basta niente che la differenza sia posta filosoficamente o con precisione di logica formale, ma dev’essere storica, eco d’alto e crescente bisogno di popoli, espressione di fremito sordo che non riposa in nessun giorno e in nessun luogo, esponente di tendenze comuni più pullulanti dove più compresse; deve insomma avere con sé la pienezza dei tempi. E questa è appunto la differenza tra gli utopisti e i fondatori di civiltà: quelli conoscono le determinazioni logiche, questi le determinazioni storiche; quelli sono talora precursori buoni o cattivi, questi sono maestri; gli uni possono essere di numero indefinito, gli altri sono strettamente numerati. Ne seguita che non basta dire l’ Idea: è rumore di voce; ma si ha da sapere se questa idea sia eleatica, pitagorica, socratica, aristotelica, cristiana, mistica, nominale, hegeliana, o se sia nuova Idea; e più monta sapere se porti con sé quella pienezza di storia che le dia battesimo e la faccia rapidamente diffusiva, battagliera, suscitatrice insistente, fatale, sì che nel medesimo tempo sia meno aiutata dall’opera buona dei credenti che dagli errori e dalle scelleratezze dei nemici.
La sintesi di questi due lati, di questi due frammenti del vero, del filosofico e dello storico, è strettamente compendiata da Mazzini in questa proposizione: Oggi, i popoli hanno sete di logica. Oggi, vuol dire ch’egli ha guardato, non inventato, sorge interprete non utopista; logica, vuol dire che alla prova rovinosa dell’eclettismo dottrinario bisogna animosamente sostituire un principio determinato e stare alle conclusioni; sete, vuol dire bisogno ardentissimo, indomabile sino a che si estingua o nell’acqua o nel sangue. Quindi la necessità di differenziare il suo principio da qualunque altro dei dottrinari contemporanei, dottoreggianti sull’oggi e ciechi sul domani, da qualunque altro principio posto dagli antichi fondatori, derivarne quante conseguenze si possono dalla logica di un uomo e le rimanenti commettere alla logica dei popoli.
Questa logica di cui i popoli hanno sete e di cui ai popoli ei commette gran parte non può essere la logica semplicemente formale degli scolastici, quella del medioevo, la quale sollecita del solo processo, cioè della necessità illativa, prendeva ciecamente la premessa fondamentale dell’autorità. Questa era logica servile, ecclesiastica e forense, dommatica e arbitraria, astratta e unilaterale e però disdetta sempre dalla natura e dalla storia; perché la necessità non dev’essere soltanto illativa ma iniziale e deve dimorare non solo nella illazione ma nel principio. Dunque la logica di cui parla Mazzini non è quella che avvezzava a belare i panegirici, e a concludere che tre persone fanno una, e che Dio si transustanzia ad ogni bisbiglio di chierico, ed altre cose procedenti dalla mezza necessità; ma è necessità piena, necessità bilaterale, di forma e di sostanza, d’illazione e di principio; insomma è logica razionale non formale. Il moto delle scienze e della storia lo aveva condotto a tal punto; ed egli parlando di logica, intende innanzi tutto investigazione di principio: le conseguenze verrebbero di lor piede l’una dopo l’altra: ma l’animo innanzi tutto, soprattutto nella determinazione del principio. Egli ha sempre innanzi alla mente, come stella polare del suo cammino, un articolo della Convenzione nazionale, che a lui parve grido ellittico e pieno di tutto il tempo nuovo: Un principe, et des conséquences, voilà tout; e ne conchiuse che il Machiavelli giustamente giudicasse dannosissime certe vie del mezzo.
Com’ei procederà in questa investigazione differenziale del principio del nuovo tempo, per tradurre in formula il fremito dei popoli? Il tempo è uno, è continuo, e non può essere inteso davvero che complessivamente. Nessun giorno si ripete, ma ogni giorno s’integra nell’altro e tutti i giorni si condensano e spiegano in un punto. Perciò come una è la natura, una è tutta la storia del genere umano: la differenza tra la storia naturale e la civile è questa, che l’una è basamento all’altra. In questa infinita unità del processo storico si ha da intendere il vecchio e il nuovo, e dentro la natura dei principî che furono si ha da trovare la necessità del principio che dev’essere.
Ed ecco Mazzini sulla gran Bibbia dell’umanità, la storia, a spiare la favilla nel cenere doloso, nella morte il problema della vita, nelle conseguenze del passato il principio dell’avvenire. Egli dunque abbraccia la storia non con la freddezza paziente dell’erudito, non con la curiosit...

Table of contents

  1. Copertina
  2. GIUSEPPE MAZZINI
  3. Indice
  4. Intro
  5. LA RAGIONE DEL LIBRO
  6. GIUSEPPE MAZZINI
  7. PER MAZZINI
  8. Ringraziamenti