Il commissario Richard. La famiglia Morel
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Per Andrea Camilleri, suo estimatore, Ezio D'Errico è un artista "dotato di una genialità rinascimentale". E certamente unico, più volte imitato, è il suo indimenticabile commissario Richard, che con De Vincenzi è tra i personaggi più originali della storia del giallo italiano (e anche dei "mitici" gialli Mondadori). Per Andrea Camilleri, suo estimatore, Ezio D'Errico è un artista "dotato di una genialità rinascimentale". E certamente unico, più volte imitato, è il suo indimenticabile commissario Richard, che con De Vincenzi è tra i personaggi più originali della storia del giallo italiano (e anche dei "mitici" gialli Mondadori). Disincantato, concreto, solo in apparenza distaccato, il "simenoniano" Richard indaga in una Parigi e in una provincia francese non di rado inospitali, popolate di figure ambigue e spiazzanti, spesso ai margini della società, individui rifiutati, disadattati, solitari. È ciò che accade anche ne La famiglia Morel. Una serie di brutali omicidi sconvolge Le Bourget, una cittadina alla periferia di Parigi. Qual è la vera identità del "vampiro", l'ombra assassina così chiamata dai giornali? Cosa si nasconde tra le mura impenetrabili di casa Morel, una famiglia che pare interessata solo al denaro? Cosa si cela dietro lo sguardo enigmatico e triste di Élisabeth Morel, forse l'unica depositaria della verità? Una delle indagini più avvincenti e originali del Commissario capo della Sûreté, che in un finale a sorpresa riuscirà a risolvere il caso. Con un'introduzione di Loris Rambelli.

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Information

Varcarono il Ponte Nuovo e s'impelagarono in una rete di vicoli dai quali sbucarono in rue de Rivoli, proprio all'angolo della Samaritaine.
Bighellonarono alquanto lungo i banchi dove i commessi del grande Emporio vendevano gli scampoli e gli oggetti di liquidazione, e il commissario Richard pareva di null'altro interessato se non delle trattative che si svolgevano fra le massaie e gli imbonitori a proposito della rotella automatica per bordare l'orlo della biancheria, o di uno schiacciapatate che si trasformava facilmente in spremifrutta con evidente vantaggio sia degli amatori del passato di legumi sia dei bevitori di aranciate.
Dette uno scapaccione a un monello che si ingegnava per togliere destramente una borsa di cuoio di sotto il braccio di una vecchia signora, poi continuò fino ai magazzini del Louvre.
Frotte di provinciali si estasiavano davanti alle immense vetrine dove c'era la sala da pranzo completa, con la famiglia modello seduta a una tavola modello e servita da una cameriera modello. Manichini sorridenti, posaterie scintillanti, vasi di ceramica pieni di fiori artificiali, felicità a buon mercato per tutti, e in più il palloncino al bimbo, il ventaglio pubblicitario alla madre, il rimborso di un mezzo biglietto ferroviario al padre... e in più ancora un bel sole primaverile, l'unica cosa genuina regalata alla folla da una primavera eccezionale, che compensava i parigini di tutte le piogge e le nebbie passate.
— E intanto quel povero Payotte s'è buscato l'influenza — disse a un certo punto Richard come a conclusione di un ragionamento interno e Mayer sorrise senza rispondere.
Giunti al Ministero della Marina piegarono verso place Vendóme, l'attraversarono costeggiando il Ritz e all'angolo di rue de la Paix il commissario s'imbucò in una piccola grill-room frequentata solitamente da americani.
Mayer ringraziò mentalmente l'ignoto santo che lo aveva protetto e siccome Richard aveva ordinato un cherry-brandy, per solidarietà ordinò la stessa cosa per quanto quel liquore non gli piacesse.
Alcuni giovanotti dalle spalle quadre erano appoggiati al banco dove il barman preparava i cocktail e le amiche di questi giovani americani dagli impermeabili candidi cinguettavano in un inglese di dubbia purezza, sgranocchiando le mandorle salate e le patate fritte piluccate sui piatti allineati davanti alla stufa di cristallo dove abbrustolivano le fette di pane integrale.
— Troppa roba, troppa roba... — borbottò il commissario dopo aver centellinato il suo liquore.
Mayer, credendo che questa esclamazione fosse diretta all'abbondanza di belle figliole che erano nel locale, stava per azzardare che a questo mondo la bellezza non è mai troppa, quando sentì Richard che continuava: — Pensionati che bevono il ginepro, allievi musicisti che fanno la corte alle zitelle, porte chiuse di giorno e aperte la notte... troppa roba...
L'ispettore, che era al corrente delle ultime vicende dell'inchiesta, volle essere ottimista.
— Più indizi ci sono, più probabilità ci sono...
