Demetrio Pianelli
eBook - ePub

Demetrio Pianelli

Emilio De Marchi

  1. Italian
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Demetrio Pianelli

Emilio De Marchi

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Dopo il suicidio del fratellastro oppresso dai debiti, il modesto impiegato Demetrio Pianelli deve occuparsi della famiglia del defunto. Per questo è costretto a condurre una dura vita di sacrifici, alla quale deve adeguarsi anche la bella e frivola cognata Beatrice, di cui Demetrio si innamora senza tuttavia osare dichiararsi. Alla fine l'onesto Pianelli non può impedire che Beatrice vada in sposa a un ricco cugino. In questa edizione il testo è stato interamente controllato e prudentemente normalizzato nella forma.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Demetrio Pianelli an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Demetrio Pianelli by Emilio De Marchi in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Medios de comunicación y artes escénicas & Narración. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

PAOLINO DELLE CASCINE

I.
Paolino delle Cascine da qualche tempo pensava di mettere il capo a partito e di prendere moglie una volta per sempre.
Già, è un passo che bisogna fare, e più ci si pensa, meno ci si riesce. Gli anni passavano anche per lui e ad aspettar troppo si arrischia poi di mettere i buoi dietro al carro.
Era in questi riflessi, quando capitò, come s’è visto, improvvisamente la vedova Pianelli. Sulle prime non fu nulla; ma passata la sorpresa, e specialmente quando ella fu partita, egli cominciò a sentire il cuore in disordine, a vedere l’immagine di quella donna dappertutto, come un luminello bianco dopo che si è guardato nel sole, che ti resta nella pupilla, che vedi sempre anche nel buio, anche a chiudere gli occhi, anche a cacciare la testa sotto un cuscino.
Quest’apparizione imbrogliò i suoi progetti. Tutte le altre ragazze dei dintorni, sulle quali da un pezzo in qua andava raccogliendo il pensiero, divennero, al confronto della bellissima vedova di Milano, figure scialbe di camposanto.
Quella donna l’aveva commosso, gli aveva rotto il cuore con quel suo piangere sfrenato, con quelle scene di tenerezza e di dolore. Quando essa si tirava vicini i ragazzi, e se li stringeva al cuore, Paolino scappava sempre nei prati a piangere anche lui come un ragazzo.
Ora che Beatrice non c’era più, sentiva una specie di caverna di dentro. Prova a ragionare, se puoi, in queste faccende!
Capiva anche lui che una cosa è prendere moglie secondo le regole di natura e un’altra è sposare una vedova con tre figlioli. Per quanto un uomo sia ben provveduto del suo, per quante ragioni il cuore metta all’ordine del giorno, tre figlioli son sempre tre figlioli. La gente vuol parlare, e Paolino, animo già non troppo coraggioso, si sentiva impaurito dal pensiero delle ciarle che si sarebbero fatte.
Ma ormai non sapeva pensare ad altro. Non mangiava più, usciva la mattina col cappello tirato sugli occhi, prendeva una strada qualunque attraverso i prati, andava un gran pezzo, coi piedi nell’erba, col capo nelle nuvole, finché, sentendosi isolato nella silenziosa solitudine, si metteva a sedere sul margine di una riva o d’una gora, all’ombra d’un salice, cogli occhi fissi al bigio orizzonte, dove tra due fusti esili di pioppo si disegnava nello sfondo nebbioso di Milano la guglia sottile del Duomo.
La sua esistenza era là, tra quei due tronchi, su quella guglia sottile.
Non si può dire il bene che gli aveva fatto la letterina di Arabella. Se la teneva sempre con sé, nel portafogli, sul cuore, e nei momenti d’estasi la leggeva dieci volte di fila, a voce alta, provando quasi un senso di freschezza, un refrigerio ai suoi tormenti nelle parole dell’innocenza. Dio parla spesso per la bocca dei fanciulli. Anche Sant’Ambrogio, dice la storia, fu nominato arcivescovo per la bocca di un bambino.
