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About this book
Dopo il lungo e stravagante racconto L'assassino, si trova in questo libro - nella successiva breve prosa Nostre Signore del dolore - la descrizione delle tre terrificanti "sorelle" della sofferenza: Mater Lacrymarum, Mater Suspiriorum e Mater Tenebrarum. I testi sono stati controllati e revisionati.
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Information
Subtopic
StorytellingL’ASSASSINO
Se è impossibile propiziarsi la simpatia di lettori tanto tetri e lunatici da non sapere accostarsi a qualunque argomento giocoso, tanto meno poi se questa giocondità evade un po’ i confini della stravaganza. In tal caso non simpatizzare è come non comprendere, e la giocosità che non è compresa e gustata diventa cosa insipida o al tutto priva di senso.
E ancorché molte di tali persone si siano allontanate con gran sdegno dalla mia conferenza, fortunatamente altre ne restano, una larga maggioranza, che proclamano alto il piacere che hanno ricevuto da queste mie povere carte, confermando con le loro lievi critiche la schiettezza della loro lode. Costoro m’hanno più volte osservato che in quella mia trattazione la stravaganza, quantunque intenzionale ed elemento della gaiezza generale del soggetto, passava ogni limite. Io non sono di questa opinione, e prego questi miei benevoli censori di ricordare che uno degli scopi immediati cui tende questa mia chiacchierata è appunto di riuscire a rasentare i confini del terrore o di tutti quei sentimenti che nella realtà della vita appaiono troppo repulsivi. Di fatto un grande eccesso di stravaganza mantenendo vivo nel lettore e continuatamente quel senso di pura aeralità che investiva l’intera trattazione, è nello stesso tempo il mezzo più sicuro per liberarlo da quella sensazione d’orrore nella quale i suoi spiriti giacevano come immersi e trasognati. E mi lascino ricordare questi miei critici la proposta che fece un tempo il Decano Swift per trar qualche vantaggio dai bambini nati nel regno d’Inghilterra che, in quei giorni, erano stati ricoverati negli orfanotrofi di Dublino e di Londra: che, cioè, fossero cotti e mangiati. Ecco una stravaganza bell’e buona, e più ardita, più grossa, più materiale della mia, la quale non ebbe certo a provocare biasimo veruno nemmeno da un dignitario della suprema Chiesa Irlandese, poiché la sua mostruosità medesima le serviva di scusa e di difesa. Se adunque v’è qualche lettore il quale reputi degno di prendere troppo sul serio alcune leggere spume di fantasia, come questo mio saggio su l’estetica del delitto, chiederò protezione per il momento al telamonio scudo del Decano.
In realtà il mio scritterello può allegare anche una scusa tutta sua propria per giustificare tale stravaganza. Oggidì non v’è persona al mondo la quale possa in qualche modo asserire, foss’anche per amor del Decano, che vi sia nello spirito umano una comune e naturale propensione a farci considerare i bambini come materia gastronomica; nella migliore delle ipotesi la proposta di Swift potrebbe esser considerata come una forma più acuta di cannibalismo applicato alla parte più indifesa della specie umana. Per altro verso, però, è innegabile esservi nell’uomo una tendenza a valutare criticamente o esteticamente la bellezza d’un delitto o d’un incendio. Se vi accade di ripensare allo spettacolo di qualche fuoco grandioso cui abbiate assistito, rammenterete che il primo impulso della vostra natura era quello di aiutare a spegnerlo. Senonché la possibilità di far questo è in voi assai limitata, oltreché alla bisogna prontamente provvedono alcune persone espressamente designate a tale ufficio, allenate e munite degli ordigni occorrenti. Nel caso poi che il fuoco si fosse appiccato a una proprietà privata il naturale sentimento di pietà per la sventura che ha colpito il vostro prossimo vi toglie la capacità di poter ammirare quel fuoco come fosse uno spettacolo teatrale. Ma può accadere che l’incendio abbia invaso un edificio pubblico. In ogni caso, dopo che noi abbiamo dato il tributo del nostro dolore a questa calamità , irresistibilmente, senza riserva, noi continueremo ad ammirare il nostro incendio come un bello spettacolo scenico.
Quando, nella prima decade di questo secolo, il teatro Drury Lane venne distrutto da un incendio, la caduta del suo tetto fu annunziata dal mimico suicidio di un Apollo protettore che torreggiava sulla sua parte più dominante. Il Dio stava lassù, immobile, con la cetra fra le braccia e pareva guatasse dentro l’incandescente voragine che da ogni parte lo veniva assalendo rapidamente. D’improvviso la trave che lo reggeva s’infranse, un’impetuosa eruzione di fiamme che in quel punto si sollevò come un’ondata parve per un istante tener sollevata in l’aria la statua della divinità ; la quale, subito dopo, come in preda a disperazione, fu vista, non cadere, ma gettarsi essa medesima capofitto per entro il fiammeggiante baratro, come se compisse un atto volontario. Che avvenne allora? Da ogni ponte del fiume, da ogni piazza da cui era possibile scorgere l’incendio, sorse un grand’ululo d’ammirazione e di spavento.
