San Contardo d'Este
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San Contardo d'Este

Pellegrino da Ferrara a Broni

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San Contardo d'Este

Pellegrino da Ferrara a Broni

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A diversi anni di distanza dalla sua prima pubblicazione su Contardo d'Este (1216-1249), Gianna Vancini (1941-2016) ripropone ora in questo libro la biografia dedicata all'unico santo della dinastia Estense arricchita di ulteriori approfondimenti. L'autrice, accreditata come "scopritrice" e maggiore studioso dell'affascinante figura di San Contardo, racconta con mano lieve e acume esaustivo il percorso esistenziale e spirituale del nobile ferrarese divenuto patrono di Broni (PV), in occasione della ricorrenza degli 800 anni dalla sua nascita. (Riccardo Roversi)

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Information

PRIMA DEL 1598 GLI ESTENSI DI FERRARA SCORDARONO L’ANTENATO CONTARDO?

Per dare risposta a questo interrogativo, mi sono avvalsa inizialmente di un passo del Frizzi su cui fanno leva Bascapè e Baldi-Orsi, ma che è messo in dubbio da Chiappini: passo relativo al marchese Nicolò III, il primo dei quattro principi Estensi di Ferrara di cui tratterò.
Giacomo Bascapè nel libro San Contardo pellegrino, protettore di Broni (1946), nel secondo capitolo, dove analizza “La questione della famiglia”, afferma: “Del resto non è esatto che gli Estensi avessero del tutto scordato San Contardo” 1. Per provare ciò il Bascapè ricorda che il marchese Nicolò d’Este, a detta del Frizzi, aveva deciso di dedicare a “San Gottardo” la chiesa di Santa Maria degli Angeli (iniziata nel 1437) “perché pativa egli di gotta e credeva col volgo che portasse allusione a quel male il nome di un tal santo, riferito da alcuni nella famiglia d’Este e nominato anche Contardo” 2. La notizia del Frizzi, tratta dagli Annales Estenses dice che Nicolò III, prima del completamento, volle dedicare la chiesa “ad honorem beati Gotardi”, ma successivamente, ottenuta per essa una grande indulgenza (che non è possibile precisare), variò l’intitolazione della chiesa che sentiva tutta sua. (È utile ricordare che i nomi Gotardus e Contardus, spesso usati indifferentemente, sembrano derivare dal nome della famiglia materna del Santo, i Gontardi, che abitavano a Ferrara nelle vicinanze dell’antica chiesa di S. Clemente, del X secolo).
È proprio l’osservazione del Frizzi (relazione del nome con la malattia e l’identità del “Beatus Gotardus”) che nel saggio Realtà e leggenda di S. Contardo Luciano Chiappini mette in dubbio, definendo la citazione dello storico ferrarese Frizzi “Ad honorem beati Gotardi” (tratta dagli Annales Estenses di Fra’ Giovanni Minorita, che si limitò solo a narrare il fatto) “commento […] tutto del Frizzi […] e tutt’altro che giustificato, perché Contardo di solito non è invocato in casi di podagra e qui potrebbe trattarsi del S. Gottardo tedesco” 3. Il riferimento del Chiappini è al Santo festeggiato il 5 maggio, venerato a Bagnolo Po, paese ora in provincia e diocesi di Rovigo, ma fino al 1819 appartenente alla diocesi di Ferrara. Si tratta di San Gottardo, divenuto vescovo di Hildesheim dietro richiesta dell’imperatore Enrico II. Nacque nel 960 e morì dopo breve malattia nel 1038. I patronati che gli vengono attribuiti sono contro la febbre, la podagra, l’idropisia, le malattie dei bambini, le doglie del parto, nonché contro la grandine.
Circa il passo del Frizzi su S. Contardo, Angelo Bargellesi Severi in Una tomba per dieci Estensi accoglie la tesi del Chiappini, ma nello stesso saggio il Bargellesi fa un’affermazione che non lascia dubbi sull’autorevolezza del Frizzi; affermazione che mi piace registrare perché ci spinge a condividere la notizia sulla dedicazione a S. Contardo di S. Maria degli Angeli.
Dice il Bargellesi: “… il nostro storico principe, il Frizzi, che sia detto una volta per tutte, è ben difficile cogliere in fallo” 4.
