Il ritratto di Dorian Gray
eBook - ePub

Il ritratto di Dorian Gray

  1. English
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Il ritratto di Dorian Gray

About this book

Il romanzo è ambientato nella Londra vittoriana del XIX secolo e narra di un giovane di bell'aspetto, Dorian Gray. Un pittore amico suo gli regala un ritratto - da lui stesso dipinto - che lo riproduce nel pieno della gioventù. Dorian stipula allora una sorta di "patto col diavolo", grazie al quale lui rimarrà eternamente giovane e bello, mentre il quadro mostrerà i segni della sua decadenza fisica e corruzione morale. E così sarà per anni. Alla fine Dorian, in preda ai rimorsi, sale in soffitta e lacera il quadro con un coltello. Ma quando i servi vanno a cercarlo si trovano davanti a una inverosimile scena… In questa edizione il testo è stato prudentemente revisionato e lievemente attualizzato nella forma di alcuni termini.

Frequently asked questions

Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
  • Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
  • Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
Both plans are available with monthly, semester, or annual billing cycles.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access Il ritratto di Dorian Gray by Oscar Wilde in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Medien & darstellende Kunst & Storytelling. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

CAPITOLO XI.

Per anni interi Dorian Gray non poté liberarsi dell’influsso di quel libro. O forse sarebbe più preciso dire che non cercò mai di liberarsene. Se ne fece venire da Parigi niente meno che nove copie della prima edizione e le aveva fatte rilegare in colori diversi, che si adattassero ai vari aspetti e alle mutevoli fantasie d’una natura, di cui egli parve, a volte, aver perduto quasi totalmente il dominio.
L’eroe, il meraviglioso giovane parigino, nel quale le facoltà romantiche si erano così stranamente fuse, divenne per lui come un tipo che lo prefigurasse. E infatti il libro intero gli pareva non contenesse altro che la storia della sua vita, scritta prima che egli l’avesse vissuta.
Ma in una cosa egli era più fortunato dell’eroe fantastico di quel romanzo. Egli non aveva mai conosciuta né mai l’avrebbe conosciuta quella quasi grottesca paura degli specchi, e dei lisci metalli forbiti, e della pura acqua, che s’impadronì così presto del giovane parigino, che era causata dal repentino cadere di quella bellezza che era stata, apparentemente, così notevole.
Ed era con gioia crudele – e forse in quasi ogni gioia, come certo in ogni piacere è della crudeltà – che egli soleva leggere l’ultima parte del libro: il veramente tragico racconto, se pur carico d’enfasi, del rimpianto e della disperazione di un uomo che aveva perduto egli stesso quello che negli altri e nel mondo intero aveva più che altra cosa apprezzato.
E infatti la meravigliosa bellezza che aveva affascinato tanto Basilio Hallward, e molti altri dopo di lui, sembrava non dover mai abbandonare Dorian Gray.
Anche coloro che avevano udito sul suo conto le più malvage storie, e infatti talora strane dicerie del suo modo di vivere s’insinuavano nei Clubs di Londra e ne divenivano l’oggetto della conversazione, non potevano credere al suo disonore, appena lo guardavano in viso.
Egli aveva sempre l’aspetto di chi si è tenuto lontano dalle sozzure del mondo. Perfino gli uomini che parlavano di cose volgari, tacevano all’apparire di Dorian Gray nella stanza. Vi era un rimprovero per essi nella purità della sua faccia. E la sua presenza pareva richiamare alla loro memoria quell’innocenza che essi avevano macchiata ed essi si meravigliavano che un uomo così affascinante e aggraziato avesse potuto sfuggire alla corruzione di una età ad un tempo così sordida e così sensuale.
Spesso, ritornando a casa da una di quelle misteriose e prolungate assenze che facevano sorgere tante strane congetture nella mente dei suoi amici o di coloro che si credevano tali, egli strisciando furtivamente saliva fino alla camera eternamente chiusa, ne apriva la porta con quella chiave che non lo lasciava mai, e là dentro, con uno specchio in mano, se ne stava in faccia al ritratto che gli aveva dipinto Basilio Hallward, ora guardando il volto perfido e invecchiato della tela, ed ora il bel viso giovanile che gli rimandava il suo riso dal lucido specchio.