— Di sbagliare — completò il commissario che evidentemente non era di buon umore, poi continuò: — Che bisogno aveva quell'imbecille di olandese di venirmi a raccontare che Élisabeth ha paura? Che bisogno ha l'orologiaio di ricevere i suoi ospiti dopo la mezzanotte quando nessuno gli vieta di venire a Parigi e dare appuntamento ai pullover di tutti i colori?
Così monologando guardava distrattamente il pubblico eteroclito che usciva ed entrava dalla grill-room e i suoi occhietti grifagni squadravano uomini e donne senza benevolenza.
Finalmente, schiacciato il mozzicone di sigaretta nel portacenere, disse: — Hanno tutti bisogno di parlare e nessuno ne ha il coraggio... anche il maestro di musica, anche Élisabeth... anche il Martinière...
Stette un poco silenzioso, poi mormorò a mo' di conclusione:
— In fondo mi fanno pietà.
Chiamò il cameriere, pagò le bibite, e alzandosi pesantemente dall'esile sedia in giunco e tubi cromati uscì sulla strada.
Il tramonto calava rapidissimo e dalla Senna veniva una brezza fresca ammonitrice che un raggio di sole non fa primavera, sopratutto quand'è tramontato.
Camminarono ancora a casaccio fino alla Madeleine, poi il commissario s'imbucò nella Metrò e dopo pochi minuti i due poliziotti furono di ritorno al Quai des Orfèvres.
L'uomo dalle mezze maniche di lustrino, che in assenza del commissario vegliava sulle sorti amministrative della seconda Brigata Mobile, accese la lampada «Ministero» sulla scrivania, e mostrò le ultime scartoffie della giornata che giacevano in tesa della firma del principale.
Segnalazioni, ricevute, circolari macchiate di viola dal ciclostyle, qualche telegramma...
Mentre il commissario firmava, l'uomo dalle mezze maniche disse con voce incolore: — Vi hanno cercato al telefono due volte.
— Chi?
— Un tizio che non ha voluto dire il suo nome e ha detto che ritelefonerà più tardi.
Richard si strinse nelle spalle.
Firmava svogliatamente, e mentre lo scrivano ondulava il tampone di carta asciugante, i suoi occhietti fissavano senza vederli gli aggeggi che erano sulla scrivania da tempo immemorabile. Un fermacarte di cristallo, un nettapenne regalo di Geneviève, una statuina in bronzo di Napoleone, di quelle che si comprano agli Invalidi a beneficio delle Associazioni Mutilati...
Quando il telefono trillò prese il ricevitore di malavoglia, ma subito il suo viso si schiarì contraendosi in una smorfia che Mayer seduto nell'ombra riconobbe subito per un segno di attenzione eccezionale.
— Pronto... sì... commissario Richard in persona... come? Volete parlarmi subito? Dove siete? Non volete venire qua? Paura? Perché?... Pronto!... Pronto!...
Il commissario era balzato in piedi in preda a in un'eccitazione violenta: — Pronto... rispondete... che cosa succede?
Mayer e l'impiegato guardavano stupefatti quell'omone di solito così calmo, che ora si passava il microono da un orecchio all'altro mentre la fronte gli si imperlava di sudore.
Lo videro posare con violenza il cornetto sulla staffa, poi rialzarlo, manovrare la leva del centralino e chiedere con voce soffocata: — Presto! Centralino telefonico... commissario Richard, urgente... identificate il numero telefonico col quale stavo parlando in questo momento... come? Non si può? Perché non si può? Adesso... sì... è stata interrotta la comunicazione... sono sicuro che il ricevitore non è stato riagganciato... voglio sapere subito il numero... attendo... telefonate comando seconda Brigata Mobile!
Posò il telefono, e sedette sulla poltrona asciugandosi il sudore, poi rivolto a Mayer che si era avvicinato, brontolò: — Mi telefonava il Martinière... poi qualcuno è entrato nella cabina e gli ha impedito di continuare... ho sentito persino la voce: «Basta... o sparo!»... ha detto proprio così: «Basta... o sparo!» Vai agli automezzi, fai tener pronta una macchina... bisogna arrivare al più presto sul posto dove hanno interrotto la telefonata...
E mentre Mayer scompariva come un razzo, il commissario riprendeva il microfono per sollecitare la centrale telefonica. Quando l'ispettore fece ritorno con l'annuncio che la macchina era pronta, vide che il principale con un gesto scoraggiato posava il microfono sulla staffa.
— Abbiamo imbroccato anche il cambiamento di turno delle signorine addette allo smistamento... non ne va bene una!
Poi, come prendendo una risoluzione improvvisa, esclamò: — La macchina è pronta? Andiamo a Le Bourget... dovessi stare in giro tutta la notte, giuro che ritroverò quel telefono!
Dopo poco una di quelle pesanti automobili che sono il retaggio di quasi tutte le Polizie europee, trasportava il commissario Richard verso Le Bourget.