Tornando al passo dubitativo del Chiappini, “Contardo di solito non è invocato in casi di podagra”, mi piace sottolineare che S. Contardo fu intercessore in casi documentati di gotta o podagra, nonché di altre malattie: ciò avvalora, a parer mio, l’affermazione del Frizzi.
Se si leggono le pagine del codice bronese relative ai miracoli e ai patronati del Santo ne consegue che Egli è un grande taumaturgo, la cui potenza sovrannaturale non è limitata ad un unico tipo di guarigione, ma riguarda varie specie di malattie (idropisia, paralisi delle gambe, deformità congenita, come si legge nei capitoli XII, XIII e XIV del codice). La conferma ci viene anche dagli Acta Sanctorum, in cui si documentano i miracoli di S. Contardo avvenuti in epoca posteriore al codice del Crosnis.
Negli Acta si parla di guarigioni di malattie diversissime tra loro ed anche di due casi di podagra, avvenuti nel 1620 e nel 1627: il primo riguardò P. Gio. Maria Arrighi da Soncino, inquisitore di Parma dell’Ordine dei Predicatori; il secondo è relativo all’inquisitore P. Eliseo Masini da Bologna. Le due guarigioni da gotta o podagra sono citate anche da I. Ciarlini nella sua Vita et historia di S. Contardo: il primo miracolo risulta rogato; del secondo si ha invece testimonianza scritta 5. Anche nelle lezioni dell’ Ufficio particolare del Santo, approvate dalla Sacra Congregazione dei Riti - come ci informa Giovan Battista Maggi -, lungo è il catalogo dei miracoli ottenuti per intercessione di S. Contardo, e fra essi sono citati casi di podagra: “… questi istessi miracoli si ripetono ogni anno a sollievo di tanti che presi da dolori colici, o di capo, da podagra, da febbri petecchiali e da intermittenti, al medesimo Santo fanno ricorso per la grazia…” 6.
Il caso di podagra o gotta di Nicolò d’Este citato dal Frizzi (non estraneo perciò ai patronati del taumaturgo Santo pellegrino), a cui si legherebbe anche la volontà di Nicolò d’Este di dedicare a S. Contardo la chiesa di S. Maria degli Angeli, è una ipotesi a mio avviso accettabile e, al tempo stesso, la possibile conferma dell’interesse che il gottoso Marchese d’Este rivolse all’antenato Contardo.
L’importante chiesa ferrarese di Santa Maria degli Angeli, ora demolita, che il Marchese avrebbe voluto dedicare a S. Contardo fu anche mausoleo estense in cui Nicolò III, proprio Nicolò III, primo fra gli Este, volle essere sepolto “nudo e senza alcuna pompa, in un avello terragno a piè dell’altar maggiore” - come tramanda il cronista del Diario Ferrarese. La chiesa degli Angeli era certamente nel cuore degli Estensi se il primo duca di Ferrara, Borso, figlio di Nicolò, nel 1461, come recita un antico manoscritto “fece lastricare la strada degli Angelli, a suo tempo fuori della Città, e lì fece piantare da ogni banda delle Pioppe…” 7. Anche il duca Ercole I, che pure venne sepolto in S. Maria degli Angeli, non solo fece donazioni alla chiesa, ma la arricchì con opere d’arte di valenti artisti, come testimoniano numerosi documenti d’archivio 8. Tra l’altro, a mo’ del padre Nicolò III e dell’antenato Contardo, nel 1487 anche Ercole I si avviò in pellegrinaggio verso Compostela, ma l’itinerario fu interrotto a Milano per volere di papa Innocenzo VIII che lo assolse dal voto in cambio di un viaggio a Roma 9. Circa l’interesse di Ercole I per S. Contardo sappiamo che il Duca affidò allo storico ed archivista di corte, Pellegrino Prisciani, ricerche sul Santo, le quali non dettero risultati.
Ritengo utile ora approfondire il tema del pellegrinaggio medievale, e in particolare a Santiago, perché quella meta accomuna a S. Contardo il marchese Nicolò III e il duca Ercole I, come accennato. Se immaginiamo irrealizzato il desiderio di Contardo di recarsi in Terra Santa, forse nel 1241 o nel 1249, si ricordi che nel 1244 c’era stata la caduta della Palestina sotto i mussulmani -, certa fu la vocazione del Santo a farsi pellegrino per recarsi in Galizia, come confermano l’arrivo e morte a Broni e il codice del Crosnis.
