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Robinson Crusoe
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Robinson Crusoe è un marinaio che per 28 anni vive solitario su un'isola deserta presso la costa del Venezuela e, con i suoi sforzi e la sua ingegnosità - aiutato dal suo servo Venerdì il "buon selvaggio" che egli ha salvato dai cannibali - si crea intorno condizioni esistenziali tollerabili, eccetera... Troppo note le vicende narrate nel celeberrimo Le avventure di Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe per dilungarsi oltre. Dal romanzo sono state ricavate molte belle opere televisive e cinematografiche.
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Information
VOLUME I
PRIMI ANNI DI GIOVENTÙ
Nacqui dell’anno 1632 nella città di York d’una buona famiglia, benché non del paese, perché mio padre, nativo di Brema, dapprima venne a mettere stanza ad Hull; poi fattosi un buono stato col traffico e dismesso quindi il commercio, trasportò la sua dimora a York; nella qual città sposò la donna divenuta quindi mia madre. Appartiene questa alla famiglia Robinson, ottimo casato del paese; onde io fui chiamato da poi Robinson Kreutznaer, ma per l’usanza che si ha nell’Inghilterra di svisare le parole, siamo or chiamati anzi ci chiamiamo noi stessi, e ci sottoscriviamo Crusoe, e i miei compagni mi chiamarono sempre così.
Ebbi due fratelli maggiori di me, uno dei quali, tenente-colonnello in un reggimento di fanteria inglese, servì nella Fiandra, prima sotto gli ordini del famoso colonnello Lockhart, poi rimase morto nella battaglia accaduta presso Dunkerque contro agli Spagnoli. Che cosa divenisse dell’altro mio fratello non giunsi a saperlo mai più di quanto i miei genitori abbiano saputo in appresso che cosa fosse divenuto di me.
Terzo della famiglia, né essendo io stato educato ad alcuna professione, la mia testa cominciò sin di buon’ora ad empirsi d’idee fantastiche e girovaghe. Mio padre, uomo già assai vecchio, che mi aveva procurata una dose ragionevole d’istruzione, fin quanto può aspettarsi generalmente da un’educazione domestica e dalle scuole pubbliche del paese, mi destinava alla professione legale; ma nessuna vita mi garbava fuor quella del marinaio, la quale inclinazione mi portò sì gagliardamente contro al volere, anzi ai comandi di mio padre, e contro a tutte le preghiere e persuasioni di mia madre e degli amici, che si sarebbe detto esservi nella mia indole una tale quale fatalità, da cui fossi guidato direttamente a quella miserabile vita che mi si apparecchiava.
Mio padre, uom grave e saggio, mi aveva dati seri ed eccellenti consigli per salvarmi da quanto egli presentì essere il mio disegno. Mi chiamò una mattina nella sua stanza ove lo confinava la gotta, e lagnatosi caldamente con me su questo proposito, mi chiese quali motivi, oltre ad un mero desiderio di andare vagando attorno, io m’avessi per abbandonare la mia casa ed il mio nativo paese, ove io potevo essere onorevolmente presentato in ogni luogo, e mi si mostrava la prospettiva di aumentare il mio stato, l’applicazione e l’industria, e ad un tempo la sicurezza di una vita agiata e piacevole. “Sol per due sorte d’uomini, egli mi diceva, è fatto il cercare innalzamento e fama per imprese poste fuori della strada comune: per gli spiantati e per coloro ai quali ogni ricchezza, ogni ingrandimento sembrano pochi. Or tu sei troppo al di sopra o al di sotto di questi; la tua posizione e in uno stato mediocre, in quello stato che può chiamarsi il primo nella vita borghese, posizione che una lunga esperienza mi ha dimostrata siccome la migliore del mondo, e la meglio adatta all’umana felicità; non esposta alle miserie e ai travagli che son retaggio della parte di genere umano costretta a procacciarsi il vitto col lavoro delle proprie braccia; e nemmeno agitata dalla superbia, dal lusso, dall’ambizione e dall’invidia di cui è infetta la parte più alta dell’umanità. Puoi argomentare la beatitudine di un