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Politica, comunicazione e marketing

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Politica, comunicazione e marketing

About this book

La politica sta diventando sempre più comunicazione e marketing. Dagli Stati Uniti all'Italia si sta consolidando un nuovo modo di conquistare e gestire il consenso. E, dunque, di far politica. Nell'era del populismo (ma anche del post-populismo), nella stagione del primato dei dati e dei social network a contare sembra essere più la rappresentazione nella sfera pubblica mediata che la rappresentanza. Molte le cause e altrettante le conseguenze: ibridazione di format, mediatizzazione e personalizzazione, sondaggi, partecipazione attraverso dinamiche orizzontali e non più verticali, responsività rispetto alle decisioni assunte, ma anche alle intenzioni manifestate ripetutamente dagli attori del sistema politico non sempre con finalizzazioni in grado di risolvere i problemi del Paese. Sono tanti gli strumenti a disposizione di chi, detenendo il potere, ha come priorità del proprio agire comunicativo l'aumento del livello di engagement dei cittadini-elettori. La comunicazione politica si è trasformata da forma in sostanza. Francesco Giorgino propone un nuovo framework scientifico ed operazionale: il MICS, acronimo che segnala la forza dell'intreccio tra Marketing, Information, Communication, System. Il libro racconta tutti questi processi, assumendo come punto di partenza le vicende politiche italiane del biennio 2018-2019: l'exploit della Lega, il modello Cinque Stelle, la sinistra in cerca di identità, i due governi Conte, il fenomeno delle Sardine, il dibattito sull'Europa, l'immigrazione, il peso dell'economia e della finanza, il ruolo delle istituzioni in un contesto connotato dalla presenza di molte arene narrative.

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Capitolo quarto

L’Italia del (quasi) cambiamento
salvini e la coalizione di destra-centro
La vicenda politica e personale di Matteo Salvini merita di essere studiata a fondo. Non ci sono precedenti nella storia repubblicana del nostro Paese di leader politici passati in una manciata di anni da percentuali poco significative (sotto il 5% in occasione delle elezioni del 2013) a livelli di consenso talmente ampi (oltre il 34% in base ai sondaggi di inizio novembre 2019 effettuati dopo il trionfo in Umbria, nonostante nelle settimane successive la percentuale sia calata di circa quattro punti) da prefigurare la nascita di un vero e proprio modello di comunicazione e marketing politico. Modello incentrato sulla forza del leader, oltre che su quella del partito. La Democrazia cristiana, che rappresenta un precedente importante quanto a consensi ampi e diffusi, registrò nel periodo della ricostruzione postbellica un successo straordinario, ma ciò avvenne soprattutto per la sua natura di partito interclassista, per la capacità di comporre all’interno di un unico grande contenitore politico approcci diversificati (le correnti), per il sostegno del mondo cattolico, per la presenza di una classe dirigente estesa a livello nazionale e territoriale, per l’ampiezza della propria proposta programmatica, più che per il potere carismatico di un singolo esponente o per il suo modo di comunicare e di fare marketing politico.
Il caso di Salvini è emblematico di come sia cambiata e di come stia cambiando la politica. E non solo in Italia. Sono tante le sensazioni che si ricavano rivedendo, frame dopo frame, le immagini dei continui bagni di folla del leader della Lega in tutte le occasioni, quasi sempre elettorali, nelle quali egli ci mette la faccia con l’intento di intestarsi vittorie e determinare cambi radicali di scenari politici, come è accaduto in Umbria e come proverà a far accadere in Emilia Romagna e Toscana (quando il libro viene dato alle stampe, non si conoscono ancora i risultati di queste elezioni regionali). Uno dei casi di studio più interessanti da analizzare è quello della visita istituzionale a Viterbo il 3 settembre del 2018, in qualità di vice premier e ministro dell’Interno dell’allora governo diarchico Cinque Stelle-Lega, in concomitanza di uno straordinario evento di popolo come la festa di Santa Rosa. Attraversando una delle strade centrali della città laziale, Salvini è stato acclamato da una folla che non è esagerato definire in adorazione: applausi ininterrotti, strette di mano, selfie, autografi, sorrisi, gesti inequivocabili di empatia e apprezzamento.