Broni sorgeva sulla famosa via Francigena su cui si incrociavano due diverse e contrapposte correnti di pellegrinaggio verso i santuari di Roma e Compostela. È utile ricordare che il pellegrinaggio medievale fu un fenomeno religioso, ma anche culturale che favorì scambi e creò edifici religiosi e strutture di servizio per i pellegrini, come ne è prova l’esistenza di tantissimi “ospedali e ospizi” vicino alle chiese. Fin dal X-XI secolo la diffusione degli “ospedali e ospizi” sulla grande via dei pellegrini e viaggiatori, e sugli innumerevoli cammini minori, spiega come la chiesa ed i laici testimoniassero attenzione all’assistenza del “viator”: gli ospedali servivano per un’ospitalità generica, basata sulla carità; gli ospizi invece erano osterie, alberghi a pagamento 10.
Abituale, lungo la via Francigena era perciò l’incontro con pellegrini diretti a Santiago o a Roma che indossavano una specie di divisa che li identificava: bordone, zucchetta, bisaccia, petaso, mantello, alti calzari. Erano oggetti indispensabili, ma anche legati ad un complesso simbolismo religioso e distintivo: la “conchiglia” era il segno dei pellegrini diretti a Santiago, la “veronica” dei romei diretti a Roma e la “palma” di coloro che si recavano a Gerusalemme. Il pellegrinaggio, fenomeno molto intenso in quel territorio, veniva compiuto per svariati motivi: accanto allo scopo devozionale o all’attesa di grazie o miracoli, poteva esserci il pellegrinaggio di espiazione da parte del condannato a fine pena o anche una “penitenza tariffata”, cioè il pellegrinaggio su commissione per intercedere o ringraziare per una conquista politica o altri motivi. Nel “pellegrinaggio sostitutivo” ciò che contava era la finalità da compiere e non la persona che lo compiva ed il sentimento con cui lo realizzava. La via Francigena era così percorsa da molte persone non motivate dalla fede, come i pellegrini professionisti che erano pagati secondo un preciso tariffario; era percorsa da mercanti, viandanti ordinari e briganti, ma la Francigena era anche un tramite di cultura e di attività commerciali.
Broni, sulla via Francigena, fu tappa per Contardo diretto a Compostela perchĂŠ il percorso quotidiano, come per ogni pellegrino sottoposto ai disagi del viaggio, ai digiuni e a pericoli vari, si arrestava spesso. Lo spostamento a piedi, in caso ottimale, comportava la possibilitĂ  di percorrere dai 16 ai 35 chilometri al giorno, con una media di 20.
Lasciata Ferrara, come suggerisce il Ciarlini, dopo aver toccato le località di Sermide, Quistello, Guastalla, Soragna e Piacenza (importante crocevia di strade già dall’Alto Medioevo), Contardo giunse a Broni con l’intento di proseguire per Genova, dove imbarcarsi. Gli studi recenti sui pellegrinaggi medievali verso Compostela parlano di imbarco dei pellegrini o a Luni (il cui porto fluviale è documentato a partire dalla prima metà del secolo XIII) o a La Spezia o a Porto Venere, per seguire un tragitto via mare fino alla Provenza.
Va ricordato che se innumerevoli erano i pericoli terrestri per il viator, anche il pellegrinaggio via mare comportava non pochi pericoli legati alla navigazione. È da credere che Contardo puntasse verso Genova, dato il suo arrivo a Broni, e che Broni lo attraesse poteva originare dal fatto che l’antenato Alberto Azzo II (996 ca. - 1097), capostipite degli Estensi, conte della Lunigiana e di Milano e signore di Este (dove fissò la sua dimora dal 1073) e Rovigo, possedette vari castelli proprio nell’Oltrepò, nelle vicinanze di Broni. È documentato infatti che già nel 1029 certo Gerardo Diacono vendette “Castella e Terra” ad Ugo Marchese (d’Este), figlio del marchese Oberto II, conte di Luni, attivo nella prima metà del secolo XI. Si tratta di Montù de Gabbi (dal 1886 denominato Canneto Pavese), di Rocca di Oramala, del Castello di Montalino, di Vicoalone (ora Vigalone) e di altre località. In definitiva si parla di possesso di tutta la Valle Versa da parte di “un ramo della famiglia Estense”, essendo il marchese Ugo fratello di Alberto Azzo I d’Este (conte di Luni, Tortona, Genova e Milano), padre di Alberto Azzo II 11.