tale stato da una cosa sola: dall’essere cioè desso la condizione invidiata da tutto il resto degli uomini; spesse volte gli stessi re hanno gemuto sulle triste conseguenze dell’esser nati a troppo grandi cose, onde molti di loro si sarebbero augurati vedersi posti nel mezzo dei due estremi, tra l’infimo e il grande. Poi ti ho mai dato altre prove, altri esempi io medesimo? Ho sempre riguardata una tale condizione come la più giusta misura della vera felicita, e ho pregato costantemente il Signore che mi tenesse ugualmente lontano dalla povertà e dalla ricchezza. Imprimiti ciò bene nella mente, figliolo. Troverai sempre che le calamità della vita sono distribuite fra la più alta e la inferiore classe del genere umano; e che uno stato mediocre, soggetto a minori disgrazie, non è esposto alle tante vicende cui soggiacciono i più grandi o i più piccoli fra gli uomini; chi si contenta della mediocrità, non patisce tante malattie e molestie sia di corpo, sia di mente, quante i grandi, o gl’infimi: quelli consumati dal vivere vizioso, dalla superfluità dei piaceri e dalle medesime loro stravaganze; questi logorati da un’improba e continua fatica, dalla mancanza delle cose necessarie, e da uno scarso ed insufficiente nutrimento, traggono sopra sé stessi quante infermità vengono in conseguenza del sistema loro di vivere. Aggiungi, la condizione media della vita è fatta per ogni sorta di virtù e per ogni sorta di godimenti; la pace e l’abbondanza sono ai comandi di quest’aurea mediocrità; la temperanza, la moderazione, la tranquillità, la salute, la buona compagnia, ogni diletto degno di essere desiderato, vanno necessariamente connessi con lei. Per essa gli uomini trascorrono pacatamente e soavemente la peregrinazione di questo mondo, e ne escono piacevolmente, non travagliati da fatiche di braccia o di capo, non venduti alla schiavitù per accattarsi il giornaliero loro pane, non angustiati da perplessità che tolgono la pace all’anima e il riposo al corpo; non lacerati dalla passione dell’invidia o dal segreto rodente verme dell’ambizione che li faccia aspirare a grandi cose; guarda come, posti in circostanze non mai difficili, attraversino la carriera della vita gustandone le soavità senza provarne l’amaro, sentendo di esser felici, e imparando da una giornaliera esperienza di essere ogni giorno più. Dunque sii uomo; non precipitarti da te medesimo in un abisso di sventure contro alle quali la natura e la posizione in cui sei nato, sembrano averti premunito; non sei tu nella necessità di mendicarti il tuo pane. Quanto a me, son disposto a farti del bene e ad avviarti bellamente in quella strada che ti ho già raccomandata come la migliore; laonde se non ti troverai veramente agiato e felice nel mondo, ne avranno avuto unicamente la colpa o una sfortuna non prevedibile o la tua mala condotta, venute ad impedirti sì lieto destino. Ma non avrò nulla da rimproverare a me stesso, perché mi sono sdebitato del mio obbligo col farti cauto contro a quelle tue risoluzioni che vedo doverti riuscire rovinose. Son prontissimo dunque a fare tutto a tuo favore, se ti determini a rimanertene in mia casa e ad accettare un collocamento quale te l’ho additato; ma altresì non coopererò mai alle tue disgrazie col darti alcuna sorta d’incoraggiamento ad andartene. Guarda tuo fratello maggiore al quale avevo fatte le stesse caldissime insinuazioni per rattenerlo dal portarsi alle guerre dei Paesi Bassi; ah! non riuscii a vincere in quel giovinetto l’ardente voglia di precipitarsi in mezzo agli eserciti! Che gli accadde? vi rimase ucciso. Ascoltami bene; io certo non cesserò mai dal pregare il Cielo per te; pure m’arrischierei dirti che se t’avventuri a questa risoluzione insensata, Dio non t’accompagnerà con la sua benedizione; e pur troppo per te avrai tutto il campo in appresso a pentirti d’aver trascurati i suggerimenti paterni; ma ciò avverrà troppo tardi, e quando non vi sarà più alcuno che possa accorrere in tuo scampo”.
