Due Racconti
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Il Sire della porta di MalĂŠtroit. Un tetto per la notte

Robert Louis Stevenson

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Il Sire della porta di MalĂŠtroit. Un tetto per la notte

Robert Louis Stevenson

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Questo libro riunisce due tra i piÚ misteriosi racconti di Robert Louis Stevenson: Il Sire della porta di MalÊtroit e Un tetto per la notte. Il primo, ambientato nel 1429, narra di un cavaliere che, entrato in un palazzo, vi rimane imprigionato; nel secondo, ambientato nel 1877, il protagonista segue il "poeta maledetto" francese François Villon in una Parigi invernale, tra gozzoviglie e omicidi, alla ricerca di un alloggio.

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IL SIRE DELLA PORTA DI MALÉTROIT

Denis de Beaulieu non aveva ancora ventidue anni, ma già si stimava uomo maturo e, per di più, compito cavaliere. I giovani, in quei rozzi tempi di guerre, si formavano presto: e quando uno aveva preso parte a una battaglia campale o a una dozzina di scorrerie, o aveva accoppato un uomo onorabilmente e sapeva qualcosuccia di strategia e darsi una cert’aria spaccona, era certo d’essere assolto.
Quella sera, governato con le dovute cure il suo cavallo e cenato di buon appetito, uscì, in ottima disposizione di spirito, per recarsi a far visita ad un amico. Non era quella una risoluzione troppo prudente per un giovane. Avrebbe fatto meglio restarsene bravamente accanto al fuoco o andarsene a letto: ché la città era piena di truppe borgognone ed inglesi sotto misto comando, e, quantunque Denis possedesse un salvacondotto, era assai probabile che questo gli giovasse assai poco a trarsi d’impaccio, sventura volesse fosse stato aggredito.
Era il settembre 1429. Il tempo s’era messo al brutto. Un vento leggero e fuggevole, con rovesci di pioggia, scorrazzava sibilando lungo tutto il territorio della città, e le foglie secche menavano riotta su per le strade. Qua e là qualche finestra s’illuminava, e il frastuono degli uomini armati, che dentro le case facevano chiasso sulle lor cene, usciva, a folate, subito inghiottito dal vento. Poi la notte calò rapida. Il vessillo inglese che sventolava dalla cima del pinnacolo divenne sempre più scuro su quello scenario di fuggenti nuvoli, una macchia nerigna, come di rondine sperduta là nel tumultuoso plumbeo caos del cielo. Caduta la notte, il vento raddoppiò di furore e cominciò ad ululare sotto l’arcate e a muggire fra gli alberi della vallata che si stendeva sotto la città.
Denis de Beaulieu camminò svelto, e fu presto a picchiare alla porta dell’amico; ma quantunque si fosse proposto di restarvi assai poco per far presto ritorno alla sua taverna, l’accoglienza che gli si fece in quella casa fu così cordiale ed egli vi trovò tante occasioni per indugiarvisi, che mezzanotte era già sonata da un pezzo avanti che i due amici si salutassero dalla soglia dell’uscio. Nel frattempo il vento era caduto di nuovo, e la notte era divenuta nera come un sepolcro. Non una stella, non un barlume di luna trapelavano giù dal fitto padiglione delle nubi.
Denis era poco pratico di tutto quel dedalo di vicoli di Château-Landon. Già altre volte, di pieno giorno, aveva stentato a rintracciarvi la strada: ora, poi, con quel buio pesto, era interamente disorientato. D’una cosa sola era certo: che per ritornare a casa doveva risalire la collina, poiché la dimora dell’amico si trovava nell’estremità più bassa, nella coda, diremo, di Château-Landon, mentre la taverna dov’era alloggiato, era dalla parte opposta, sotto la guglia della cattedrale. Con questo unico punto di riferimento Denis andava innanzi, ciampiconi, brancolando nel buio, traendo larghi respiri quando arrivava su qualche spiazzato dove poteva scorgere una buona fetta di cielo sopra il suo capo, procedendo a tastoni rasente il muro quando si trovava a passare attraverso recinti chiusi ed affogati.