Si può obiettare che in periodi di “politica pop” è facile che i leader di partito vengano applauditi in ragione della loro visibilità mediatica, secondo una dinamica molto simile a quella che vale per i personaggi più noti del cinema, della televisione e del calcio. Il politico, insomma, come celebrity. Si può obiettare che tutto questo è frutto della spettacolarizzazione della politica e della simbiosi tra quest’ultima e la cultura di massa (Mazzoleni, Sfardini, 2009), come dimostra la lunga stagione di Berlusconi e come provano le non poche esperienze statunitensi, anche prima della presidenza di Donald Trump. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla decisione, presa da Bill Clinton nelle battute finali della sua campagna elettorale, di suonare il sax in uno show televisivo di prima serata per enfatizzarne il proprio profilo popolare. Si può obiettare questo e altro ancora, ma resta l’unicità del modus operandi di Salvini, capace di trasformare la propria abilità comunicativa in un format politico e quest’ultimo in una risorsa civica che, in modo forse un po’ troppo frettoloso, è stata derubricata da taluni a paradigma di “cittadinanza sottile”. Dietro i selfie fatti in riva al mare (alcuni dei quali al di fuori di ogni aspettativa come quelli avvenuti nell’estate del 2019 al Papeete Beach di Milano Marittima con tanto di bicchiere di mojto in mano) nelle stazioni, negli aeroporti, nei bar, nelle pescherie, con bambini, con giovani e meno giovani, con donne e uomini, dietro i bagni di folla fatti in ogni angolo di Italia ci sono le tracce inequivocabili della necessità, tutta postmoderna, di accorciare le distanze tra istituzioni e società, tra politica ed elettori, di rompere la convenzione per affermare una nuova convinzione. Ma forse questa è una spiegazione insufficiente, poiché non va sottovalutato il valore aggiunto di un giovane con la politica nel sangue e con in tasca una dose incredibile di determinazione che qualcuno ha collocato nella categoria della spregiudicatezza. Una politica fatta tra la gente (Salvini, Pandini, Sala, 2016) fin da quando comincia la sua appassionata storia con la Lega, nella Milano degli anni Ottanta. Matteo Salvini che macina chilometri in bicicletta per attaccare i manifesti elettorali. Matteo Salvini che informa e intrattiene a Radio Padania. Matteo Salvini europarlamentare prima e segretario federale della Lega poi. Matteo Salvini protagonista indiscusso della politica nell’era del sovranismo e del populismo. Matteo Salvini, da ultimo, che prova a usare intonazioni più compatibili con il suo status di leader di una coalizione di destra-centro e che ha l’ambizione di governare l’Italia e di assumere la guida della stragrande maggioranza delle regioni italiane.