Ma a momenti di gioia succedevano altri momenti di sfinimento, di tristezza, di disperazione. Egli era un matto a credere che Beatrice volesse rimaritarsi, o anche, dato il caso, che volesse sposare un villano delle Cascine, prendere sul serio un Paolino qualunque, una donna come lei, abituata alla vita di Milano, una donna molto elegante, una donna ancor giovane e fresca, una donna, insomma, che poteva ben sposare un conte, un banchiere, un consigliere di prefettura.
La nessuna voglia di mangiare in un uomo, che di solito divorava il suo pane di quattro soldi per antipasto, rese pensierosa la buona sorella Carolina, che una sera, coltolo solo nell’orto, lo tirò sotto un capanno di zucche e cominciò a dirgli con la sua flemmatica bontà: «Tu hai qualche dispiacere, Paolino.»
«Io no.»
«Sì, tu hai qualche dispiacere che non vuoi dire.»
«Ti dico di no.»
«C’è qualcuno che ha detto male di te o che ti invidia?»
«Chi vuoi, cara te?»
«Hai venduto male le bestie?»
«Tutt’altro.»
«Ti fan male le scarpe?»
«Mi vanno benissimo» disse Paolino, mettendo innanzi un piede grande come un basamento.
«Allora è segno,» soggiunse la sorella, posando le mani giunte sul grembiale «è segno che vuoi prender moglie.»
Paolino, appoggiate le due braccia ai ginocchi e il volto ai due pugni stretti, disse con un piglio sgarbato: «Nel caso, non sarei io il primo.»
«Avresti dovuto già farlo. Hai fissato l’occhio su qualcheduna?»
Paolino tentennò il capo e fissò gli occhi in fondo in fondo sopra una siepe di sambuco, che cominciava allora a vestirsi di verde.
«È la Teresina dei Bareggi?»
Paolino disse di no col capo.
«Allora è la figlia del fattore di casa Prinetti.»
«Perché dev’esser quella?»
«Perché viene tutte le domeniche a messa alla Colorina.»
«La voglio bella o niente.»
«Che cosa vuol dire bella? Non è il manico d’oro o d’argento che fa bella una scopa.»
«Ah brava!» gridò Paolino ridendo «tu paragoni una moglie a una scopa.»
«No, faccio per dire che non bisogna guardare agli accessori, quando ci sia il principale, cioè salute, religione e voglia di lavorare. Queste signore della giornata, che escono dalle monache, che mettono le mani sotto il grembiale tutte le volte che hanno bisogno di traversare la corte, che svengono se vedono uccidere un cappone, che non sanno spennacchiare una gallina, sono buone per i signori milanesi, per i signori impiegati. Tu hai bisogno di legno forte e stagionato.»
Paolino, stringendo tra i due indici la canna del naso, lanciò di sottecchi un’occhiata alla sorella, per indovinare se parlava a caso o di proposito.
«È di Lodi questa tua bellezza?»
«No.»
«Di Melegnano?»
«No, cioè no e sì.»
«Di San Donato?»
«Oibò.»
«Di Milano?»
«Sì, cioè...» Paolino tirò un sospirone.
«La conosco io?»
«Diavolo!...»
«Uhm!»
La Carolina, che, sotto alla sua pacifica bontà era avveduta e furba, finse di non sapere orientarsi, per rendere la sua meraviglia ancora più meravigliosa, quando Paolino mettesse fuori il nome di Beatrice. Per la buona donna questo matrimonio sarebbe stato naturalmente una disgrazia.
Paolino capì il significato della reticenza e tagliò corto: «Se non indovini, è segno ch’io son matto da legare. Non parliamone più.»
Lì in terra c’era un pezzo di mattone. Paolino lo raccolse, lo palleggiò un momento nelle mani e con un’energia vera da matto disperato lo tirò in una siepe di mortella, facendo correre e cantare tutte le galline che pascolavano nell’insalata nuova. Capiva benissimo che una donna saggia e prudente non poteva consigliare a un buon figliolo di sposare una vedova con tre ragazzi. Capiva benissimo che il matto era lui e perciò si sarebbe lapidato con le sue mani.
Voltò via e non si lasciò più vedere per ventiquattro ore.
Finalmente pensò di parlarne a Demetrio, il solo che poteva dargli un consiglio sincero e disinteressato. Demetrio gli voleva bene, si conoscevano da un pezzo, erano due fave dello stesso guscio. A parlare non si fa peccato, e le passioni bisogna tirarle fuori e metterle all’aria, se si vuole che perdano le pieghe. Senza dir nulla alla Carolina, il giorno preciso di Pasqua di Risurrezione, scappò a Milano.
O sarebbe risuscitato anche lui: o se doveva essere sepolto, meglio morto e sepolto, che vivere infilato sopra uno spillo.