C’è un senso di sgomento misterioso a ritrovarsi così ravvolti nella tetra opacità d’una notte come quella, in una città quasi sconosciuta. Il silenzio intorno ci atterrisce per tutte le possibilità che vi fantastichiamo: il contatto con la sbarra gelata d’una finestra ci fa trasalire come il contatto d’un rospo: gli avvallamenti e i rialzi del terreno su cui camminiamo ci fan balzare ogni tratto il cuore alla gola, nelle zone dove la oscurità è più fitta pare ci stiano ad attendere imboscate o fenditure: e anche là dove l’aria è più chiara, le case creano di strane e ingannevoli apparenze come volessero deviarci e spingerci lungi dal nostro cammino. Quanto a Denis che doveva raggiungere la taverna senza un indizio qualsiasi che gli mostrasse la via da tenere, i pericoli cui andava incontro erano gravi quanto lo sconforto che gli recava quel camminare balordo: e procedeva così, cauto, quantunque con coraggio, e, a ogni svolta, si fermava per guardarsi attorno.
Fino a quel momento il vicolo pel quale s’era messo era così angusto che egli poteva toccarne i muri laterali con ambedue le mani, ma, d’un tratto, questo si fece più largo e divenne ripido e scosceso. Era evidente che quella non era la direzione della taverna, ma la speranza di qualche più di luce lo consigliò a continuare per quella strada, onde riconoscere i luoghi. Presto il vicolo sboccò su di una terrazza la quale terminava in una costruzione murale fatta a mo’ di bertesca, donde, come da una feritoia, si poteva dominare, frammezzo ad alti caseggiati, la vallata che, oscura ed informe, si stendeva parecchie centinaia di piedi sotto di essa. Denis s’accostò a quella torre e guardò giù, e poté discernere cime d’alberi agitate dal vento e una piccola macchia scintillante nel punto dove la corrente del fiume si riversava giù da una chiusa. Il tempo s’era un po’ rimesso, e il cielo rischiarato per modo che si potevano scorgere i profili dei nuvoloni più spessi e il lineamento delle colline. A quell’incerto barlume Denis poté anche osservare che il caseggiato che sorgeva alla sua sinistra era un’abitazione di qualche pretesa. Era sormontato da molti pinnacoli e torricelle, e la tonda struttura d’un’abside circondata attorno come da una frangia di degradanti colonnette sporgeva all’infuori, con una certa baldanza, dal viluppo degli edifici principali. Là era pure un uscio dentro un portale tutto scolpito a figure e dominato da due lunghe garguglie. Attraverso fitte reti di fil di ferro che le rivestivano si vedevano le finestre della cappella illuminate di dentro dalla luce di molte candele, la quale faceva spiccare più cupo sul cielo il disegno del loggiato e del tetto cuspidato. Era quella certamente la dimora di qualche nobile famiglia della città, e poiché con le sue forme richiamava alla mente di Denis una casa cittadina di sua proprietà a Bourges, ei stette là, per qualche tratto, a contemplare la costruzione, paragonando fra loro, mentalmente, la perizia dei due architetti e la nobiltà delle due famiglie.
Pareva non ci fossero altre vie per arrivare alla terrazza oltre a quel vicolo che ve l’aveva condotto. Denis pensò, quindi, di ritornare sui suoi passi, e, avendo ormai acquistata qualche cognizione dei luoghi, riuscire così su qualche strada frequentata e di là lestamente raggiungere la taverna. Ma faceva il conto senza quella fila d’incidenti che gli stavano per capitare e che avrebbero reso quella notte la più memorabile di tutta la sua vita. Non aveva, infatti, dato un cento passi che vide una luce che s’avvicinava a lui e, nello stesso tempo, udì un frastuono di voci come di gente che ciarlasse insieme confusamente su nella risonante strettura del vicolo. Era un drappello d’armigeri che andava attorno con fiaccole per la ronda notturna. Denis s’accorse subito che quegli uomini erano stati in confidenza coi boccali e che, ad ogni modo, non dovevano essere d’umore tale da star troppo a largheggiarla sul suo