Il buio dopo la notte
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Il buio dopo la notte

Racconti

Aldo Luppi

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Il buio dopo la notte

Racconti

Aldo Luppi

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I racconti inediti in volume di Aldo Luppi (1928-2001) qua raccolti sono nell’ordine: Il buio dopo la notte; Le vite degli altri; I giochi dell’inconscio; Per favore, una volta sola; Dentro e fuori dal mondo; Per un amore; Una giornata storta; Per una curva sbagliata; Lo spettatore defraudato; Sala XV; Avvenimenti particolari; Notte di capodanno; Il capanno.

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Information

Year
2020
ISBN
9788835377832

LO SPETTATORE DEFRAUDATO

Quando mio padre partì per la Normandia, meta Évreux, io ancora non c’ero. Messa in valigia tutta la sua voglia di vivere, si lasciava alle spalle un matrimonio fallito e un lavoro in cui gli era subentrato il fratello minore. L’aveva chiamato lassù un amico emigratovi all’avvento del Fascismo; una testa calda socialista sfuggita per un pelo ai metodi piuttosto spicci del regime nei confronti d’ogni forma di dissenso.
A spingerlo all’avventura francese era stata una delle tante lettere di quel bel tipo, che gli prospettava un’esistenza diversa in cui avrebbe potuto procurarsi un nuovo lavoro e rifarsi una famiglia. Nel giro di quindici giorni, perciò (il passaporto lo teneva pronto fin da prima dell’invito), passò il confine raggiungendo l’amico nella città dove poi sarei nato io. Il sole, finalmente; ero stanco di pioggia. Stamattina, credo, riprenderò le mie passeggiate. Non è ancora primavera, ma ci siano vicini. Capotto, sciarpa, cappello e via, con le mie vecchie gambe che hanno bisogno del bastone. Mi sono rasato e so di dopobarba. Uno dei piaceri della mia giornata è quest’odorino sotto il naso che svanirà mentre cammino. L’altro del mattino, è la lettura del giornale al bar davanti a una tazzina di decaffeinato.
Nella lettera Giulio aveva scritto: “Cosa aspetti a venire? Qui, ti sistemerai una volta per sempre, te l’assicuro. Si sta da papi, Aladino, credimi. Se è per la lingua, ti aiuteremo io e Anna”.
Così, sapendo di trovare una casa che gli offriva ospitalità, quanto meno temporanea, non aveva esitato. Unico cruccio, abbandonare la madre vedova che, fin da ragazzo, aiutava alla bancarella di frutta e verdura nella piazza del mercato. Sulla decisione di andarsene, comunque, aveva pesato soprattutto il fatto che la ragazza di suo fratello (verso la quale nutriva un’antipatia peraltro ricambiata) fosse rimasta incinta, con l’obbligo morale quindi delle nozze e bocche in più da sfamare per la mamma fruttivendola.
Sto cercando mia moglie. Che ore sono? Le dieci e venti: è a far la spesa, presumo. Non l’ho sentita però uscire; evidentemente, ero in bagno. Di solito, m’avverte; perché, se dimentica di salutarmi, sa che ci resto male.
Mi dirigo verso la cucina e la chiamo. Nessuna risposta. Per cui, il buonumore di un momento fa si muta in un senso di fastidio. Il pranzo di oggi: avremo con noi Flavio, il nostro nipotino, che Velia andrà a prelevare all’uscita dalla scuola. Suppongo sia preoccupata per quello. Io, al contrario, quando nostra figlia per impegni di lavoro ce lo rifila, torno bambino con lui e ci gioco insieme; quantunque la cosa m’affatichi un po’. I suoi sette anni, mi consolo, portano in casa tanta allegria.
Mio padre, con l’aiuto del suo amico, in breve tempo venne assunto in una fabbrica di calzature; così poté trasferirsi dall’abitazione di Giulio e Anna in una pensioncina dello stesso quartiere, dove fece nuove conoscenze senza tuttavia smettere di frequentarli quotidianamente. Andava intanto impadronendosi sempre più del francese; il che lo favorì (era un bel giovane) nel tempo libero per amoretti alla mordi e fuggi con operaie e commesse di grandi magazzini. Stava anzi per festeggiare il suo secondo anno ad Évreux, allorché Giulio venne rovinosamente coinvolto in un incidente stradale. Papà, avvertito sul lavoro, corse all’ospedale, ma vi giunse che l’amico era già spirato. Furono mesi di dolore, in cui Anna cadde in una forte depressione. Un camion assassino le aveva sottratto per sempre l’uomo che ella amava e, soltanto grazie all’appoggio di mio padre, piano piano ricominciò a riassaporare il gusto della vita.