Volendo mettere in fila gli accadimenti che hanno consentito alla Lega un incremento così rapido e così consistente del consenso elettorale non si può non rintracciare nell’immigrazione e nella sicurezza alcuni degli elementi caratterizzanti il cambio di passo da parte degli elettori: a inizio 2018 l’omicidio di Pamela Mastropietro a Macerata da parte di uno spacciatore nigeriano, poi la vicenda della nave Aquarius dirottata in Spagna dopo un braccio di ferro con l’Europa, quindi la vicenda della nave Diciotti che comportò per Salvini l’iscrizione nel registro degli indagati per sequestro di persona aggravato. Come è noto, Salvini, stretto tra questa indagine e quella sfociata con il sequestro per la Lega di 49 milioni di euro, nel settembre del 2018 decise di mostrare durante una diretta Facebook dal Viminale la busta gialla inviatagli dalla procura di Palermo contenente l’avviso di garanzia. Un gesto forte, visto che l’allora vice premier nell’illustrazione della controversa vicenda contrappose al potere giudiziario quello della politica, a suo avviso unico potere a essere legittimato dal popolo e quindi ad essere sovraordinato rispetto a tutti gli altri. Sarà sempre su Facebook che Salvini il primo novembre 2018 darà la notizia della richiesta di archiviazione fatta dalla procura di Catania sulla base del presupposto che il ritardo nello sbarco degli immigrati dalla nave era giustificato dalla scelta politica di chiedere in sede europea una loro differente distribuzione. Scelta definita come non sindacabile da parte del giudice penale proprio in ossequio al principio della separazione dei poteri. Episodi non isolati che costituiscono una prova evidente della tendenza a far coincidere la neo politica leghista soprattutto con la iper-comunicazione. Il passaggio dal 17% di consensi ottenuti alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 (elezioni che hanno decretato il sorpasso netto della Lega su Forza Italia) al 34% delle elezioni europee con un incremento di quasi tre milioni e mezzo di voti e un ribaltamento netto dei rapporti di forza interni alla ex maggioranza gialloverde considerando il crollo dei Cinque Stelle al 17%, sono la conseguenza di uno scenario assai favorevole per Salvini leader, ma rappresentano anche la dimostrazione della capacità fuori dal comune del suo partito nel fare rebranding, facendo scomparire dal logo del proprio partito il riferimento alla “Padania”, dando un respiro nazionale e internazionale a un movimento inizialmente a forte vocazione territoriale, cambiando intonazione comunicativa a seconda dei contesti in cui il messaggio politico viene prodotto dopo essere stato elaborato con strategie mirate e mai lasciate al caso. Studiate a tavolino, ma al tempo stesso spontanee. Elemento quest’ultimo da non trascurare.
Quanto al superamento della vocazione territoriale della Lega, non è molto convincente l’opinione di quanti (Panebianco, ottobre 2018) evidenziano che per la prima volta nella storia repubblicana non c’è un federatore tra Nord e Sud, un partito cioè capace di tenere insieme Settentrione e Meridione, come in passato è avvenuto grazie alla Dc, a Forza Italia e al Pd, specie nella versione (rivelatasi poi fallimentare) di partito della nazione. Non è molto convincente questa opinione poiché è vero che il Movimento Cinque Stelle è stato almeno fino alle europee 2019 più forte al Sud e la Lega è ancora oggi più forte al Nord, area geografica di cui rappresenta nel contempo il ceto produttivo e il popolo, ma altrettanto lo è il fatto che il Carroccio sta diventando significativo punto di riferimento politico anche in quelle aree geografiche, specie meridionali, che hanno sempre individuato nel centrodestra l’opzione più conveniente, come dimostra anche il successo di Giorgia Meloni. Si diceva del rebranding. La nuova Lega rinuncia al simbolo di Alberto da Giussano, facendo entrare il sovranismo nel proprio Statuto. Il nuovo partito si chiama “Lega per Salvini premier” e prende il posto della Lega Nord per l’indipendenza della Padania fondata da Umberto Bossi, vecchia sigla quest’ultima che rimane formalmente in piedi (così come deciso dal congresso fondativo del nuovo soggetto politico nazionale, tenutosi a Milano il 21 dicembre del 2019) per consentire il pagamento dei 49 milioni di euro di debito allo Stato. L’articolo 1 dello Statuto fa riferimento esplicito all’esigenza che la nuova Lega rappresenti un “movimento politico confederale” che ha per finalità la trasformazione dello Stato italiano in un moderno Stato federale attraverso metodi democratici ed elettorali”. Sempre all’articolo 1 si fa esplicito riferimento al fatto che la Lega “promuove e sostiene la libertà e la sovranità dei popoli a livello europeo”. Parole che la dicono lunga sulla direttrice di marcia che Salvini, insieme ai soci fondatori del nuovo partito (Lorenzo Fontana, Giancarlo Giorgetti, Giulio Centemero e Roberto Calderoli) e agli altri esponenti del Carroccio intende intraprendere per intercettare le istanze di cambiamento