Anche Pontremoli, nella Lunigiana, (importante posizione di transito sulla strada della Cisa, porta dell’Appennino nelle lotte connesse al dominio del valico) fu concessa dall’imperatore Enrico IV a Ugo e Folco d’Este, figli di Alberto Azzo II e Gersenda del Maine. E il dominio feudale estense in quella località cessò solo quando Pontremoli si organizzò in libero Comune, nel momento in cui il Vescovo aveva assunto poteri sempre più forti e contemporaneamente avanzava il processo fisiologico di frantumazione del potere feudale minore per la moltiplicazione dei suoi membri: uomini rissosi, violenti e prevaricatori che si comportavano spesso come briganti. Sono quelli gli anni in cui gli Estensi si ritirano dalla Lunigiana e dall’Oltrepò per Este prima e per puntare poi al possesso di Ferrara, ambita città sul fiume Po.
Che gli Estensi nel XI secolo possedessero “castella e terre” nell’Oltrepò è confermato dal Campi 12, dal Boselli 13, dal Muratori 14 che, inoltre, in Antichità Estensi dove parla della presenza in Broni del marchese Alberto Azzo II nel 1047 in occasione di un Giudizio per una controversia tra i Vescovi di Piacenza e Bobbio, così si esprime: “Per maggiormente confermare l’insigne privilegio conceduto nel 1077 da Arrigo IV ad Ugo e Folco figlioli del famoso nostro Marchese Alberto Azzo II (d’Este) e insieme la divisione enunziata nella pace Lunense ho riserbato l’addurre qui altre prove del dominio anticamente goduto verso Piacenza e nella Lunigiana anche dalla linea de’ Marchesi d’Este. E primieramente noi troviamo in Bronna, ossia in Broni, terra situata tra Pavia e Piacenza, il nostro Marchese Azzo II, il quale interviene unitamente con Anselmo Marchese ed altri ad un solenne giudizio tenuto nell’anno 1047 da Rinaldo Messo, o vogliam dire Legato dell’Imperadore, per una lite vertente fra il Vescovo di Piacenza e quello di Bobbio… Ne esiste (dello strumento) l’originale nell’Archivio della Cattedral di Piacenza” 15.
Il giovane Contardo voleva recarsi in Galizia per devozione verso Dio e verso il santo Apostolo Giacomo, che una secolare tradizione cultuale venerava nella nativa Ferrara. Più tardi nel tempo, sarà probabilmente la stessa venerazione per l’Apostolo Giacomo a spingere a Compostela altri illustri personaggi di casa d’Este o a onorare l’Apostolo in altro modo.
Il 4 aprile 1386 Nicolò II d’Este fondò in duomo la cappella di San Giacomo di Galizia; nell’agosto del 1389 il referendario di Alberto d’Este, Francesco de Taiapetris riedificava e faceva dipingere la cappella di San Giacomo nella basilica di San Francesco; il 13 marzo 1393 sarà lo stesso marchese Alberto d’Este a far erigere in San Francesco, su disegno di Bartolino da Novara, una cappella dedicata alla Vergine gloriosa e a San Giacomo di Galizia, per la quale otterrà grandi indulgenze da papa Bonifacio IX.
Il vero sepolcro di S. Giacomo Maggiore, apostolo martire, fu scoperto pare solo nel secolo XI e da allora ebbe inizio quel pellegrinaggio verso Compostela che, insieme a Roma, alla Terra Santa, a Monte Sant’Angelo nel Gargano, a San Michele di Susa, a Mont Saint Michel in Francia, a Canterbury in Inghilterra, a Loreto, rappresentò una delle mete più frequentate dai pellegrini medievali. Fu soltanto dopo la scoperta del sepolcro di S. Giacomo che il Santo Apostolo, dapprima raffigurato anziano e con barba fluente, venne iconograficamente rappresentato in vesti di pellegrino con bisaccia, bordone, rocchetto, cappello ornato da conchiglie.