Forse decise il destino o forse la continua vicinanza: la grande amicizia, giorno dopo giorno, si trasformò in un sentimento più profondo (era prevedibile) che li portò alla convivenza; e, dal successivo matrimonio, nacqui io.
Avrei pagato non so cosa perché fossero vivi entrambi quando toccò a me avere figli; ma solo mamma si godette per qualche anno i nipoti; papà morì di polmonite prima che Velia partorisse Luciano.
Ho conservato di Évreux e del quinquennio di mio padre in Francia fotografie (poche, in verità; a quell’epoca si immortalava qualcuno soltanto in occasioni importanti) che il tempo ha ingiallito, nelle quali appaio paffutello in mezzo a una sparuta pattuglia di compatrioti che si ritrovavano a casa nostra ogni domenica per una spaghettata all’italiana. La parentesi transalpina dei miei genitori l’ho conosciuta dopo, al rientro in Italia, dai loro ricorrenti ricordi; considerato che io c’entravo solo per gli ultimi due anni scarsi. Perciò, se le domande di mio nipotino, interessato pure lui alle storie di famiglia, si fanno incalzanti, il più delle volte sono costretto ad abbellire se non addirittura a inventare.
Suonano alla porta. La posta, mi dico. Mi viene infatti consegnata una lettera della banca che si occupa dei miei investimenti in azioni e titoli vari. Ho guadagnato qualcosa: bisogna che faccia un regalo a Velia.
Il regalo più bello a mamma, papà glielo fece proprio riportandola in Patria (era di origini padane anche lei). S’installarono per qualche settimana in casa della nonna (continuava l’antipatia reciproca fra mio padre e la cognata); poi, presero in affitto una piccola calzoleria con un paio di locali d’abitazione al piano rialzato. E, mentre il fratello e la moglie stentavano a tirare avanti con la bancarella, loro due, lavorando sodo, si fecero un gruzzoletto parte del quale servì per immettere in famiglia, attraverso me, il primo diploma di scuola superiore.
Devo probabilmente a mio padre lo spirito d’iniziativa e l’impegno che ho sempre messo nel lavoro. Fra l’altro (oggi non riesco a staccarmi dal buon Aladino), so di un fatto che ne attesta l’onestà e il coraggio: finì sul giornale di Évreux per aver acciuffato afferrandolo per le gambe un ladro reduce da un furto in una vicina gioielleria mentre tentava di fuggire.
Il nodo alla cravatta, davanti allo specchio. Stamattina sono in ritardo con tutto. La giacca dall’armadio: grigio picchiettata. Lo consegnò a un poliziotto (un flic, diceva lui), in presenza dell’orefice subito accorso, non ricevendone nemmeno un grazie, sosteneva. Con una piccola folla intorno che s’era guardata bene dall’intervenire nella vicenda. Ma che importava? Sentiva d’aver agito secondo coscienza e questo gli bastava.
Esco di casa raggiungendo in pochi minuti l’edicola dove compro i giornali. “Buon giorno, geometra” mi sento dire ricevendo il Corriere; e il saluto è accompagnato da un ampio sorriso.
Al bar, invece, vengo accolto con il solito “Buon giorno, signor Ludergnani”. Già, l’ex costruttore, settant’anni portati discretamente, malgrado il bastone.
Al tavolino, mentre aspetto il deca, scorro il giornale, ma non riesco a concentrarmi. Ho ancora in testa papà, il giorno in cui mi annunciò con voce velata dall’emozione: “Sai, Ettore, ho una sorpresa per te. Ho parlato con l’architetto Botti, mio cliente. È disposto, quando lo vorrai, ad assumerti in prova nella sua impresa.
Alcune mattine dopo iniziava la mia carriera di costruttore; e non sapevo che, di quell’impresa, fra le migliori della città, nel corso degli anni sarei diventato prima socio e poi, alla morte del Botti, unico proprietario.

