Il Maresciallo Lo Cascio. Mamma Lupara
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Il Maresciallo Lo Cascio. Mamma Lupara

About this book

Tra i pochi autori italiani inseriti nei "Gialli Mondadori", Franco Enna è considerato uno dei maestri della letteratura di genere italiana. Sceneggiatore, drammaturgo e scrittore, Enna ha firmato alcune delle pagine più originali del dopoguerra, prime fra tutte quelle dedicate al Commissario Sartori, un poliziotto siciliano disincantato e sensuale che anticipa le vicende di Montalbano. Alberto Tedeschi, mitico direttore del "Giallo", definì l'opera di Enna con il termine "giallo d'arte". Un giallo d'arte personalissimo che ama e ricerca la contaminazione: hard boiled, racconto realistico, fiaba, l'intreccio indissolubile fra Eros e Thanatos, animano il mondo creativo di uno dei maggiori protagonisti del noir made in Italy. Prima di Sciascia e di Camilleri, Franco Enna sceglie la Sicilia come ambientazione per i suoi romanzi. Come nel caso di Mamma Lupara, storia di provincia e morte che ha come protagonista il Maresciallo Lo Cascio, figura defilata di investigatore dal grande fiuto, un personaggio che non può non ricordare Montalbano. In una palazzina di Mazara del Vallo, devastata da un'esplosione, viene ritrovato il cadavere di un giovane ragazzo. L'autopsia rivela che era già morto al momento dello scoppio: asfissia. Qualcuno lo aveva legato e imbavagliato a una sedia poco prima che l'appartamento esplodesse. Lo Cascio pensa immediatamente a una vendetta. E il suo intuito non sbaglia. Le indagini si indirizzano subito fra i grossisti di pesce della zona. Qualcuno ha importanti legami con la malavita palermitana ed è pronto a compiere qualsiasi crimine pur di fare affari poco puliti alle spalle dei pescatori della zona.

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Information

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Franco Enna
Il maresciallo Lo Cascio Mamma lupara
Una realizzazione Falsopiano/Fogli Volanti
secondo gli standard dell'International Digital
Publishing Forum
ISBN 9788893041522
Prima edizione digitale 2019