Veniamo ora al forte culto di San Giacomo nel ferrarese e in casa d’Este che può spiegare la scelta di Contardo per Compostela. Già molto prima dell’età di Contardo, nella trama urbanistica medievale di Ferrara, esisteva e tuttora esiste la chiesa di “S. Giacomo di città” presente fin dal X secolo (ora in via Carbone), dove la tradizione vuole si svolgesse la cerimonia di aggregazione all’Ordine Equestre di S. Giacomo di Compostela ed i nobili, che stavano per riceverne le insegne ed essere armati cavalieri, vi trascorrevano la notte precedente la vestizione, compiendo la “Veglia d’Armi”. Si dà il caso che la chiesa di “S. Giacomo di città” sorgesse vicinissima alla chiesa di S. Clemente, nell’area in cui vivevano i Gontardi, famiglia materna del Santo.
Secolare era la devozione a S. Giacomo o Jacopo nella città di Ferrara. Nell’ambito dell’antichissima chiesa di S. Paolo, che fu parrocchia della famiglia d’Este, al Santo di Compostela era dedicato un oratorio già nel 1317, che poi diverrà il Capitolo conventuale. Più tardi anche il famoso carmelitano Gian Maria Verrati (1490-1563) - grande teologo, filosofo ed eloquente oratore - fece erigere nel suo convento ferrarese di S. Paolo una cappella in onore di S. Giacomo.
Circa il culto di S. Giacomo a Ferrara, mi piace ricordare anche che da sempre uno dei borghi cittadini è dedicato a S. Giacomo, a memoria della chiesa di “S. Giacomo oltre Po o del borgo”, che venne demolita per far posto alla Fortezza pontificia nel periodo della dominazione dei Cardinali Legati; mi piace pure ricordare che una moderna chiesa di S. Giacomo è stata costruita nel secondo dopoguerra nello stesso borgo della precedente alla destra del Po di Volano, in via Arginone. Inoltre non meno viva fu ed è la devozione al santo Apostolo nel forese: c’è un paese nella provincia di Ferrara che si chiama Masi S. Giacomo, e ci sono località in cui il Santo è patrono o compatrono (Argenta, Marrara, Porotto, Vaccolino, Casaglia, Ostellato, Ravalle, Fossadalbero, ecc.), dove le Sagre patronali ne rinnovano il culto popolare plurisecolare. Dalle visite episcopali quattrocentesche del Beato Giovanni Tavelli da Tossignano apprendiamo dell’esistenza del culto di S. Giacomo in chiese dell’antica diocesi, non più esistenti, a Rotadola e Longula, nonché dell’ospedale di S. Giacomo in Villa Rotundulo.
Tornando al marchese Nicolò III, per parlare dei suoi pellegrinaggi, veniamo a sapere dal Muratori che egli si recò a Compostela nel 1414: “Nel medesimo anno 1414 non so se per voto già fatto, o pure per ispontanea divozione, il Marchese Nicolò intraprese addì 19 Giugno il viaggio a S. Jacopo di Galizia” 16.
Quel pellegrinaggio è citato pur con svarioni storici che confuteremo anche in un manoscritto anonimo del XVII secolo dove si parla della partenza del Marchese per S. Antonio di Vienna (nel Delfinato) e per S. Giacomo di Galizia, e si dice che nel ritorno, a Mont-Saint-Michel, altra tappa sacrale del percorso -, Nicolò d’Este fu fatto prigioniero dal castellano che voleva taglieggiarlo e fu liberato dal “Re Santo”, che fece poi spianare il castello e tagliare la testa al castellano. Fu sempre in occasione di quel viaggio continua in errore il cronista Anonimo che, all’andata, il Marchese d’Este visitò il Re di Francia da cui ricevette “tre gigli d’oro”, che egli aggiunse alla sua Arma 17.
In verità durante il pellegrinaggio del 1414 il Marchese d’Este incontrò Carlo VI (1380-1422) ma fu poi il suo successore, il figlio Carlo VII (1422-61) colui che nel 1431 concesse a Nicolò III il privilegio di aggiungere al proprio stemma i tre fiordalisi, in campo azzurro, appartenenti alla corona francese. Si sa inoltre che nell’anno precedente, il 6 aprile 1413, Nicolò III si era recato a Gerusalemme in pellegrinaggio 18. Imbarcatosi a Francolino con una cinquantina di illustri personaggi, il Marchese giunse a Venezia il giorno dopo. Ripartito su una galea il 15 aprile, navigò lungo il litorale dalmata fino a Pola, dove fu accolto dal governatore Grimani e da grandi festeggiamenti.
