Ugo Foscolo
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Ugo (Niccolò) Foscolo (1778-1827), è stato uno dei principali letterati del neoclassicismo e del preromanticismo. Fu uno dei più notevoli esponenti letterari italiani del periodo fra Settecento e Ottocento, in cui apparvero in Italia le correnti neoclassiche e romantiche. Nel catalogo di Tiemme Edizioni Digitali sono disponibili tutti i Sonetti e la prima edizione dei Sepolcri. Questo libro riporta una conferenza (1896) di Giuseppe Chiarini.

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Information

UGO FOSCOLO

Ugo Foscolo canta nel Carme alle Grazie:

Sacra città è Zacinto. Eran suoi templi,
Era ne’ colli suoi l’ombra de’ boschi
Sacri al tripudio di Diana e al coro;
Né ancor Nettuno al reo Laomedonte
Muniva Ilio di torri inclite in guerra.
Bella è Zacinto! A lei versan tesori
L’angliche navi, a lei dall’alto manda
I più vitali rai l’eterno sole;
Limpide nubi a lei Giove concede,
E selve ampie d’ulivi, e liberali
I colli di Lieo. Rosea salute
Spirano l’aure, dal felice arancio
Tutte odorate, e dai fiorenti cedri.

Chi scrisse questi versi era nato poeta, aveva nelle vene il sangue della greca poesia. L’isola natale che così sonante gli rifioriva nel verso gli si era trasmutata dal vero in questa splendida visione, per la lettura degli antichi poeti. Il paganesimo, che nella maggior parte degli scrittori contemporanei d’Ugo si componeva di reminiscenze di scuola e di precetti accademici, era in lui un sentimento così vivo e profondo, che egli allorché, parlando dei suoi colli materni, diceva: «Ivi fanciullo - La Deità di Venere adorai», diceva una cosa essenzialmente vera; tanto vera, che gli effetti di quella soverchia adorazione lo tormentarono per tutta la vita.
L’isola di Zante, dove egli non vedeva che riso azzurro di cieli, selve d’ulivi e vigneti, dove non sentiva che profumo d’aranci e di cedri, e nei boschi il tumulto e lo strepito delle cacce di Diana, quell’isola di Zante era ai tempi suoi poco più che un nido di selvaggi e di briganti.
Ugo stesso quando, mortogli nel 1788 il padre, si condusse con la madre e il rimanente della famiglia a Venezia, era (e rimase sempre) un po’ selvaggio anche lui. Qualche anno innanzi, a Spalato, dove suo padre era stato ufficiale sanitario dal 1784 in poi, aveva fatto la scuola di Umanità. Dove e come proseguisse gli studi a Venezia, s’ignora; ma che quivi la giovinezza sua fosse tutta negli studi, lo mostrano i ricordi ch’egli stesso ne lasciò fra le sue carte, e i versi che compose fra i quattordici e i diciannove anni, dal 1792 al ’97.
Da quei ricordi e da quei versi balza fuori, piena di ardore, la figura del greco giovinetto, assetato di gloria, smanioso di farsi conoscere, di far parlare di sé. E Venezia era campo propizio a quelle giovanili ambizioni.
Quando egli arrivò là con la madre, la famiglia era così povera, che andò ad abitare in una delle contrade più sudicie della città, e non si cibava d’altro che di pane e riso.
«La casa, o per dir meglio catapecchia, scrive Mario Pieri, ove si allogò, era sì miserabile che nelle finestre non aveva vetri, ma bensì le impannate. Quel giovane per altro (è sempre il Pieri che parla) ben lontano dal lasciarsi avvilire a quella intollerabile povertà, scherzava, si potrebbe dire, con essa, e la sfidava, e quasi se ne compiaceva, superbo del proprio talento, e consolato dalla speranza di gloria che i suoi studi gli promettevano».
«Rossi capelli e ricciuti, ampia fronte, occhi piccoli e affossati ma scintillanti, brutte e irregolari fattezze, color pallido, fisionomia più di scimmia che d’uomo; curvo alquanto, come che bene aiutante della persona; andatura sollecita, parlare scilinguato ma pieno di fuoco; metteva meraviglia il vederlo aggirarsi per le vie e pei caffè, vestito di un logoro e rattoppato soprabito verde, ma pieno di ardire, vantando la sua povertà infino a chi non si curava di saperla, e pur festeggiato da donne segnalate per nobiltà ed avvenenza e dalle maschere più graziose e da tutta la gente».
Il Pieri scrive ciò riferendosi al 1797, nel quale anno conobbe appunto il Foscolo, ch’era già divenuto famoso, che aveva già composto l’ode Bonaparte liberatore, che aveva già dato al teatro la sua tragedia, Il Tieste, accolta da applausi incredibili e recitata ben dieci sere, affinché tutti i 150.000 abitanti della laguna potessero sentirla.
Com’è che il giovine greco aveva penato così poco a conquistarsi la fama?
Al gusto e al giudizio nostro tutto il fardello delle sue poesie giovanili, fino all’ ode e alla tragedia inclusive, pesa ben poco; dirò di più, in quei primi versi non c’è affatto la promessa del poeta che pochi anni dopo doveva scrivere alcuni sonetti e le due odi famose. Ma certo noi giudichiamo le poesie giovanili del Foscolo con criteri molto diversi da quelli dei suoi contemporanei, e non abbiamo sotto gli occhi il poeta giovinetto che con la sua singolarità e la sua stessa povertà attirava sopra di sé l’attenzione, destava l’interesse del pubblico.
Al ritratto di lui lasciatoci dal Pieri aggiungiamo qualche pennellata presa alla tavolozza di altri scrittori contemporanei. Odoardo Samueli, che aveva sentito il Foscolo recitare un canto di Dante, scrive di lui:

Quand’io ti vidi rabbuffati i crini
Con rauca voce e fiammeggianti sguardi
Canta...

Table of contents

  1. Copertina
  2. UGO FOSCOLO
  3. Indice
  4. Intro
  5. UGO FOSCOLO
  6. Ringraziamenti