Notai, durante quest’ultima parte del suo discorso, che fu veramente profetica, benché, io suppongo, quel pover’uomo non sapesse egli stesso quanto profetizzasse la verità; notai, dissi, come gli scorressero copiose lacrime per le guance, allorché principalmente mi parlò del mio fratello rimasto ucciso; così pure allorché mi disse che avrei avuto campo a pentirmi quando non vi sarebbe stato chi mi potesse scampare: in quel momento apparve si costernato, che troncò di botto il discorso, e mi disse: - “Ho troppo gonfio il cuore per poterti dire altre cose”.
Fui sinceramente commosso da una tale ammonizione; e davvero come avrebbe potuto essere altrimenti? commosso tanto, che determinai in quel momento di non pensare più a girare il mondo, ma di mettermi di piè fermo in mia casa come mio padre lo desiderava. Ma oimè! pochi giorni si portarono via tutti questi miei propositi; ed alla presta, per impedire ogni ulteriore sollecitazione del padre mio, risolvei di fuggirmi da lui entro poche settimane; pur non feci né sì sollecitamente né in quel modo che nell’impeto della mia risoluzione avevo divisato; ma, tratta in disparte mia madre in un momento ch’ella mi parve di buon umore più che d’ordinario, le dissi come le mie idee fossero affatto volte al desiderio di vedere il mondo. - “Già, io continuai, con tale brama ardentissima in me non potrò mai combinare nessun’altra delle cose propostemi; mio padre farebbe meglio a concedermi il suo assenso, anziché costringermi ad andarmene senza averlo ottenuto. Ho già diciotto anni compiuti, età troppo tarda per entrare alunno in una casa di commercio o nello studio di un avvocato; io sono ben sicuro che se mi prestassi a ciò, non compirei il termine del mio alunnato, e fuggirei prima del tempo dal mio principale per mettermi in mare. O madre mia! se voleste impiegare una vostra parola presso mio padre, affinché mi lasciasse una volta soltanto fare un viaggio dintorno al mondo, tornato a casa, ove tale vita non mi conferisse, non parlerei più d’andarmene: in tale caso, ve lo prometto io, raddoppierei di diligenza, e saprei riguadagnare il tempo perduto”.
Ciò pose mia madre nella massima agitazione.
- “Non vedo, ella disse, come una tale proposta possa mai venire fatta a tuo padre. Egli sa troppo bene quali siano i tuoi veri interessi per prestare giammai il suo assenso ad un partito di tanto tuo scapito; non capisco nemmeno come tu possa pensare tuttavia a cose di simil natura dopo il discorso di tuo padre, e dopo sì tenere ed amorose espressioni che adoperò con te; perché io lo so qual discorso ti ha tenuto. Figliolo caro, se vuoi rovinarti da te medesimo, non sarò io quella che t’aiuti a farlo; sta pur sicuro che l’assenso dei tuoi genitori non l’otterrai in eterno. Quanto a me, certamente non voglio il rimorso di aver prestata mano alla tua distruzione, né che tu abbi mai a dire un giorno: Mia madre acconsentiva ad una cosa che mio padre disapprovava”.
Benché mia madre ricusasse fare parola di ciò a suo marito, pure, come lo riseppi in appresso, gli riferì tutto questo discorso, e mio padre dopo essersene molto costernato, le disse mettendo un sospiro: - “Questo ragazzo potrebbe esser felice rimanendo a casa sua; ma se si dà a vagare per il mondo, sarà il più miserabile uomo fra quanti nacquero sulla terra; non posso acconsentire a ciò”.