Si sa pure che nel 1434 questo singolare personaggio, feroce e pio ad un tempo, si recò per la seconda volta a S. Antonio di Vienna e a S. Giacomo in Galizia 19. E quelli di Nicolò III sono solo i primi di una serie di pellegrinaggi estensi: Meliaduce, figlio di Nicolò, nel 1441 si recò a Gerusalemme via mare - si imbarcò a Ficarolo per Venezia; Ercole I si portò a Loreto, a S. Nicola di Bari e a Santa Maria delle Tremiti; Ercole II si recò a Roma mentre l’ultimo duca di Ferrara, Alfonso II, peregrinò a Loreto ed Assisi. Al di là della devozione più o meno profonda dei singoli, negli Estensi, attraverso i pellegrinaggi, c’era anche una evidente ricerca di immagine. Tuttavia gli Estensi posero sempre molto impegno a proteggere i pellegrini che transitavano nelle terre di loro giurisdizione.
Circa il culto di S. Giacomo non va dimenticato che esso era diffusissimo ovunque sulle vie dei pellegrini; così era anche nel territorio ferrarese quando Ferrara era attraversata dal Po e gli “hospitalia” erano disposti lungo i percorsi del fiume e dei suoi defluenti, perché destinati per lo più all’assistenza dei poveri viandanti e pellegrini, in un’area in cui il traffico avveniva quasi del tutto per via fluviale. Utile sull’argomento sarebbe approfondire il valore che alla parola “povero” veniva dato nel Medioevo, nonché approfondire la realtà del “pellegrino medievale” non sempre povero per condizione sociale ed economica 20.
È doveroso richiamare l’Abbazia di Mont Saint Michel per una curiosità legata all’immagine della “conchiglia” che è sempre presente nell’iconografia di S. Contardo, che trae spunto dal bulino secentesco del pittore piacentino Giorgio Giorgi (1626-27). Nel 1469 Luigi XI, riconoscente della soggezione alla corona francese del prestigioso monastero, meta di continui pellegrinaggi, fonda con un editto reale l’Ordine Cavalleresco Militare di San Michele, evento questo che si legherà ad alcuni personaggi di casa d’Este, e nel simbolo distintivo del collare, si lega alla conchiglia dei pellegrini diretti a Compostela.
Il collare dell’Ordine, formato da conchiglie d’oro, porta l’effigie dell’Arcangelo San Michele ed il motto “immensi tremor oceani”. È interessante ricordare che di quell’Ordine fu insignito il duca Alfonso I d’Este nel 1502, come si vede nel noto ritratto conservato nella Galleria Estense di Modena: fu Luigi XII che con tale onorificenza gratificò Alfonso I per la collaborazione alle campagne d’Italia. Il collare dell’Ordine di San Michele appare anche sulla lastra tombale di Ercole II nel coro de...

Table of contents

  1. Copertina
  2. SAN CONTARDO D’ESTE
  3. Indice
  4. Intro
  5. NOTA INTRODUTTIVA
  6. CONTARDO D’ESTE, SANTO PELLEGRINO, PATRONO DI BRONI
  7. Note
  8. CULTO SECOLARE DI SAN CONTARDO
  9. Note
  10. 1904: ANNO SPECIALE NELLA STORIA CULTUALE DI S. CONTARDO D’ESTE
  11. Note
  12. PRIMA DEL 1598 GLI ESTENSI DI FERRARA SCORDARONO L’ANTENATO CONTARDO?
  13. Note
  14. QUALI LE CAUSE DEL SILENZIO SU CONTARDO D’ESTE NELLE CRONACHE CONTEMPORANEE E NEI DOCUMENTI FERRARESI?
  15. Note
  16. ICONOGRAFIA DI SAN CONTARDO: UNA CHIESA “ESTENSE” A FIRENZE
  17. Note
  18. TRILOGIA ESTENSE IN UN QUADRO CONSERVATO A FINALE EMILIA
  19. TRILOGIA ESTENSE NELL’ALTARE MAGGIORE DELLA CHIESA DI SAN VINCENZO DI MODENA
  20. Note
  21. DUE LAPIDI INNEGGIANTI A S. CONTARDO AD ALTOÈ DI PODENZANO
  22. Note
  23. UN “PELLEGRINO IGNOTO” IN UNA TELA DEL DUOMO DI FERRARA
  24. Note
  25. LA CHIESA FERRARESE E SAN CONTARDO D’ESTE
  26. Note
  27. BIBLIOGRAFIA
  28. Ringraziamenti