II.
Lo stesso giorno di Pasqua, Demetrio, dopo aver scritte e riassunte le spese della sua azienda domestica, usciva di casa con animo scoraggiato. La sera prima aveva dovuto ancora alzare la voce con sua cognata, che non voleva permettere che Mario entrasse nell’Orfanotrofio, dove, diceva, non vanno che i figli dei ciabattini. Era stata una nuova scena dolorosa, disgustosa, in cui Demetrio aveva dovuto ingrossare la voce e quasi bestemmiare il nome di Gesù Cristo. La pazienza ha i suoi limiti. Anche a lui piangeva il cuore di dover mostrarsi duro e inesorabile, e magari avesse potuto mantenerli tutti a biscotti e gelatine! ma, davanti alla necessità, davanti al pericolo di morir di fame, benedetto l’Orfanotrofio, benedette le raccomandazioni dei benefattori!
Scorrendo la lista delle spese fatte durante quella triste quaresima, sentiva scorrere l’acqua fredda nella schiena.
Oltre al debito grosso verso il cugino, che un giorno o l’altro bisognava pur pagare, Demetrio nella sua miseria aveva dato fondo ad altre tre mila lire sue, messe in disparte per l’avvenire, frutto di pazienti e lunghe economie, vere gocce di sangue stillato da una vita povera, senza piaceri, senza passioni, senza capricci, economizzando il quattrino giorno per giorno, sul caffè, sul tabacco, sul companatico, sul filo e sui bottoni dei suoi vestiti.
Pasqua era qui. Domani egli doveva trovarsi col padrone di casa e regolare un’altra scadenza, o il padrone avrebbe sequestrato il letto e la pentola della minestra. Dove trovarle cinquecento lire lì sulla mano?
E s’adirava di più, perché, mentre egli si struggeva il cuore in questa maniera per salvare un pagliericcio agli orfanelli, quella stupida donna, quella maledetta donna, continuava a congiurare sotto mano contro di lui, non capiva bene in che modo, ma era una congiura in cui entrava la Pardi, l’Elisa sarta, il sor Isidoro, il diavolo... E pazienza gl’intrighi! Essa faceva di tutto per rivoltargli contro l’animo dei figlioli.
Mario aveva già dichiarato con una strana insolenza che egli non voleva entrare in gabbia coi ciabattini. Essa metteva odio e antipatia dappertutto contro di lui, fin presso i bottegai e presso i vicini di casa che, incontrandolo sulle scale, si tiravano un passo indietro e lo guardavano in cagnesco come si guarda l’aiutante del boia.
“Ah, Signore Iddio!” pensava col capo basso “ci vuol proprio una gran fede per resistere! Aveva ragione il cavaliere: io mi mangerò il fegato, mi ridurrò in camicia e mi farò maledire. Se non fosse per quei poveri ragazzi, che non hanno colpa, a quest’ora sarei già scappato in America.”
Veniva su verso la piazza Beccaria, urtando sotto le scosse del suo pensiero il muro, quando si sentì a un tratto arrestare da due braccia, che caddero dure e rigide sulle sue spalle come due timoni di carrozza.
«Sei tu, a Milano, oggi?»
«Sono venuto a confessarmi in Duomo» rispose Paolino ridendo.
«Segno che hai dei peccati grossi.»
«Hai fatto colazione?»
«Non ancora.»
«Allora vieni con me al Numero Cinque in piazza Fontana e la faremo insieme.»
Paolino delle Cascine era vestito come un signore, con uno stiffelio di panno nero, aperto sopra un panciotto di velluto rossigno a fraschette, una cravatta bianca a bolle rosse, i suoi guanti neri, il suo cappello rotondo di feltro inglese, e una magnifica catena d’oro a grossi anelli che attraversava la bottoniera.
«Ti sei già messo in abito d’estate e ti sei fatto radere come uno sposino» disse Demetrio.