La grande crudezza del contrasto affinava il suo senso di piacere. Egli si innamorava sempre più della sua bellezza e si interessava sempre più alla corruzione della sua anima: esaminava con minuziosa cura, spesso con una mostruosa e terribile gioia, le sozze linee che marchiavano la rugosa fronte, o strisciavano intorno alla pesante bocca sensuale, fantasticando qualche volta se fossero più orribili le impronte del peccato o i segni dell’età.
Poi poneva le bianche mani presso le mani ruvide e gonfie del ritratto e sorrideva, beffandosi del corpo malfatto e delle membra afflosciate.
Tuttavia, di notte, quando egli se ne giaceva insonne nella sua camera delicatamente profumata, o in una sordida stanza della piccola taverna di cattiva fama, ch’era presso i docks, ove travestito e con un falso nome, egli aveva l’abitudine di recarsi, vi erano dei momenti in cui il pensiero della rovina entro la quale egli aveva tratto come in un precipizio l’anima sua, gli dava una desolazione che, per esser puramente egoistica, non poteva esser più profonda; ma simili istanti erano rari.
Quella curiosità di vivere che Lord Enrico aveva destato in lui per primo, quando si erano seduti insieme nel giardino dell’amico, sembrava crescesse con l’appagamento: più egli conosceva, più voleva conoscere. Le sue fauci appena soddisfatte, rinascevano maggiormente voraci.
Eppure egli non si svelava, tale, almeno nelle sue relazioni con l’aristocrazia. Una o due volte al mese durante l’inverno ed ogni venerdì sera, alla fine della stagione, egli apriva al mondo la sua bella casa e invitava i più celebri musicisti del giorno ad affascinare i suoi ospiti con le meraviglie dell’arte loro.
I suoi pranzetti, preparati sempre con l’aiuto di Lord Enrico, erano famosi per l’accurata scelta e per l’alta condizione degli invitati, come per lo squisito gusto della decorazione della tavola, con la sottilmente armoniosa disposizione di fiori esotici e di lini ricamati, e antichi piatti d’oro e d’argento.
E vi erano molti, giovanotti specialmente, che vedevano o immaginavano di vedere in Dorian Gray la perfetta realizzazione del tipo che avevano sognato ai tempi di Oxford ed Eton; un tipo che riuniva la vera cultura dello studente e tutta la distinta grazia e le maniere compite di un gentiluomo di mondo. Egli pareva uno della brigata di coloro di cui Dante parla, che avevano cercato di «rendersi perfetti con l’adorazione della Bellezza»; come Gautier egli era uno «per cui il mondo visibile esiste».
E certo per lui la vita era la prima e la più grande delle arti e tutte le altre non erano che una preparazione ad essa. La moda, per mezzo della quale tutto ciò che è veramente fantastico diviene per un momento universale, e il Dandismo, che, nella sua maniera, è uno sforzo per proclamare l’assoluta modernità della bellezza, agivano su di lui con tutto il loro fascino.
Il suo modo di abbigliarsi, e lo stile speciale del portamento che di tanto in tanto egli mutava, avevano una profonda influenza sui giovani elegantoni dei balli di Mayfair o delle finestre dei Clubs di Pall Mall, che copiavano tutto ciò ch’egli facesse e cercavano di riprodurre il fascino accidentale delle sue graziose frivolezze, sebbene egli le facesse più per ridere che seriamente.
Infatti, mentre aveva subito accolto la posizione offertagli quasi subito all’inizio della sua vita mondana, e provava un vero e sottile piacere al pensiero che egli sarebbe divenuto per la Londra dei suoi tempi, ciò che alla Roma neroniana era stato un tempo l’autore del Satyricon, pure in fondo al cuor suo egli desiderava di esser qualcosa di più che un semplice arbiter elegantiarum, da consultarsi sul modo di portare un gioiello, o di fare il nodo di una cravatta, oppure di portare la mazza: cercava di elaborare un nuovo schema di vita con la sua ragionata filosofia e i suoi ordinati principî e che avrebbe trovato nella spiritualizzazione dei sensi il suo più alto raggiungimento.