Ho ancora una mezz’oretta prima che mi scada il tagliando del parcheggio. Vengo abbastanza spesso qui di pomeriggio, una città a poco più di trenta chilometri dalla mia, dove incontro solo gente che non conosco. Evitare le solite facce di tutti i giorni, grazie a Dio, è un piacere che alla mia età posso concedermi.
Cammino lentamente, mi fermo ad ammirare le vetrine, osservo senza dover salutare chi mi passa accanto e raggiungo il bar-pasticceria in cui si danno convegno i giovani della buona società locale. In questo momento, al banco viene servito un tizio sui trent’anni che, nel ricevere la tazzina di caffè da una barista apparentemente coetanea, dice una battuta che la fa ridere. Mi piacerebbe ascoltare uno scorcio di conversazione fra i due; ma, dall’altra porta del bar è entrata una ragazza che va a sedersi a un tavolino a poca distanza dal mio.
È bruna, questa, molto elegante, con un viso incantevole. Le guardo subito le gambe; anche perché, sotto la giacca del tailleur indossa una mini che più mini non si può. Perfetta, mi dico, mentre ordina un analcolico.
Le gambe di mia moglie, a un tratto, per associazione. Mi presero al laccio fin dal primo istante in cui potei vederla in costume da bagno. Nei nostri normali incontri le avevo soltanto immaginate; e quella gita al mare con amici me le rivelò finalmente, in tutta la loro bellezza. Le occhiate di noi maschi d’allora si fermavano d’obbligo al polpaccio e alla caviglia.
Velia non era ancora la mia fidanzata, ma quel giorno trovai il coraggio di manifestarmi apertamente: “Sei stupenda” esordii, tenendo la voce bassa per non farmi sentire dagli altri. Lei intuì che quella volta facevo sul serio e mi tese una mano sorridendomi. Qualcuno però della nostra piccola brigata mi guastò momentaneamente la festa dichiarando ch’era l’ora della nuotata. Così, corremmo tutti verso l’acqua uniti nell’urlo della scommessa a chi l’avrebbe raggiunta per primo; premio, una consumazione gratuita al chiosco dei gelati situato dove finivano gli ombrelloni. Bevuta la sua bibita e accesa una sigaretta, che fuma con ampie volute, quasi giocasse, ha assunto un atteggiamento malizioso. Probabilmente, s’è accorta che la sto ammirando, sebbene lo faccia con estrema discrezione. Ritengo aspetti qualcuno e, allorché vedo entrare un giovanotto, punto su di lui, sbagliando; poiché, invece, va verso il banco dove staziona il tizio dalla battuta facile. I due uomini, certamente clienti abituali, punzecchiano così a turno la barista e io noto nella giovane vicina a me una smorfia di compatimento, dopo la quale subito il volto le si ridistende. Torna statuaria, il busto, eretto e le gambe accavallate. Avessi vent’anni meno... Bah, magari è una universitaria con tanto di ragazzo. La mia mente, tuttavia, corre a briglia sciolta e m’accade di fantasticare di portarmela a letto, ignorando del tutto la vecchiaia, memore delle avventure di un tempo.
Intanto i rumorosi burloni che stavano al banco affiancati ci passano davanti e il primo le rivolge un saluto ch’ella ricambia. Le donne. Purché ovviamente non costituissero un pericolo per il mio matrimonio; perché altrimenti rinunciavo. Da persona seria, vorrei dire, consapevole però che sarebbe ipocrisia bella e buona. I maschi della mia generazione si concedevano in genere evasioni extraconiugali, fermo restando il principio che la famiglia non andava compromessa per nessuna ragione.
A questa meravigliosa creatura, peraltro, m’è lecito dedicare solo sguardi furtivi. Un vero peccato. In altra età, usando il massimo tatto e lei permettendo, non me la sarei lasciata scappare.
Ancora pochi attimi di piacere intimo in cui me la figuro senza veli e poi, inevitabilmente, il rimpianto di chi è fuori gioco. Sta frugando nella borsetta adesso, da cui trae il contenitore del rossetto. Labbra sensuali che si protendono per ricevere un filo di color marrone. Ancora più bella, mi dico estasiato.
Velia, la prima volta che la baciai, per togliermi la macchia di rossetto mi sfregò fino a farmi male. Eravamo anche noi desiderosi di effusioni, ma ancorati a un tipo di educazione repressiva. Pur se godevo di quel bacio lungo e ben dato, mi sarei - ci saremo vergognanti di fronte agli altri di quello sbaffo di rosso.
Di nuovo le gambe, che la giovane accavalla all’incontrario. E io, mescolando il sacro al profano, fermo a quel bacio che m’apriva orizzonti infiniti. Eh, sono fatto così: il costruttore Ettore Ludergnani, tutto d’un pezzo sul lavoro, pronto ad accendersi allora come in questo momento nei confronti d’ogni bella donna.
L’appuntamento per il giorno seguente. Volevo condurre Velia in campagna e invece finimmo in un cinema di periferia a pomiciare, lei che però mi allontanava la mano quando si faceva più ardita.
Sono entrate due persone e la barista ha servito loro il caffè al banco. Li studio: una signora direi sui cinquanta portati con disinvoltura; indossa una pelliccia che tiene aperta visto che oggi il clima è mite. Mostra un pizzico di classe; come del resto il compagno, il marito suppongo, il loden verde, il quale educatamente ha atteso per bere che lei mettesse un po’ di latte nel caffè. Parlano sottovoce, in tono affettuoso. Una bella coppia matura, insomma.
Purtroppo l’osservazione dei nuovi arrivati mi riserva una sorpresa, quando ritorno all’attrazione maggiore: la ragazza che mi faceva sognare non è più sola; le siede accanto un giovanotto che le circonda le braccia con un braccio e, di tanto in tanto, le sfiora con la bocca i capelli. Come avevo previsto, era in attesa di qualcuno; se no, cosa ci avrebbe fatto qui, a quest’ora del pomeriggio? concludo amaramente. Tuttavia, mi piace scaricarne la colpa sui presunti coniugi, rei d’aver permesso l’incontro mentre ero occupato con loro. Mi duole la cosa avvenuta a mia insaputa; io magari l’avrei preparata abituandomici a poco a poco, zumando sulla bella favola.