«Primavera innanzi viene...» cantarellò il buon Paolino, cacciando il suo lungo braccio nel braccio del cugino per tirarlo verso piazza Fontana. «Sono stato a casa tua e mi hanno detto che eri appena uscito... Che cosa mangiamo? s’intende, paga Paolino.»
Entrarono nella trattoria. Un cameriere, che non aveva ancora finito di preparare le tavole, li fece passare in una salettina appartata, stese in fretta una tovaglia, e, mentre andava collocando i piatti e le posate, prese a recitare la litania, che comincia di solito dall’osso buco e va a finire alla scaloppina coi funghi.
Paolino non era di quegli uomini che si contentano di ciò che viene offerto. Un uomo non fa un viaggio apposta sul fresco la mattina di Pasqua, non invita un caro parente per mangiare un osso buco qualunque.
«Tu comincerai» disse al cameriere, «a portare un bel piatto di salame misto scelto; intanto dirai al cuoco che faccia andare un risottino coi funghi, ma...» e finì con una scrollatina delle dita in aria, che diceva tutto. «Poi potremo discorrere di scaloppine, se piacciono a questo signore...» e rivolgendosi a Demetrio domandò: «Che te ne pare?»
«Me ne intendo così poco» rispose Demetrio con un atto raccolto di umiltà.
«Scaloppine dunque e una frittatina rognosa doré? E vino?» chiese di nuovo, rivolgendosi a Demetrio che si schermì.
«Mi garantisci il Valpolicella?»
«Valpolicella vecchio, Barolo, Caneto...» esclamò il cameriere con una serietà superficiale, che nascondeva la voglia di scherzare.
«Ma forse è meglio il bianco la mattina... C’è del Montevecchia? porta quello...»
Il cameriere uscì.
«Caro il mio caro Demetrio!» esclamò Paolino, quando furono seduti l’un contro l’altro, mettendo ancora le braccia sulle spalle al di sopra del tavolo. «Avevo paura di non trovarti.»
«Ti ringrazio ancora di quel libretto della Banca che hai messo a mia disposizione.»
«Senti, Demetrio, se fai di questi discorsi a tavola, me ne vado.»
«Se non vuoi essere ringraziato, amen. La carità resta...»
«Io sono in collera con te. Tu navighi in un mare di difficoltà, e non hai confidenza nell’unico nipote di tua madre.»
«Vedi se non ho avuto confidenza...»
«Io ti ho portato un altro libretto della Banca Popolare e mi devi giurare che lo adoprerai come se fosse tuo...»
«Caro te, non posso accettare...»
«Stia quieto, signor Pianelli, che non intendo di regalare il mio denaro a nessuno. Servizio per servizio, aspetta un poco, che metterò fuori il mio conto. Intanto farai piacere a trovarmi un buon impiego per una ventina di mille lire, che riceverò dopo la riscossa del frumento. Sento parlar bene delle Azioni zuccheri... Fai tu; mi contento anche di poco, quando sia un impiego sicuro. In secondo luogo verrai una festa alle Cascine e mi aiuterai a fare il bilancio... Quei numeri a me fanno venire il balordone... In terzo luogo... ma di questo discorreremo dopo il salame.»
Paolino riempì il bicchiere del cugino e il suo d’un vinello trasparente color dell’ambra.
«Alla tua salute, Demetrio...»
«Alla tua.»
Paolino vuotò tutto il bicchiere d’un fiato come uomo che ha bisogno o di smorzare la polvere o di riscaldare il coraggio. Sul punto di fare un gran discorso al suo confidente, sentiva che il cuore gli sfuggiva da tutte le parti. Tuttavia fece un bell’onore al piatto di salame, versò un altro bicchiere, stendendo ancora una volta le braccia al di sopra del risotto fumante, e quando giunti a mezzo delle scaloppine gli parve di essere sicuro in sella, uscì fuori di punto in bianco con questa bomba: «Che cosa direbbe mio cugino Demetrio se gli dicessi che ho voglia di prender moglie?»