MAMMA LUPARA

Capitolo I

Lo scirocco soffiava da tre giorni e sollevava alte ondate sul molo. C’era sabbia dappertutto, in casa, nel pane, tra i denti, una sabbia minuta, fine come l’oro, che certo veniva dalla vicina Africa. La sabbia e il vento caldo avevano cacciato la gente nelle case. Neppure i pescherecci uscivano da tre giorni.
Il maresciallo Lo Cascio, che da qualche minuto osservava il mare scintillante dalla finestra del suo alloggio, si passò la destra sul cranio lucido e sudato. Si sentiva come una candela accesa e, ora che si era tolto la giubba kaki, notava le larghe macchie di sudore sulla camicia. Nelle stanze aleggiava un invitante profumo di salsa di pomodoro sul fuoco.
Dalla cucina, Virginia gli gridò: «Papà, ti ho preparato la camicia pulita sul letto. Hai il tempo di farti una doccia. Sto mettendo giù la pasta».
C’era un tono di affettuoso comando nella voce stridula di quella figlia tredicenne, smilza e nervosa, che aveva preso il posto della madre morta tre anni prima per una banale appendicite trascurata.
«Eh, papà?»
«Sì, tesoro, grazie!»
Si avvicinò al tavolo, dove aveva lasciato il pacchetto di Nazionali, accese una sigaretta e, nello sbuffare la prima boccata, sfiorò con lo sguardo la fotografia a grandezza naturale di Carmelina. Come sempre gli succedeva, avvertì un fastidioso nodo alla gola. La giovane moglie gli sorrideva, come sempre, dalla cornice scura, e lui pensò alla bellezza di lei, ai suoi lunghi capelli neri che, sciolti, le arrivavano fino alla schiena, a quei morbidi fili profumati dove lui era solito affondare le dita e le labbra nei momenti di intimità. Carmelina aveva ventinove anni, quando la morte gliel’aveva strappata.
Di scatto passò in camera da letto, si spogliò e fece una doccia appena tiepida. Poi indossò una camicia pulita, si pettinò i pochi capelli che gli facevano coroncina attorno alla testa. Era tarchiato e forte e, quando parlava, spesso smozzicava qualche parola.
Virginia bussò alla porta.
«Posso entrare?»
«Sì.»
La figlia apparve con uno spaghetto arrotolato attorno alla forchetta, i grandi occhi neri luminosi di tenerezza.
«Vuoi assaggiare la pasta?»
Lui ubbidì.
«Ancora un minuto», disse poi.
«È giusta di sale?»
«Perfetta.»
La fanciulla lo baciò su una guancia e corse via. Era già una donnina, pensò Lo Cascio con un sentimento di tenerezza e di apprensione insieme. Rientrò in sala da pranzo. Il vento agitava gli alberi sul lungomare, gettando alte ondate sul molo. Mazara del Vallo era avvolta da un nembo di polvere dorata. Erano le due e dieci.
Luigi Lo Cascio si sedette a tavola e seguì con lo sguardo la figlia che stava versando gli spaghetti nei piatti. A lui toccò la razione maggiore: Virginia sapeva che suo padre aveva un debole per la pasta al pomodoro.
«La salsa è venuta bene», disse Virginia, «come piace a te.»
Lui sorrise, cominciò ad arrotolare gli spaghetti attorno alla forchetta. Fu in quel momento che il telefono squillò.
«Vado io», disse Virginia saltando in piedi. «Tu mangia.»
L’apparecchio era in anticamera.
Lo Cascio portò in bocca la prima forchettata di spaghetti. Cotti al punto giusto. Anche la salsa era squisita, dolce e leggermente densa. Virginia aveva imparato dalla madre.
La ragazzina riapparve, un po’ contrita.
«È l’appuntato Morelli», disse. «Vuole parlare con te...»
Il maresciallo andò al telefono.
«Che c’è, Morelli?»
«Maresciallo, c’è stata una esplosione in via Ximenes. Sembra che ci siano dei morti...» «Ah!... Chi ha telefonato?»
«Qualcuno dei vigili del fuoco.»
«Vengo subito. Prepara il pulmino. Andremo noi due.»
«Sissignore.»
Rientrò in sala da pranzo dicendo: «Tesoro, debbo andare. Mi dispiace».
«Oh, no, papà!» esclamò la fanciulla stizzita. «Mangia almeno la pasta. Le sarde le mangerai più tardi...»
Lo prese per mano, lo attirò alla tavola.
Lo Cascio finì gli spaghetti in piedi, si asciugò le labbra, bevve un sorso di vino.
«Cos’è successo?»
«Non so. Un’esplosione.» Si stava infilando la giubba. Virginia gli porse il cinturone con la pistola. «Hai finito i compiti?»
«Sì, papà.»
«Stai attenta quando vai a scuola... ad attraversare la strada e al resto. Ci siamo capiti, vero?»
«Certo, papà.»
Lo Cascio baciò la figlia sulle labbra, afferrò il berretto e uscì. Il suo alloggio si trovava nello stesso stabile della caserma. Per raggiungere l’ufficio bastava scendere una rampa di scale.