FUGA
Solo quasi un anno dopo io ruppi il freno del tutto; benché in questo intervallo avessi continuato a mostrarmi ostinatamente sordo ad ogni proposta di dedicarmi a qualche professione, e benché frequentemente mi fossi querelato dei miei genitori per questa loro volontà, sì fermamente dichiarata contro a quanto sapevano essere, com’io diceva, la decisa mia vocazione. Ma trovatomi un giorno ad Hull, ove capitai a caso e in quel momento senza alcun premeditato disegno, incontrai uno dei miei compagni, che recandosi allora a Londra per mare sopra un vascello del padre suo, mi sollecitò ad accompagnarlo col solito adescamento degli uomini di mare: col dirmi cioè, che un tale viaggio non mi sarebbe costato nulla. Non consultai né mio padre né mia madre, né tampoco mandai a dir loro una parola di ciò; ma lasciai che lo sapessero come il Cielo lo avrebbe voluto, e partii senza chiedere né la benedizione di Dio, né quella di mio padre; senza badare a circostanze o conseguenze; e partii in una trista ora: Iddio lo sa!
Nel primo giorno di settembre del 1651 mi posi a bordo di un vascello diretto a Londra. Non mai sventure di giovane avventuriere incominciarono, credo io, più presto, o continuarono più lungo tempo, come le mie. Il vascello era appena uscito dell’Humber [1] quando il vento cominciò a soffiare e le onde a gonfiarsi nella più spaventevole guisa. Io che per innanzi non era mai stato in mare, mi trovai in un ineffabile modo travagliato di corpo ed avvilito di animo. Allora cominciai seriamente a riflettere su quanto avevo fatto, e come giustamente io fossi colpito dalla giustizia del Cielo per avere abbandonato così malamente la casa di mio padre e posto in non cale ogni mio dovere. Tutti i buoni consigli dei miei genitori, le lacrime di mio padre, le preghiere di mia madre, mi si rinfrescarono alla memoria; e la mia coscienza che non era anche giunta a quell’eccesso d’indurimento, cui pervenne più tardi, mi rinfacciava il disprezzo dei suggerimenti ricevuti e la violazione dei miei obblighi verso Dio e i miei genitori.
Intanto infuriava la procella, e il mare, ove io non mi ero mai trovato, divenne altissimo, benché non quanto io l’ho veduto molto tempo dopo, e nemmeno quanto lo vidi pochi giorni appresso; ma era abbastanza per atterrire in allora un giovane navigatore come me, ché non sapeva nulla di tali cose. Io m’aspettava che ogni ondata ne avrebbe inghiottiti, e che ogni qualvolta il vascello cadeva, io la pensava così, entro una concavità apertasi tra un cavallone ed un altro, non ci saremmo rialzati mai più; in questo spasimo della mia mente feci parecchi voti e risoluzioni che se mai fosse piaciuto a Dio di risparmiare la mia vita in quel viaggio, se mai il mio piede avesse toccato terra, sarei corso direttamente alla casa di mio padre, né mai più mi sarei imbarcato in una nave finché fossi vissuto; ch’io mi sarei d’allora in poi attenuto ai suggerimenti paterni, né mi sarei mai più gettato in simili miserie, come quelle che mi circondavano. Allora io vedeva pienamente la saggezza delle osservazioni fattemi dal padre mio sopra uno stato mediocre di vita; come agiatamente, come piacevolmente egli era vissuto per tutti i giorni suoi senza essersi mai esposto ad infortuni né di mare né di terra. Era risoluto di tornarmene, come il figlio prodigo pentito, alla casa del mio genitore.
Questi saggi e moderati pensieri durarono quanto la procella, e per dir vero qualche tempo ancora dopo; ma nel dì successivo quando il vento fu rimesso e il mare più tranquillo, cominciai ad assuefarmici alquanto meglio. Nondimeno mi sentiva molto depresso in quel giorno essendo tuttavia travagliato un poco dal male di mare; ma sul tardi il cielo si era schiarito, il vento cessato del tutto, e sopravvenne una bellissima deliziosa sera; il sole tramontò affatto chiaro, e chiaro risorse nella successiva mattina; e spirando o poco o nessuna sorta di vento, ed essendo placido il mare che rifletteva i raggi del sole, tale vista mi sembrò la più incantevole che mi fosse mai apparsa.