Un’occhiata all’orologio m’avverte che il mio tagliando di parcheggio è abbondantemente scaduto. Mi alzò, ancora un tantino irritato per la delusione provata nel cogliere all’improvviso la ragazza dalle gambe tentatrici in compagnia, soprattutto perché sono stato preceduto nel pensiero. Idealmente mi sento tradito.
Dell’eventuale multa non m’importa gran che; poi, non è detto che me l’abbiano già appioppata.
Uscendo, tengo lo sguardo basso e non m’appoggio al bastone, per non rivelare del tutto la mia età avanzata; mossa inutile, dato che, nello sbirciare per un attimo dalla porta, vedo i due giovani baciarsi come se intorno non ci fosse nessuno. Sono padroni del mondo, mi dico; ed è giusto che sia così. A scapito di chi è nato prima, a cui certe libertà non erano concesse.
Naturalmente, al parcheggio, c’è la multa sul parabrezza. Anche se la trovo salata, mi vien da ridere: valeva la pena di tardare per un desiderio colpevole e inappagato? mi chiedo ritornando di buonumore. Sì: ho rubato istanti di gioventù, dimenticando i miei anni e il mio stato. Da quando fungo soltanto da spettatore della vita degli altri, in famiglia e fuori, cosciente di vedermi defraudato della mia, questa è una delle poche volte in cui mi scopro partecipe.
Avvio infatti la macchina fischiando come i garzoni di bottega d’altri tempi, mentre un sole tiepido m’accarezza le mani sul volante. Basta così poco perché l’anima canti!
“Credo, papà, che oggi sia il caso che ti alzi” mi dice in tono di rimprovero Luciano. “La sciatalgia sta regredendo e puoi finire di domarla anche rimettendoti in piedi”.
C’è nelle parole di mio figlio l’abituale ironia di quando mi dichiaro ammalato, perché s’è messo in testa che mi piaccia farmi coccolare, esagerando i miei acciacchi; che lui, da buon medico, attribuisce (ripetendosi sempre gli stessi sintomi) all’avanzare dell’età. M’accusa spesso infatti di accentuarli per poter essere al centro dell’attenzione di quanti mi stanno attorno.
“Ma ho dolore, figliolo” tento di difendermi; “ammetti almeno la sofferenza: sono tutto reumatizzato!”
A volte, ho la sensazione che fra noi le parti si siano invertite; ora è lui a fare il padre; e a me, sul piano dei sentimenti, questo non dispiace. Mi sento protetto, benché poi rispunti in tali circostanze il timore di non venir considerato a sufficienza. Abbiamo instaurato, quando l’ho visto uomo, un rapporto di reciproca fiducia mantenuto negli anni. A diciassette, invece, eravamo distanti, anche perché diceva che non lo capivo. E forse era vero; tuttavia, resto dell’idea che, se i genitori non si sforzano troppo per comprendere i figli, questi, a loro volta, non fanno, nulla per capire chi li ha generati. Questione vecchia come il mondo.
La molla è scattata allorché l’ho convinto ad abbandonare un complesso rock in cui, probabilmente, rischiava di divenire un drogato; m’aveva spinto a ciò l’istinto (lui non si confidava), trovandolo pallido oltre misura e arrancante negli studi.
Dopo, è stato più facile confortarlo, poiché ci ha messo del suo. Soprattutto al secondo anno di medicina, quando s’è reso conto che la laurea costa fatica. Ne abbiano parlato insieme e, da buon testardo, ha sentito la cosa come una sfida, portandola a termine con risultati brillanti.
Adesso mi sta osservando senza parere, mentre toglie da un flaconcino il foglietto illustrativo di un antireumatico che ancora non m’ha fatto provare.