Il piantone gli aprì, lo salutò militarmente.
«Morelli è già sceso?»
«Sissignore.»
«Se mi cercano dalla tenenza, sono in via Ximenes.»
Scese a pianterreno. Il suo alloggio era al secondo piano e lì finiva la palazzina bianca, con le persiane verdi, dov’era insediato il comando stazione dei carabinieri. L’appuntato Morelli si trovava già al volante del pulmino blu che recava le insegne dell'Arma. Il motore era già acceso.
Lo Cascio si sentì chiamare dall’alto.
«Ciao, papà!»
Virginia gli faceva cenno con la mano, il volto magro e affilato mezzo coperto dai capelli mossi dal vento.
«Ciao, amore!»
Si sedette accanto all’appuntato. Il pulmino partì con uno strattone. Lo Cascio accese una sigaretta.
«Ne vuoi?»
«No, grazie, maresciallo.»
Morelli, che doveva aver preso la telefonata per caso, era di cattivo umore La sua faccia rettangolare, dalla pelle scura e dai lineamenti pesanti, aveva una espressione di contrarietà. Aveva rinunciato al sonnellino pomeridiano, che d’altronde gli spettava, dato che era stato comandato di perlustrazione la notte prima.
«Si sa niente di questa esplosione?»
«No, niente. Il vigile si è limitato a dire che dovevano esserci dei morti.»
Corsero sul lungomare, s’infilarono in un dedalo di stradine deserte, chiuse da case grigie e silenziose. Non ci fu bisogno neppure di inserire la sirena. Solo verso via Ximenes, Morelli dovette farsi largo pigiando sul clacson. Una piccola folla di curiosi ostacolava il passaggio.
Localizzarono subito il punto del disastro, dalla macchia rossa del carro dei pompieri. Una casa grigia, di cinque piani, appariva sventrata al secondo e al primo piano e attraverso gli squarci si scorgevano le suppellettili in alcune stanze. Una montagna di mattoni e detriti ostruiva quasi totalmente la strada. Un’autoambulanza stava arrivando dal lato opposto a sirena spiegata. Alle finestre che davano nei paraggi, facce curiose di donne e ragazzi seguivano attente i movimenti dei primi soccorritori. Il vento turbinava sui tetti, e l’aria faceva da coperchio sulla strada piena di un fetore acuto di gas.
L’appuntato Morelli fermò il pulmino e saltò a terra contemporaneamente al maresciallo, che si avvicinò in fretta a colui che sembrava il caposquadra dei vigili del fuoco.
«Cos’è accaduto?»
«Ah, lei, maresciallo? Un vero disastro, creda a me. Una fuga di gas...»
«Dove?»
Il caposquadra indicò l’edificio, sulla cui facciata si stavano arrampicando alcuni pompieri nell’intento di far cadere pezzi di muratura pericolanti.
«Al primo o al secondo piano. Credo di non sbagliarmi. Forse in quell’appartamento, lì, sulla sinistra. Vede quella parete rosa? Dev’essere la cucina. Sono andato a dare un’occhiata con la scala. È il punto focale, direi, dato che ha subito i danni maggiori...»
«Ci sono vittime?»
«Abbiamo trovato una donna anziana tra le macerie», rispose il caposquadra togliendosi la polvere da un occhio. «Morta, naturalmente. Stiamo cercando ancora...»
«Diamoci da fare, allora. Faccia venire altri uomini. Io telefono in caserma.»
Gli infermieri intanto si stavano occupando della donna trovata per prima. Come aveva detto il caposquadra dei vigili del fuoco, per lei non c’era più nulla da fare: la lastra di un balcone le aveva schiacciato la testa.
Frotte di uomini si erano unite ai vigili del fuoco e stavano frugando attivamente tra le macerie, dandosi ordini e istruzioni l’un l’altro. Poco dopo, altri carabinieri arrivarono sul posto, imitati ben presto da agenti di polizia e vigili urbani. La confusione era grandissima nel ristretto spazio pieno di gas.
«Faccia fermare quella fuga di gas», ordinò Lo Cascio.
Il caposquadra, che se n’era dimenticato, provvide immediatamente.
L’autoambulanza partì alla volta del pronto soccorso, anche se la donna raccolta era già cadavere. Una seconda ne sopraggiunse, in tempo per caricare un’altra donna, ancora in vita, questa, e più giovane della prima: sanguinava abbondantemente dall’inguine.
Un uomo sulla trentina, che doveva essere il marito, sopraggiunse urlando: «Vincenzina!... Vincenzina mia!» Si attaccò allo sportello dell’ambulanza già in moto e per poco non si lasciò trascinare via.
L’appuntato Morelli tentava di tenere lontano i curiosi non partecipanti ai soccorsi.
«C’è ancora qualcuno negli appartamenti?» domandò Lo Cascio.
«Ho provveduto a fare sgomberare lo stabile», rispose il caposqua...

Table of contents

  1. Capitolo I
  2. Capitolo XIV