della politica italiana e dare consistenza alle forme di partecipazione già espresse in termini di consenso elettorale. Rilevanti sono le ricadute anche dal punto di vista organizzativo di questa decisione. La struttura della nuova Lega prevede un partito holding al quale agganciare le associazioni territoriali a livello regionale, realtà di tipo partitico o movimenti politici rilevanti a livello territoriale. Tutti i militanti, inoltre, si iscriveranno al nuovo partito. Un modo per neutralizzare la logica della seniority, visto che sarà impossibile fare differenze tra iscritti da 25 anni e iscritti da 25 giorni. Unica distinzione è quella tra soci sostenitori e soci ordinari militanti con i primi chiamati a fare un periodo di prova prima di diventare militanti a tutti gli effetti con “diritto di intervento, di voto e di elettorato attivo e passivo” (Cremonesi, ottobre 2018). Tra gli osservatori c’è chi (D’Alimonte, novembre 2018) ha messo in evidenza che nella ricerca di un modello organizzativo idoneo a dar forma a questo consenso improvviso e clamoroso prende corpo la necessità di far convivere esperienze radicate a livello territoriali come le sezioni della “vecchia Lega” e strategie di comunicazione immaginate a vantaggio delle piattaforme social come avviene con la “nuova Lega”.
Quanto, invece, alla velocità nel cambio di intonazione comunicativa, occorre ricordare che più volte Salvini ci ha abituato a questo tipo di esito delle proprie strategie di politelling. Era accaduto sabato 8 settembre 2018 quando davanti alla platea di Cernobbio, formata da élite e non certo da popolo (platea che gli manifestò apprezzamento per quanto fatto fino a quel momento in tema di contrasto all’immigrazione clandestina) l’allora ministro dell’Interno ritornò sui suoi passi e ridimensionò le polemiche innescate in precedenza circa un possibile scontro istituzionale con la magistratura. Un cambio di passo simile a quello avvenuto qualche giorno prima, quando al Sole 24 Ore aveva rassicurato i mercati che la politica economica del primo esecutivo Conte, di cui egli è stato uno degli azionisti di maggioranza, avrebbe rispettato i vincoli europei, attuando gradualmente il contratto di governo (flat tax, reddito di cittadinanza, riforma della legge Fornero), senza forzature sul deficit e avendo ben chiaro il quadro complessivo di finanza pubblica tracciato dall’allora ministro dell’Economia Tria. Dunque, incendio e spegnimento. Incendio nel flusso di informazioni attraverso i canali di comunicazione interpersonale attivati con i propri elettori, sfruttando al massimo le potenzialità dei social network e i meccanismi della viralità on line, ma anche conoscendo la spendibilità di alcuni contenuti nei percorsi più ampi e più penetranti della comunicazione. Spegnimento a beneficio dei circuiti istituzionali, nel tentativo di mantenere in equilibrio la propria connotazione marcatamente politica ed identitaria con quella più istituzionale indispensabile per chi, come lui, porta avanti un progetto molto ambizioso. Una mossa a sorpresa quella fatta da Salvini il 14 dicembre del 2019 in occasione della manifestazione “No tax day” organizzata dalla Lega a Milano. Un appello a tutti i partiti perché ci si possa fermare a riflettere e decidere quali siano le cinque priorità programmatiche del nostro Paese su cui agire con urgenza: risparmio, infrastrutture, burocrazia, crescita, tutela della salute. La proposta, dal punto di vista metodologico, comportava l’istituzione di un tavolo per riscrivere le regole del gioco, a partire dalla legge elettorale. Non è un caso che la sortita del capo della Lega sia avvenuta alcuni giorni prima che la Corte Costituzionale si pronunciasse sul referendum pro-maggioritario voluto da Roberto Calderoli. Salvini ha puntato a diventare, proprio sulla legge elettorale, un interlocutore di quella parte del Pd che preferisce il maggioritario al proporzionale. E i Dem in quella circostanza, pur mostrando disponibilità al dialogo, ricordarono che Lega, Pd e Cinque Stelle erano sostanzialmente d’accordo sul sistema spagnolo con collegi piccoli ed uno sbarramento naturale. Come dire: se si vuol parlare di legge elettorale è da qui che si deve cominciare. La svolta moderata o responsabile del Carroccio, avvenuta a pochi giorni dalla chiusura di un anno che ha regalato a Salvini molti successi elettorali con qualche inversione di tendenza negli ultimi mesi del 2019, è stata ulteriormente evidenziata dalle parole dell’ex sottosegretario leghista alla Presidenza del Consiglio. Per Giancarlo Giorgetti (Mattioli, dicembre 2019) l’unica certezza del Conte Bis è lo stato d’incertezza e, quindi – questo il suo ragionamento – diventa necessario stabilire cosa sia davvero utile al Paese: impedire a Salvini di governare o risolvere i problemi più urgenti con una sorta di esecutivo d’emergenza nazionale guidato da una personalità istituzionale come per esempio Mario Draghi che Salvini, peraltro, non aveva escluso nemmeno come possibile Presidente della Repubblica?