Avevo dormito bene la notte; or non sentivo più il mal di mare, e prosperoso di salute andavo contemplando con stupore come la marina, sì irritata e terribile nel giorno innanzi, potesse essere tanto cheta e piacevole dopo sì breve tempo trascorso.
Allora il mio compagno per paura che continuassero le mie buone risoluzioni, perché era stato lui che m’aveva sedotto a fuggire da casa, mi si accostò battendomi amichevolmente con una mano la spalla e dicendomi: - “Ebbene, come vi sentite adesso, bell’uomo? Vi so dir io che eravate ben impaurito; non lo eravate, quando soffiò quel po’ d’aria brusca?
- Un po’ d’aria brusca, lo dite voi? io gli risposi; fu una tremenda burrasca.
- Una burrasca, impazzite? egli replicò. Chiamate quella una burrasca? Non lo fu niente affatto. Datene un buon vascello e una bella deriva [2], come avevamo, e ci pensiamo ben noi a colpi di vento, quale fu questo! Voi siete ancora un nocchiere d’acqua dolce, amico mio, andiamo; seppelliamo tutto ciò entro un bowl [3] di punch. Vedete che bel tempo fa adesso?”
Per accorciare questa trista parte della mia storia, facemmo come tutti i marinai: il punch dirò che fu apparecchiato, io m’ubriacai, e negli stravizi di quell’unica notte affogai tutto il mio pentimento, tutte le mie riflessioni sulla mia passata condotta, tutti i miei fermi propositi per l’avvenire. In una parola, appena il mare fu tornato alla sua uniformità di superficie ed alla sua prima placidezza col cessare della procella, cessò ad un tempo lo scompiglio dei miei pensieri; le mie paure di rimanere inghiottito dalle onde furono dimenticate, e, trasportato dalla foga degli abituali miei desideri, mi scordai affatto delle promesse e dei voti fatti nel momento dell’angoscia. Mi sopravvennero, non lo nego, alcuni intervalli di riflessione e di seri pensieri, che a volta a volta m’avrebbero persuaso a tornarmene addietro; ma io facevo presto a scacciarli come malinconie da non farne caso, ed a furia di bevere coi compagni, giunsi a rendermi padrone di questi tetri accessi di demenza, perché io li chiamava così, affinché non tornassero; di fatto in cinque o sei giorni riportai tale compiuta vittoria sulla mia coscienza, qual può desiderarla ogni giovane spensierato che si risolva a non voler lasciarsi disturbare da essa.
Pure soggiacqui tuttavia ad un’altra prova che avrebbe potuto farmi ravvedere, perché la Provvidenza, come fa generalmente in simili casi, aveva risoluto di lasciarmi affatto privo di scuse; e davvero, ancorché non avessi voluto ravvisare un salutare avvertimento nella prima, la seconda doveva esser tale, che il peggiore e l’uomo di cuor più duro fra noi, non poteva non confessare il pericolo e ad un tempo la grandezza della divina misericordia.
UNA TEMPESTA
Nel sesto giorno della nostra navigazione toccavamo le spiagge di Yarmouth; ché essendone stato contrario il vento, e avendo trovato bonaccia facemmo ben poco cammino dopo la sofferta burrasca. Qui fummo costretti venire all’ancora, e vi rimanemmo per sette o otto giorni, perché il vento che spirava da libeccio (sud-ovest), continuava ad esserci contrario; in questo intervallo un grande numero di grosse navi, provenienti da Newcastle, convennero alle medesime spiagge come rifugio comune, ove ogni naviglio poteva aspettare un vento propizio per raggiungere il Tamigi. Pure non v’era una necessità che ancorassimo là sì lungo tempo, ed avremmo potuto entrarvi facendo fronte alla marea se fosse stato meno forte il vento, che dopo essere noi rimasti lì quattro o cinque giorni divenne poi gagliardo oltre ogni dire. Ciò nonostante quelle spiagge venendo riguardate buone come un porto, ottime essendo le nostre ancore e gagliardissimi i loro attrezzi, la nostra brigata non se ne dava quasi per intesa, e senza sospettare nemmeno il pericolo, impiegava il tempo nel riposo e nell’allegria ad usanza dei marinai. Ma nell’ottavo giorno, cresciuto in modo straordinario il vento, tutte le braccia furono all’opera per abbassare i nostri alberi di gabbia, e serrare e difendere tutto all’intorno, affinché la nostra nave potesse restare all’ancora il meglio che fosse possibile. Verso mezzogiorno la marea si fece altissima; il nostro castel di prua pescava l’acqua, la nave riceveva a bordo parecchie ondate, e tememmo per due o tre volte che l’ancora arasse terra: per lo che il nostro capitano ordinò si gettasse l’ancora di soccorso; sì che ci appoggiavamo su due ancore al davanti di noi, e le nostre gomene erano tirate da un capo all’altro.