L’adorazione dei sensi è stata spesso e con gran giustizia condannata, perché gli uomini hanno sempre provato un naturale istinto di terrore contro le passioni e le sensazioni che appaiono loro più forti di sé stessi e che essi sono consci di affrontare con le più volgari forme di vita; ma Dorian Gray pensava che non era stata mai compresa la vera natura dei sensi e che questi erano rimasti selvaggi e animali soltanto perché il mondo aveva cercato di soffocarli con il dolore, invece di mirare a farne elementi di una spiritualità nuova, della quale avrebbe dovuto essere caratteristica precipua uno squisito istinto della bellezza.
Appena egli si volgeva a considerare il dibattersi dell’Uomo attraverso la storia, si sentiva preso da un senso di sconfitta. Quante disfatte! E per che miseri scopi!
Vi erano stati rifiuti pazzi e selvaggi, mostruose forme di auto-tortura e di rinunce di sé stessi, cui sola ragione fu la paura: e ne risultò una degradazione infinitamente più terribile che quella temuta nella immaginazione degli uomini; alla quale, nella loro ignoranza, essi avevano cercato di sfuggire.
La natura, con la sua meravigliosa ironia, non senza significato aveva tratto l’anacoreta a cibarsi insieme con le fiere del deserto, e l’eremita alla compagnia delle bestie del piano.
Sì, avrebbe dovuto nascere, come Lord Enrico aveva profetizzato, un nuovo Edonismo a ricreare la vita e a salvarla dal rozzo e sgraziato Puritanesimo che oggi ha una curiosa reviviscenza: esso certo si sarebbe servito dell’intelletto; ma non avrebbe mai accettato una qualsiasi teoria o sistema che comprendesse il sacrificio della benché minima forma di esperienza passionale.
Esso stesso non era in sé che pura esperienza e non i frutti di essa, fossero pur dolci o amari; e nulla doveva conoscere dell’ascetismo che annienta i sensi; né del volgare libertinaggio che li appesantisce; doveva solo insegnare all’uomo il modo di concentrare tutto sé stesso nei singoli istanti della sua vita, che non è essa stessa che un istante.
Pochi di noi non si sono destati qualche volta prima dell’alba, o dopo una di quelle notti senza sogni che ci fanno quasi innamorare della morte, o una di quelle notti di orrore e di deforme gioia, quando nelle cellule del cervello nostro si insinuano fantasmi più terribili della stessa realtà, animati da quella vivida vita che si nasconde in ogni grottesco, e che trova in sé la prima sorgente di quella eterna vitalità ch’ha l’Arte Gotica, la quale potrebbe definirsi più specialmente l’arte di coloro ch’ebbero la mente turbata dalla malattia di sognare.
A poco a poco bianche dita si insinuano fra le cortine, che paiono tremare; in fosche forme fantastiche, le mute ombre strisciano ad accovacciarsi fin negli angoli della stanza.
Fuori, ecco l’agitarsi degli uccelli tra le foglie, i passi, le voci degli uomini che vanno al lavoro, il sospiro e il singhiozzo del vento che vien dai colli, ed erra intorno alla silente casa, come se temesse di svegliarvi i dormienti, finché i bisogni della vita quotidiana non richiamano il sonno fino alla sua caverna di porpora.
A velo a velo, la fine garza oscura cade, e man mano ritornano alle cose le forme e i colori; infine davanti agli occhi nostri l’alba rifà l’antico aspetto del mondo.
Gli scialbi specchi riottengono la mimica vita; i candelabri senza fiamma sono lì dove li abbiamo lasciati e presso ecco il libro mezzo intonso come lo deponemmo terminando di studiare; o il fiore legato a un gambo di fil di ferro, che portammo al ballo sul nostro occhiello; o la lettera che temevamo di leggere o che abbiamo riletto già troppe volte. Nulla ci sembra mutato, tutta la vita reale che abbiamo conosciuto ritorna a noi fuori delle irreali ombre notturne; dobbiamo cercare di riprenderla dove la lasciammo e un terribile sentimento ci invade della necessità che la nostra energia continui ad esser costretta nello stesso tedioso cerchio di abitudini stereotipate, o forse anche un desiderio selvaggio che le nostre pupille si aprano un mattino sopra un mondo interamente rinnovellato durante le tenebre, per la nostra gioia; un mondo in cui le cose si rivestano di nuove forme e colori, oppur siano mutate almeno nel loro segreto; un mondo in cui il passato non sopravviva più quasi, o almeno senza nessuna forma consapevole di obbligo e di rimorso, perché anche il ricordo della gioia ha la sua amarezza, e le memorie del piacere la loro angoscia.