In relazione all’uso dei social network, occorre anzitutto ricordare che poco dopo la lettura in diretta Facebook del contenuto della busta gialla inviatagli dalla procura di Palermo, il responsabile della comunicazione digital del leader del Carroccio, Luca Morisi aveva lanciato via Twitter l’hastag #complicediSalvini. Come già accaduto con #nessunotocchiSalvini, anche in questo secondo caso l’iniziativa ebbe una diffusione significativa. Si trattò di un’iniziativa portata avanti per tutta la notte successiva all’iscrizione di Salvini nel registro degli indagati, in modo che il trend sopravvivesse oltre la giornata grazie a retweet e commenti vari. Luca Alagna, esperto di digital marketing, molto critico nei confronti di Salvini, ha calcolato che in quella notte quasi 720 profili Twitter (200 dei quali provenienti dall’estero) diffusero circa 2000 contenuti, gran parte dei quali generati da account italiani o comunque scritti in italiano. Dunque, niente influenze o bot russi ma, stando a quanto sostiene Alagna a corredo di uno studio del “tweetstorm” sarebbero state ravvisate tracce di account americani attivati grazie ad un influencer. Stiamo parlando di uno dei componenti dello staff di Turning Point Usa, movimento di stampo ultraconservatore fondato da un columnist del sito Bretbart News diretto fino a gennaio del 2018 da Steve Bannon. Quest’ultimo, dopo una breve esperienza alla Casa Bianca con Trump, si è dedicato alla nascita di “The Movement”, il fronte di forze populiste e nazionaliste costituito in vista delle elezioni europee del 2019 (Corriere.it, Repubblica.it, 8 settembre 2018). Si tratta di quello stesso Bannon, avvistato più volte in Europa e in Italia negli ultimi tempi, che al regista americano Michael Moore, notoriamente molto critico nei confronti di Trump, aveva confidato quanto segue: “non capisco come voi liberal siate riusciti a farvi fregare la rivoluzione populista da noi conservatori”. Parole ancora più esplicite quelle usate da Bannon in concomitanza dell’uso di una metafora molto efficace: “voi perdete sempre perché fate le battaglie a cuscinate, mentre noi puntiamo alla ferita mortale alla testa” (Mastrolilli, settembre 2018).