salvacondotto o simili delicatezze ancor in uso durante la guerra cavalleresca. Anzi era assai probabile che, se lo avessero trovato lì, l’avrebbero accoppato come un gatto, e piantatolo dove si trovava. La situazione era abbastanza interessante, quantunque gli andasse suscitando una certa nervosa trepidazione. Allora, riflettendo che il chiarore stesso delle torce avrebbe potuto confondere la vista della sua persona e il chiasso delle voci il suono dei suoi passi, stimò che, per poco fosse stato svelto e circospetto nel fuggire, avrebbe potuto sottrarsi interamente alla vista della ronda.
Ma sfortuna volle che, mentre si volgeva per spiccare la corsa, un piede gli smucciò su di un ghiaiottolo, ed egli stramazzò al suolo mandando un grido, mentre la spada battendo sulle pietre dava un suono cupo. S’udirono due o tre voci gittare il chi va là, in francese, in inglese... Denis stette quatto, poi, rimessosi in piedi, riprese svelto a fuggire giù pel vicolo. Giunto sulla terrazza si voltò per vedere. Gli uomini di ronda continuavano a vociargli dietro, e, proprio in quel momento, allungavano il passo per raggiungerlo, e si udiva il gran baccano dell’armature scosse, e si vedevano balenamenti di fiaccole qua e là fra le strette muraglie del sottopassaggio.
Denis girò lo sguardo intorno, e, senz’altro, si risolse d’avventarsi dentro la strombatura della porta. Là acquattato, pensava di poter sfuggire alla loro vista o, quanto meno, trovarsi in una posizione eccellente sia per parlamentare sia per difendersi. E, snudata la spada, si pose con la schiena a ridosso del battente della porta.
Ma ecco che, con sua meraviglia, la porta cedeva sotto al suo peso! Si volse di colpo, ma quella, come girando su perni oliati e silenziosi, continuò a indietreggiare, finché rimase là spalancata sopra al buio d’una stanza.
Quando nella vita ci accade qualche buona ventura, non è il caso di star a sottilizzare sul perché e sul come ci sia capitata, poiché l’utile immediato che ne ricaviamo sembra sufficiente motivo per farci accettare per buoni anche i più stravaganti rivolgimenti e le più matte incongruenze di queste nostre sublunari faccende. Per il che, senza esitare un istante, Denis si cacciò là dentro, poi riaccostò dietro di sé la porta per celare ai sopraggiungenti la vista del suo rifugio. Certo, egli non aveva intenzione di chiuderla interamente, quella porta, ma, per qualche motivo inesplicabile, forse a cagione d’un ordigno nascosto o del peso stesso del battente abbandonato a sé medesimo, fatto è che la poderosa massa di quercia gli sfuggì di fuor dalle dita e si venne richiudendo da sé con uno strepito fragoroso, come il cadere automatico d’una lastra di ferro.
Proprio in quell’istante la ronda irrompeva sulla terrazza e si dava a chiamarlo con alte grida e bestemmie. Li udiva sferracchiare per gli angoli bui, e ci fu pure un momento che il calcio d’una alabarda venne a grattare sulla superficie esterna della porta dietro la quale egli stava. Ma quei bravi uomini erano certamente troppo sovreccitati per dilungarsi nella faccenda, sì che, di lì a poco, egli li udì che si precipitavano giù per un passaggio fatto a chiocciola che era sfuggito prima alla sua vista, e di là s’allontanavano via lungo il muro merlato del castel...

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Stevenson, Robert Louis. (2020) 2020. Due Racconti. [Edition unavailable]. Tiemme Edizioni Digitali. https://www.perlego.com/book/2092486/due-racconti-il-sire-della-porta-di-maltroit-un-tetto-per-la-notte-pdf.

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Stevenson, R. L. (2020) Due Racconti. [edition unavailable]. Tiemme Edizioni Digitali. Available at: https://www.perlego.com/book/2092486/due-racconti-il-sire-della-porta-di-maltroit-un-tetto-per-la-notte-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Stevenson, Robert Louis. Due Racconti. [edition unavailable]. Tiemme Edizioni Digitali, 2020. Web. 15 Oct. 2022.