“Continua la tua cura normale” mi suggerisce dopo averlo scorso; “stai migliorando e mi sembra inutile cambiare”. Sono sicuro che, dietro le parole, nasconda qualcos’altro; forse ricorda le prediche subite da giovane (mentre io parlavo, lui mi guardava senza espressione alcuna) e non vuol ricambiarmi d’ugual moneta, lo deduco anche dall’insolito buffetto su una guancia che ricevo: “Verrò a vederti domani sera” mi comunica sorridendo; “fino ad allora, mamma è in grado di sostituirmi egregiamente. Perciò, non farla arrabbiare, ti prego”. Accennato a un saluto, proprio mentre si avvia per andarsene, si trova di fronte Velia in entrata. Ha fretta, le dice abbracciandola, deve correre all’ospedale per il consueto giro serale in corsia. Lei vorrebbe trattenerlo, ma s’accontenta di un’ulteriore carezza. Così restiamo soli io e lei e subito ne approfitto per dichiarare che abbiamo un figlio troppo preso dal suo lavoro. “Tu, sta’ zitto” mi rimbrotta Velia; “eri uguale se non peggio.
Ha ragione. Fino al pensionamento sono stato un lavoratore instancabile. Del resto, ero cresciuto alla scuola di un eccellente maestro: il Botti m’aveva insegnato tutto delle costruzioni. Con lui abbiamo rimesso a nuovo interi quartieri della città; e, dopo la sua morte, ho addirittura aumentato il numero dei nostri cantieri.
Con gli operai andavo d’accordo, perché sapevo valutare adeguatamente le loro necessità. Pochi licenziamenti e solo di lavativi; per cui, la mia lunga attività è costellata di ricordi belli.
Niente imbrogli e compromessi: agivo in maniera pulita. Qualche errore, magari, ma rimediabile. Tanto è vero che rammento un unico episodio disdicevole: quello in cui, per la mia scarsa resistenza al fascino femminile, rischiai d’impegolarmi da sciocco.
Un certo giorno mi capitò in ufficio la giovane moglie di uno dei miei capomastri con una scusa banale e intuii che, qualora mi fossi lasciato convincere a prestarle, a totale insaputa del marito (mi parlò di un acquisto incauto che intendeva tener nascosto), una certa somma, avrei trovato un’accoglienza particolare.
Era giovane e molto procace, il che aumentò la tentazione; ma non cedetti. E, benché abbia temuto poi per diversi giorni che accusasse me d’averla insidiata (cosa che peraltro non fece), fui sempre lieto d’essermi tirato indietro.
Mi alzo e decido di rimanere in pigiama, nonostante le proteste di Velia. Una doccia, subito. La sensazione di benessere dell’acqua che mi scorre lungo il corpo vorrei durasse all’infinito. Ho ancora nella mente quella lontana adescatrice e quel prestito negato con estrema cortesi...

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Luppi, A. (2020). Il buio dopo la notte ([edition unavailable]). Tiemme Edizioni Digitali. Retrieved from https://www.perlego.com/book/2092202/il-buio-dopo-la-notte-racconti-pdf (Original work published 2020)

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Luppi, Aldo. (2020) 2020. Il Buio Dopo La Notte. [Edition unavailable]. Tiemme Edizioni Digitali. https://www.perlego.com/book/2092202/il-buio-dopo-la-notte-racconti-pdf.

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Luppi, A. (2020) Il buio dopo la notte. [edition unavailable]. Tiemme Edizioni Digitali. Available at: https://www.perlego.com/book/2092202/il-buio-dopo-la-notte-racconti-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Luppi, Aldo. Il Buio Dopo La Notte. [edition unavailable]. Tiemme Edizioni Digitali, 2020. Web. 15 Oct. 2022.