La piazza digitale assolve alla funzione che un tempo è stata assolta dalle grandi adunate di popolo. Adunate in occasione delle quali i partiti (soprattutto quelli d’opposizione) si producevano in rivendicazioni programmatiche capaci di innescare reazioni di motivazione ed orgoglio identitario anche da parte della base. La messa in scena in diretta sui social con tanto di colpo di teatro (la lettera appesa da Salvini ai bordi di un quadro collocato alle proprie spalle) certifica la volontà di rendere il Palazzo trasparente, enfatizza il bisogno di normalità attraverso percorsi di riconoscibilità chiari e immediati. Non c’è mediazione linguistica in questa scelta. Non c’è filtro. Non c’è forma in quella che potremmo definire comunicazione familiare, intima e confidenziale, nella quale agli elettori ci si rivolge, all’epoca del precedente governo anche dalle stanze del Viminale, come se si stesse parlando ai propri congiunti ed amici nel chiuso delle mura domestiche. Una forma di comunicazione nella quale è facile scivolare scientemente nell’autorappresentazione da martire per generare però più simpatia e consenso. E quindi più forza elettorale e politica.
Un tempo, con un’espressione abusata, avremmo parlato di Salvini di “lotta e di governo”. Oggi possiamo dire Salvini “di felpa e di palazzo”, considerando la necessità di individuare la zona di intersezione tra il suo essere populista e contemporaneamente post-populista per rassicurare gli elettori conquistati e conquistare gli astensionisti o quelli che votano altri partiti. C’è chi ha definito la sua immagine iniziale “agit prop” più che “pop”, sottolineando il fatto che raramente egli è statico, che salta da un’immagine all’altra, che è impegnato in una sorta di moto perpetuo (Pardo, ottobre 2018). E c’è chi, in riferimento all’ipotesi del mix identitario, ha messo in evidenza la miscela esistente tra la connotazione anfibia e il pugno di ferro (Panarari, ottobre 2018) qui da intendersi come forza specifica e strategica, almeno considerando il breve e il medio termine.
Il “cambio di pelle” (Damilano, settembre 2018) dettato dalla capacità di modificare la propria intonazione in base alle caratteristiche dell’interlocutore, alla natura del pubblico target da raggiungere e all’esigenza di passare dai toni estremi dei social network a quelli più moderati dei salotti televisivi e delle sedi istituzionali, dall’intransigenza al dialogo, ma anche dal settentrionalismo al meridionalismo, non basta a fare la differenza. C’è di più: questo surplus è rintracciabile nell’abilità di presidiare tutti gli spazi della comunicazione, mimetizzandosi con rapidità e con efficacia nel contesto. Spazi che, essendo vari e vasti, necessitano di differenti accenti prosodici affinché la riconoscibilità dell’universo simbolico-culturale di riferimento non venga mai meno. Sarebbe un errore immaginare di considerare chi si pone sulla scia di questa impostazione, chi si produce in attività di followership solamente come l’artefice di un’azione compiuta per “paura e viltà”, più che per convinzione o per reale necessità di cambiamento. In ballo c’è, infatti, la possibilità di realizzare attraverso l’attuazione particolareggiata di questo disegno persino una nuova egemonia culturale (Panarari, ottobre 2018).
Nella semiotica del racconto quasi sempre l’eroe si appella agli aiutanti magici per sconfiggere l’antieroe e combattere il male. Nella narrativa leghista l’eroe è Salvini, l’aiutante magico è il popolo, l’antieroe è l’establishment (l’Unione europea, la magistratura e quanti frenano nel concreto le molte istanze sociali di cambiamento, l’affermazione del senso comune, la logica del problem solving), mentre il male da sconfiggere è la mancanza di sicurezza e la resistenza al nuovo per arrivare alla conquista dell’oggetto di valore che è rappresentato dal cambiamento. Uno schema semplice, pur nella sua enorme complessità. Semplice perché si fonda sulla capacità di interpretare e assecondare i sentimenti comuni ai più, le aspettative maggiormente diffuse tra la popolazione. Salvini ascolta i lamenti della g...

Table of contents

  1. Alto volume
  2. Indice
  3. Prefazione di Giovanni Orsina
  4. Introduzione
  5. Capitolo primo. La politica nell’era digitale
  6. Capitolo secondo. I nuovi modelli di comunicazione
  7. Capitolo terzo. Marketing e storytelling
  8. Capitolo quarto. L’Italia del (quasi) cambiamento
  9. Conclusioni
  10. Bibliografia ed Emerografia