«Bravo!» esclamò Demetrio con una vivacità, alla quale non era estranea l’allegria del vin bianco. «Ben fatto! e perché hai aspettato tanto? nei tuoi panni, con i tuoi denari...»
«Con la mia bellezza...» esclamò Paolino con uno scoppio d’ilarità, abbandonandosi con tutta la persona sul dosso della sedia e alzando le lunghe braccia in aria.
«Lasciamo stare la bellezza, che per gli uomini non conta: ma tu sei nato per essere papà.»
«Assassino di strada!» soggiunse l’altro guardandolo nel bianco dell’occhio.
«Chi è? chi è?» si affrettò a chiedere Demetrio. «La conosco anch’io?...»
«Io non ho detto che ho trovata la sposa, ma che voglio trovarla.»
«È una parabola, si sa.»
«No, no, Demetrio, non è una parabola; e devi aiutarmi tu a cercarla.»
«Io?»
Demetrio lasciò cadere la forchetta sul tondo e guardò fisso in viso il suo compagno.
«Sissignore, lei, signor Demetrio Pianelli...» confermò Paolino, movendo a guisa d’ariete un dito lungo a grossi nodi, come se volesse conficcare il cugino sulla sedia.
«Io, volentieri: tu sei un galantuomo, un ricco signore, non vecchio... Sei più giovane di me.»
«Son del quarantotto? io non mi ricordo nemmeno.»
«Sei anche un bell’uomo.»
Paolino tornò a sghignazzare, mostrando tutti i suoi trentadue denti bellissimi e sani.
«Non dico con ciò che tu sia un astro...» aggiunse Demetrio ridendo.
Da quanto tempo non rideva più il meschino! Quel poco focherello di gioia, che l’educazione, il mestiere, i casi e l’invidia degli uomini avevano quasi soffocato sotto la cenere, si rianimava oggi al soffio dell’amicizia. Nella gioia semplice e calda di Paolino, Demetrio sgranchiva l’anima intirizzita; dimenticava i suoi guai, i suoi debiti, il padrone di casa, sua cognata..., tutto, per un momento, e sollevando il bicchiere sopra la tavola, esclamò: «Allora, bevo alla salute della sposa!»
«Piano, bisogna prima sapere se lei è contenta.»
«Dunque c’è una lei.»
«C’è e non c’è. Per fare gli gnocchi ci vuole la farina, si sa; ma bisognerebbe sapere prima se lei è contenta di sposare uno scarafaggio simile.»
«È una contessa?»
«Cosa mi vai contessando...»
«Perché non devi essere sicuro?»
«È ciò che vado dicendo anch’io; ma ho paura...»
«Segno dunque che sei in... innamorato.»
«Corpo del diavolo!» esclamò Paolino, picchiando un gran pugno sul tavolo, «ho fin vergogna a dirlo. È vero. E dire che non ho mai creduto che si potesse perdere la testa per una sottana. Va là, farfallone, brucia anche tu le ali dorate, birbonaccio!»
La faccia di Paolino delle Cascine, illuminata anche dai riverberi del vino bianco, s’era fatta lucida e...

Table of contents

Citation styles for Demetrio Pianelli

APA 6 Citation

Marchi, E. D. (2020). Demetrio Pianelli ([edition unavailable]). Tiemme Edizioni Digitali. Retrieved from https://www.perlego.com/book/2094014/demetrio-pianelli-pdf (Original work published 2020)

Chicago Citation

Marchi, Emilio De. (2020) 2020. Demetrio Pianelli. [Edition unavailable]. Tiemme Edizioni Digitali. https://www.perlego.com/book/2094014/demetrio-pianelli-pdf.

Harvard Citation

Marchi, E. D. (2020) Demetrio Pianelli. [edition unavailable]. Tiemme Edizioni Digitali. Available at: https://www.perlego.com/book/2094014/demetrio-pianelli-pdf (Accessed: 15 October 2022).

MLA 7 Citation

Marchi, Emilio De. Demetrio Pianelli. [edition unavailable]. Tiemme Edizioni Digitali, 2020. Web. 15 Oct. 2022.