Mayer, seduto vicino all'autista, badava a ripetere: — Attenzione alle svolte, siamo in una giornata che non ne va bene una! — Quella di adottar subito le frasi del principale, era per Mayer un'abitudine assolutamente involontaria.
Sull'Ourcq le chiatte ormeggiate facevano blocco con l'oscurità. Verso la vetreria si vedeva un bagliore rossastro, e i lumi di Bourget ammiccavano nel buio con quello scintillio particolare di quando soffia la tramontana.
Richard aveva fatto fermare l'automobile fuori del paese, e attraverso una rete di viottoli s'era diretto verso il canale.
Ritrovare la «Stella d'Argenteuil» ammesso che fosse ancora a Le Bourget, non era facile, dato che le imbarcazioni si rassomigliavano tutte, ma il commissario voleva evitare di dar l'allarme a quella piccola popolazione fluttuante di marinai d'acqua dolce, e perciò aguzzava gli occhi nel buio cercando di leggere i nomi sulle prue catramate.
Mayer lo seguiva, e per quanto più magro e più agile, ogni tanto inciampava nei cordami tesi e imprecava sottovoce.
Richard invece pareva dotato di un sesto senso come certi animali notturni, e la sagoma pesante del suo pastrano fluttuava silenziosamente fra l'intrico di cavi e i cumuli di botti e di damigiane impagliate, come un pallone che andasse ballonzolando raso terra. Finalmente anche la «Stella d'Argenteuil» fu ritrovata, anzi, prima ancora di leggerne il nome, il commissario aveva steso una mano e l'aveva indicata a Mayer, il quale cercò invano da quale segno esterno il principale avesse potuto distinguerla dalle altre.
A bordo regnava un silenzio profondo, ma dal boccaporto usciva un filo di luce che si prolungava come una spaccatura fin quasi al timone.
Non appena i due poliziotti misero piede sulla plancia, una voce sotterranea brontolò: — Sei tu, Martinière?
Il commissario si immobilizzò imitato dall'ispettore.
Dopo qualche secondo una figura nera emerse dal ventre del barcone e la stessa voce di prima ma su un altro tono, esclamò: — Chi è là?!
Richard avanzò verso l'ombra dichiarando a bassa voce: — Polizia Giudiziaria — e il silenzio era così profondo che si udì nettamente l'altro brontolare fra i denti: — Anche i «flics» adesso!
Dopo poco erano tutti e tre in una specie di quadrato illuminato con violenza da una lampada ad acetilene che friggeva spandendo un odore agliaceo.
Il comandante del barcone che era un uomo la sessantina alto e grosso quanto il commissario, aveva già declinato le generalità e frugava in un cassetto alla ricerca dei documenti di bordo.
Richard lo fermò con un gesto: — Dov'è Martinière?
— Lo domando a voi — rispose l'altro squadrando imbronciato i due poliziotti, poi come se un sospetto gli avesse attraversato la mente, chiese a sua volta: — Avete le tessere?
Richard sorrise: — Non aver paura, siamo autentici... dimmi: perché aspettavi il Martinière?
— Perché a mezzanotte si parte e tocca a lui prendere il turno al motore.
Ci fu un silenzio piuttosto lungo durante il quale i tre uomini si guardarono in faccia studiandosi a vicenda. La luce violenta della lampada modellava i loro visi. Quello del commissario per quanto impenetrabile era teso in un'espressione di durezza quale Mayer raramente aveva visto, mentre sul faccione da bevitore del comandante della chiatta si diffondeva una vaga inquietudine.
— Quando è sbarcato, ha detto dove andava?
Il marinaio alzò le spalle.
— Se credete che oggi giorno i dipendenti sieno tenuti a dar delle spiegazioni... e proprio su queste barcacce...
Era evidente che l'uomo aveva navigato in giorni migliori su ben altre acque e l'aver dovuto accettare in tarda età di servire sulle chiatte della navigazione interna, era per lui un motivo di amarezza che non cercava neanche di nascondere.
— Da quanto tempo è al vostro servizio?
— Mi pare da tre anni, del resto il suo libretto deve essere là — e in così dire l'uomo si diresse verso una specie di cuccetta, ma il commissario che sembrava divenir di minuto in minuto più impaziente lo fermò con un: — Lasciate andare... ditemi piuttosto se aveva cambiato umore in questi ultimi tempi.
Il vecchio guardò imbarazzato il commissario, poi fece una smorfia e girò gli occhi intorno come a chiedere aiuto. Doveva essere la prima volta in vita sua che gli veniva fatta una domanda di quel genere e i problemi psicologici non sembrava fossero il suo forte.
— Cambiato... ecco... come si fa a dire... prima di tutto io mi occupo delle pratiche di imbarco e sbarco e della manovra, poi non domando a...

Table of contents

  1. La verità velata di nero
  2. Parte seconda
  3. Crediti
  4. Tra i Fogli volanti