La creazione di simili mondi: ecco l’unico o meglio uno dei veri scopi della vita, per Dorian Gray; e nella sua ricerca di sensazioni che sarebbe stata e nuova e deliziosa ad un tempo e avrebbe posseduto quella punta di stranezza che è tanta parte del romanzo, egli avrebbe adottato spesso alcuni atteggiamenti di pensiero che egli sapesse realmente alieni alla sua natura; si sarebbe abbandonato al loro sottile influsso e, carpitone finalmente il colore, soddisfatta la sua curiosità intellettuale, li avrebbe lasciati con quella curiosa indifferenza che non per nulla è incompatibile con un vero ardore di temperamento, e che, secondo alcuni psicologi moderni, ne è anzi spesso una condizione essenziale.
Si mormorò un giorno che egli stesse per prender la comunione nella Religione Cattolica; e infatti il rituale della Chiesa Romana aveva gran fascino su di lui.
Il sacrificio quotidiano, più terribile nella realtà che tutti i sacrifici del mondo antico, lo commoveva profondamente per il suo superbo disprezzo della evidenza dei sensi e per la semplicità primitiva dei suoi elementi, oltre all’eterno pathos della tragedia umana che esso voleva simboleggiare. Egli amava inginocchiarsi sul freddo pavimento di marmo e mirare il prete che in rigida veste a fiorami, scostava lentamente, con bianche mani, il velo del tabernacolo, o innalzava l’ingioiellato ostensorio simile ad una lampada, con quella pallida ostia che a volte si sarebbe felici di credere che sia davvero il «panis cœlestis», il pane degli angeli; oppure, rivestito degli attributi della Passione di Cristo, spezzare l’ostia nel calice, e battersi il petto per i suoi peccati. Gli incensieri fumanti, che i fanciulli, in veste scarlatta e merletti, dondolavano con aria grave nell’aria come gran fiori dorati, avevano anch’essi per Dorian il loro fascino sottile. E, uscendo, egli soleva guardare con meraviglia gli oscuri confessionali, e s’indugiava seduto nella più fonda ombra d’uno di essi, ad ascoltare uomini e donne che sussurravano attraverso la grata consunta la vera storia della loro vita.
Ma egli non cadde mai nell’errore di arrestare il suo sviluppo intellettuale, con l’accettare formalmente una fede o un sistema, né in quello di prendere per una casa in cui passare la vita, un albergo ove si può dormire una notte, o poche ore di una notte senza stelle e con la luna nuova. Il misticismo col suo potere meraviglioso di rendere strane le cose comuni e il sottile antinomismo, che, pare, sempre lo accompagna, lo commosse per una stagione; e per tutta un’altra egli fu attratto dalle teorie materialistiche del movimento del Darwinismo in Germania, trovando un curioso piacere nel rintracciare pensieri e passioni dell’uomo in qualche perlacea cellula del cervello, o in qualche bianco nervo del corpo, deliziandosi di una concezione di assoluta dipendenza dello spirito da certe condizioni fisiche, morboso o sano, irregolare o normale.
Tuttavia, come si è detto prima, nessuna teoria sulla vita gli parve di tale importanza da esser paragonata alla vita stessa. Egli si sentiva acutamente conscio di come sterile sia ogni speculazione intellettuale quando sia separata dall’esperimento e dall’azione.
Egli sapeva che i sensi, non meno dell’anima, hanno i loro spirituali misteri da rivelarci.
E così egli volle tentare anche lo studio dei profumi: il segreto delle loro composizioni, distillando olii dal greve profumo e bruciando odorose gomme d’Oriente.