Pochi anni prima che avvenisse questo fatto, a Liverpool scoppiò un vasto incendio: il Goree, grande adunazione di magazzini addossati a uno dei docks della città , venne interamente distrutto dal fuoco. L’immenso edificio di otto o nove piani, gremito di merci assai infiammabili – molte migliaia di balle di cotone, frumento e orzo a migliaia di sacchi, catrame, trementina, rum, polvere da sparo etc. – seguitò ad ardere per parecchie ore della notte, fornendo alimento a quel fuoco tremendo. Come per aggravare il disastro soffiavano anche furiose burrasche di vento, quantunque, per buona sorte dei bastimenti, soffiassero da mare a terra; per modo che lungo la strada verso Warrington, per diciotto miglia ad oriente, tutta quanta l’aria era illuminata da falde di cotone acceso, spesso imbevuto di rum, sì che pareva là tutto uno sconfinato mondo di risplendenti faville rischiarare le superiori camere dell’atmosfera. Tutti gli armenti che riposavano nei campi lungo per tutto quello spazio, furono percossi dallo sgomento e dalla confusione; e gli uomini argomentarono dal gran fiammeggiamento dell’aria la gigantesca calamità che incombeva su Liverpool; le strade erano tutte un lamento. Ma quest’espressione di pubblico cordoglio non impedì tuttavia, che da quella folla s’innalzasse un urlo di frenetico entusiasmo allorquando furono vedute queste folate di luce passando su l’ali dell’uragano volare ora attraverso spazi di sereno ora in mezzo alle dense nubi di fumo che sovrastavano a tutto il paese.
La stessa considerazione può farsi dell’assassinio. Dopo che abbiamo pagato il nostro tributo di rimpianto alle vittime del misfatto, anzi, in ogni caso, dopo che ogni interesse personale suscitato dalla disgrazia è obliato col tempo, ecco che si ricordano altri delitti avvenuti prima, ecco che si confrontano tra loro i vari assassinamenti, che si lodano i loro particolari più belli, come certi effetti di terrore, di mistero, di sorpresa etc... Perciò io, per mia propria stravaganza, dichiaro di aver gran fede nella forza dello spirito umano quand’è spontaneamente abbandonato a sé medesimo.
Altro intento del mio Poscritto è di far conoscere al lettore i particolari di tre memorabili delitti compiuti molti anni or sono, e a cui gli amatori del genere credettero conferire la corona di lauro: ma in special modo le fasi dei due primi di essi, cioè quelli compiuti nel 1812 dall’immortale Williams. Tanto i reati che l’autore sono sommamente interessanti; e poiché sono trascorsi quarantadue anni d’allora, immagino che essi non siano noti, in tutti i loro particolari, agli uomini della generazione presente.
Mai gli annali della Cristianità ebbero a registrare un atto individuale che suscitasse sì straordinaria commozione negli uomini come la strage in cui, nell’inverno del 1812, John Williams, nello spazio d’un’ora, vuotò due case, massacrando quasi tutti i loro membri e affermando così la sua supremazia sui figli di Caino.
Sarebbe impossibile descrivere l’agitazione frenetica che per quindici giorni, dopo avvenuto il delitto, padroneggiò il cuore del popolo, estremo delirio d’orrore e sdegno in alcuni, delirio di terrore panico in altri. Per dodici giorni, poiché si era diffusa la notizia infondata che l’assassino aveva lasciato Londra, il terrore che aveva invaso la metropoli si venne comunicando a tutta quanta l’isola. Io mi trovavo allora, a trecento miglia da Londra, ma pure là , come dappertutto, il panico era indescrivibile. Una signora di mia conoscenza, essendosi ridotta a vivere, nell’assenza del marito, con pochi servi in una casa assai solitaria, mi raccontava, e della sua asserzione mi diede prove palesi, che ella non si coricava mai prima di aver poste fra la sua camera da letto e l’eventuale invasore almeno diciotto porte munita ciascuna di poderosi chiavistelli, sbarre e catene. Per arrivare a lei era come entrare con bandiera di pace in una città assediata; ad...
Table of contents
- Copertina
- L’ASSASSINO
- Indice
- Intro
- L’ASSASSINO
- NOSTRE SIGNORE DEL DOLORE
- Ringraziamenti