Allora infierì davvero terribile quanto mai la burrasca; allora cominciai a leggere la paura e l’avvilimento sui volti dei medesimi marinai. Il capitano si dava con la massima vigilanza all’opera per preservare la nave; ma mentre, or tornava nella sua camera, or ne veniva passandomi da vicino, potei udirlo quando disse parecchie volte fra sé medesimo: Dio, abbiateci misericordia! saremo tutti perduti, tutti morti! e cose simili. Durante i primi scompigli io rimaneva istupidito tuttavia nella mia camera, posta dinanzi alla paratia [4] della grande, né potrei descrivere qual fosse lo stato dell’animo mio. Mal sapevo in allora ripetere quei primi atti di pentimento ch’io avevo sì apertamente posto in non cale, e contro cui si era indurito il mio cuore; pensavo che anche l’orrore della morte fosse passato; che anche questa tempesta finirebbe in nulla come la prima; ma quando lo stesso capitano venutomi da presso disse egli medesimo, come ho raccontato, che saremmo tutti perduti, non so esprimere quanto orridamente restassi atterrito. Uscito in fretta della mia camera, guardai al di fuori. Oh! i miei occhi non si sono mai incontrati in una sì spaventosa veduta: il mare si accavallava in montagne che si rompevano sopra di noi ad ogni tre o quattro minuti. Quando potei guardare all’intorno, mi trovai circondato dalla desolazione per ogni dove; due navi che stavano all’ancora presso di noi avevano per alleggerirsi di carico, tagliato i loro alberi rasente la coperta; la nostra ciurma gridava che una nave ancorata un miglio all’incirca dinanzi a noi era sommersa. Due altre navi staccate dalle loro ancore venivano trasportate alla ventura, e ciò dopo aver perduti tutti i loro alberi. I più piccoli navigli se la scampavano meglio siccome quelli che erano meno travagliati dal mare; pure ci passarono da presso due o tre di essi vaganti in balia delle onde con le sole vele di civada esposte al vento. Verso sera il capitano e il bosmano vennero a proporre al nostro capitano che si tagliasse l’albero di trinchetto, cosa dalla quale questi grandemente rifuggiva; nondimeno il bosmano avendo protestato che se il suo superiore persisteva nell’opporsi a tale espediente, la nave sarebbe colata a fondo, questi acconsentì; ma poiché l’albero di trinchetto fu tagliato, l’albero di maestra rimasto isolato dava tali scosse alla nave che fu forza tagliare esso pure, onde il ponte rimase diradato del tutto.
Lascio giudicare a chicchessia in qual condizione mi fossi all’aspetto di tutti questi oggetti, io inesperto al mare, e che ero rimasto sì spaventato a quanto poteva quasi dirsi un nulla. Pure se in tanta distanza di tempo io posso ancora raccapezzare i pensieri che mi agitarono allora, io ero dieci volte più inorridito dal pensare al mio primo pentimento ed alla mia ribalderia di essere tornato dopo di questo alle antiche risoluzioni, che a ...
Table of contents
- Copertina
- ROBINSON CRUSOE
- Indice
- Intro
- VOLUME I
- VOLUME II
- VOLUME III
- VOLUME IV
- VOLUME V
- Ringraziamenti