Vide che non vi era atteggiamento di intelletto che non trovasse corrispondenza nella vita dei sensi e si dette a scoprirne le profonde relazioni, cercando cosa vi sia nell’incenso per renderci mistici; nell’ambra grigia, per eccitare la nostra passione; nella violetta, sì da destare la memoria dei morti amori; nel muschio, sì, che turbi il cervello; e nel champak, che perverta l’immaginazione.
Cercò anche spesso di elaborare una vera psicologia dei profumi e di valutare i diversi influssi delle radici dal soave odore e dei fiori profumati carichi di polline, o dei balsami aromatici, e dei legni oscuri e fragranti; dello spiganardo che fa ammalare, della honenia che rende pazzi, e dell’aloe che dicono abbia la virtù di fugare dall’anima la melanconia.
Un’altra volta si dedicò tutto alla musica e in una camera a lunghi riquadri, dal soffitto rosso ed oro e dalle pareti di lacca verde oliva, dette curiosi concerti, in cui folli zingare traevano selvagge musiche da piccole cetre, o gravi tunisini dai mantelli gialli strappavano note dalle tese corde di mostruosi liuti, mentre sogghignanti negri battevano monotoni colpi su timpani di rame, e, accovacciati su stuoie scarlatte, svelti indiani dal gran turbante soffiavano in lunghi pifferi di canna o d’ottone, incantando o fingendo d’incantare grandi colubri dal cappuccio e orribili bisce cornute.
Le aspre pause e le acute dissonanze della musica barbara riuscivano a commuoverlo a volte, quando la grazia di Schubert, le belle angosce di Chopin, e le potenti armonie dello stesso Beethoven, cadevano trascurate nel suo orecchio. Egli collezionò da ogni parte del mondo i più strani strumenti che potesse trovare, sia nelle tombe dei popoli estinti, sia fra le poche tribù selvagge che han sopravvissuto al contatto con la civiltà dell’Occidente, e amava tentarli e trarne suono.
Possedeva il misterioso Juruparis degli indiani del Rio Negro, che le donne non possono guardare e neppure i giovani finché non han sofferto il digiuno e la flagellazione; possedeva le giare di creta dei peruviani che mandano le acute grida degli uccelli, e i flauti di ossa umane che Alfonso de Ovalle udì nel Cile e i sonori diaspri verdi trovati presso Cuzco e che danno una nota di singolare dolcezza.
Aveva zucche dipinte piene di ciottoli, che, scosse, tintinnavano; il lungo clarino dei messicani, nel quale il suonatore non soffia, ma aspira l’aria, il roco ture delle tribù delle Amazzoni, suonato dalle sentinelle che stanno tutto il giorno in alto sugli alberi e che dicono si oda a distanza di tre leghe; il teponaztli che ha due linguette vibratili di legno e che si batte con mazze ricoperte di gomma elastica ricavata dal latteo succo di piante; le campane yote degli aztechi, che si appendono a gruppi come grappoli; e un grande tamburo cilindrico, coperto di pelli di enormi serpenti, come quello che Bernal Diaz vide quando andò con Cortes nel tempio messicano e del suono del quale, doloroso, ci ha lasciato una descrizione così viva.
Il carattere fantastico di questi strumenti lo affascinava e gli faceva provare un curioso diletto al pensiero che l’Arte come la Natura ha i suoi mostri, cose di forma bestiale e di orribile voce. Ma, dopo qualche tempo se ne stancava e riprendeva il suo posto nel palco dell’Opera, solo o con Lord Enrico, ascoltando con rapimento il Tannhäuser e vedendo nel preludio di questa grande opera d’arte rappresentata la tragedia della sua anima.
Un’altra volta lo prese la passione dei gioielli e apparve ad un ballo in costume di Anna de Joyeuse, Ammiraglio di Francia, in un abito coperto di cinquecentosessanta perle. Questa passione lo tenne per anni e si può dire anzi che non lo abbandonasse mai più.
Egli passava spesso una giornata intera a disporre e ritogliere dalle loro cassette le varie pietre che aveva raccolto, come il crisoberillo verde oliva che diventa rosso alla luce d’una lampada, il cimofane dalla striscia d’argento come fil di metallo, il peridoto color pistacchio, i topazi rosa corallo e giallo vino, il carbonchio di splendente scarlatto con le sue stelle a quattro raggi, le pietre del cinnamomo d’un rosso fiammeggiante, gli spinelli arancioni e violetti e le ametiste alternatamente incastonate con rubini e zaffiri. Amava il riflesso della pietra solare, e la bianchezza perlacea della pietra chiaro di luna, e il rotto arcobaleno della lattea opale. Fece venire fin da Amsterdam tre smeraldi di straordinaria grandezza e ricchezza di colore e possedeva una turchese della vieille roche, che gli era invidiata da tutti i conoscitori.
E scoprì anche meravigliose storie di gioielli. Nella «Clericalis Disciplina» di Alphonso era ricordato un serpente con occhi di veri giacinti, e nella romantica Storia di Alessandro, il Conquistatore di Emathia, era scritto che si erano trovati dei serpenti a sonagli nella valle del Giordano, «con collari di veri smeraldi naturalmente cresciuti sul dorso». Vi era una gemma nel cervello d’un dragone – ci dice Filostrato – e questo mostro si poteva addormentare per ucciderlo, soltanto mostrandogli un panno rosso con delle lettere d’oro. Secondo Pietro Bonifazio, il grande alchimista, il diamante rende invisibile l’uomo e l’agata d’India lo fa eloquente. La cornalina seda l’ira e il giacinto induce al sonno; l’ametista dissipa i fumi del vino; il granato fuga i demoni, l’hydropicus priva la luna del suo splendore; la selenite aumenta e scema di colore secondo la luna e il meloceus, che scopre i ladri, può essere intaccato solo dal sangue di capretto. Leonardus Camillus aveva veduto una pietra bianca, tolta al cervello di un rospo appena ucciso, che era un sicuro antidoto contro i veleni. Il bezoar, che si trova nel cuore del daino d’Arabia, ha la virtù di curare le piaghe; nei nidi di alcuni uccelli arabi si trovano le aspilates che, secondo Democrito, difendono chi le porta da ogni pericolo del fuoco.
Il re di Ceilan cavalcava per la sua città con un gran rubino in mano, il giorno dell’incoronazione. Le porte del palagio di Prete Janni erano «fatte di sardoniche con incastonato nel mezzo il corno di un colubro cornuto, sì che nessun uomo potesse oltrepassarle recando un veleno» e sul tetto vi erano «due pomi di oro, con due carbonchi nel mezzo» perché l’oro lucesse di giorno e i carbonchi di notte. Nello strano romanzo di Lodge Una perla di America si narra che in una camera della regina si poteva vedere «tutte le caste donne del mondo, rivestite d’argento, guardando attraverso stupendi specchi di crisolito, di carbonchio, di zaffiro e di smeraldo verde».
Marco Polo ha veduto gli abitanti di Zipangu deporre perle color di rosa nella bocca dei morti. Un mostro marino si era innamorato di una perla che il pescatore aveva portato a Re Perozes; aveva ucciso il ladro e aveva pianto sette lune per la sua perdita. Quando gli Huns attrassero il re nella gran fossa, questi disparve – ce lo racconta Procopius – né fu mai più trovato, benché l’Imperatore Anastasius avesse...

Table of contents

  1. Copertina
  2. IL RITRATTO DI DORIAN GRAY
  3. Indice
  4. Intro
  5. PREFAZIONE
  6. CAPITOLO I.
  7. CAPITOLO II.
  8. CAPITOLO III.
  9. CAPITOLO IV.
  10. CAPITOLO V.
  11. CAPITOLO VI.
  12. CAPITOLO VII.
  13. CAPITOLO VIII.
  14. CAPITOLO IX.
  15. CAPITOLO X.
  16. CAPITOLO XI.
  17. CAPITOLO XII.
  18. CAPITOLO XIII.
  19. CAPITOLO XIV.
  20. CAPITOLO XV.
  21. CAPITOLO XVI.
  22. CAPITOLO XVII.
  23. CAPITOLO XVIII.
  24. CAPITOLO XIX.
  25. CAPITOLO XX.
  26. Ringraziamenti