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Tutte le storie tracciano una via. Ma: esiste una sola via che le accomuna tutte? Sì, è la via parmenidea della verità e della giustizia: l'antichissima via dell' epochè. Allora di via resta soltanto una parola, che.

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L’Homo erectus e la morte irredimibile del sacro

Introduzione
Cosa significa che Dio è morto e l’abbiamo ucciso noi? In realtà, “Dio” rappresenta l’immagine compiuta del “sacro” o meglio dello spazio, che chiamiamo sacro, in cui l’umano da qualche centinaia di migliaia di anni intende conservare o meglio “chiudere” l’esperienza, individuale e collettiva, della vita passata, presente e futura. Ma: la storia dell’evoluzione, gli approdi più recenti delle scienze cognitive, le analisi e le ricerche più approfondite inerenti alle diverse forme del linguaggio umano comunicativo (alfabetica, logico-matematica, logico-causale, e in particolare il mito) dimostrano incontrovertibilmente che Noi Sapiens odiamo i circoli chiusi, i cortocircuiti comunicativi, e abbiamo imparato a giocare abbastanza bene con i mattoncini del Lego espressivo (FERRARA 2019). E quindi: non può esserci uno scopo definitivo o meglio uno spazio “chiuso” in cui avremmo imparato a rifugiarci in cerca di salvezza, una salvezza che tuttavia non esiste, non è mai esistita e, in definitiva, non può esistere, perché tutto è e resta in gioco, ogni cosa è possibile, perché ogni cosa, l’essere “è” e non è possibile che non sia (PARMENIDE). In altri termini, si tratta del de-stino stesso dell’umano ovvero lo spazio “aperto” originario, “principio e fine”, questo sì, di un’avventura, quale che sia, incerta, unica e irripetibile. GIORGIO DE SANTILLANA e HERTA VON DECHEND (1969) hanno scritto nella loro monumentale e più che mirabile opera, Il mulino di Amleto: “… Gli autori dell’Antico Testamento avevano sviluppato una certa qual presunzione, toccò poi al cristianesimo salvare e ristabilire le proporzioni cosmiche insistendo sul fatto che solo Dio poteva offrire se stesso in espiazione…”. Mediante la rappresentazione della Storia e il linguaggio del Mito questo sta a significare che Dio è morto e noi l’abbiamo ucciso, per sempre. Perché il destino dell’umano – che dall’inizio alla fine della nostra esperienza consapevole autonoetica ci appartiene e forse ci distingue da tutte le altre specie viventi – è appunto questo. Nulla di definitivo, tutto è aperto e quindi in-certo. Lo spazio che occupiamo è, resta e resterà sempre “aperto” al futuro incerto che verrà, sempre e comunque.

Sceneggiatura
Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso! Così si esprime il grande filosofo tragico Friedrich Nietzsche alla fine del secolo XIX.
Ma Dio è soltanto l’immagine del “sacro”. Quel sacro medesimo che giace sepolto per sempre. E cioè, in base alle ultime ricerche e analisi delle scienze cognitive, forse a far data dalla comparsa dell’Homo erectus (1.200.000 e.a.) o in base ad altre testimonianze da me raccolte, o meglio delle quali ho una parziale conoscenza, almeno a far data dall’avvento dell’Homo heidelberghensis (300.000-500.000 e.a.).
Leggo che: Si ritiene che i primi esseri umani non avessero caratteristiche particolarmente degne di nota rispetto alla fauna coesistente. Poi, a un certo punto (le stime vanno dai 50.000 ai 200.000 anni fa), è successo qualcosa che ha distinto i nostri antenati dal resto del regno animale […] Io ritengo che la consapevolezza autonoetica sia dipesa da caratteristiche uniche, che sappiamo essere tipiche della corteccia prefrontale umana. Per “consapevolezza autonoetica” è qui intesa, in definitiva, la capacità umana di scegliere, a piacimento, di porre fine alla propria esistenza o addirittura di mettere l’esistenza fisica dell’organismo a rischio per il mero brivido di farlo, danneggiando le altre cellule e gli altri sistemi (LeDOUX 2019).
Ma, non importa se si tratti di una caratteristica tipicamente umana che ci distinguerebbe dalle altre specie animali; quel che qui ora importa è che si discuta di una presunta peculiarità capace di mettere in discussione il destino in qualche modo precostituito di una specie umana sopravvissuta dal tempo di quel dì a oggi. Una peculiarità che in qualche modo alcuni oggi azzardano a chiamare “libero arbitrio” attribuendola alla specie dell’Homo sapiens. La nostra specie attuale.
Attualmente, le scienze cognitive ci dicono però che numerosi sono stati “ i sentieri (cfr. Heidegger e i suoi Sentieri interrotti) smarriti dell’umanità”. In particolare, a Schoningen, nella Bassa Sassonia, nel 1994 è stato scoperto un insediamento risalente a circa 320.000 anni fa: (un) insieme di manufatti e ossa animali (che) ricorda il rituale del sacrificio diffuso ancora oggi tra i mongoli. Nelle azioni rituali i teschi di animali vengono posizionati in luoghi sacri. I cacciatori di Schoningen forse conoscevano rituali legati alla magia della caccia? Homo heidelberghensis possedeva già una concezione animistica sull’interrelazione di tutte le forme di vita e magari anche sull’esistenza metafisica del principio vitale che chiamiamo anima? La sistemazione delle lance, del cranio e delle ossa di cavallo in un insieme chiuso rende questa ipotesi molto plausibile (HAARMANN 2019). Allo stesso modo di un diverso insieme che oggi chiamiamo “algebrico”.
E dunque: il luogo “sacro” rappresenta un insieme “chiuso”. Uno spazio chiuso che Noi Sapiens odiamo (FERRARA 2019). Ma su questo occorre ritornare sulla scorta di maggiori dettagli. Per ora: non solo Dio, ma prima e dopo, il sacro è morto e resta morto e noi l’abbiamo ucciso! Noi Sapiens certamente, ma forse già prima l’Heidelberghensis e ancor prima di lui, l’Erectus.
Lo stesso LeDoux sostiene che sia difficile comprendere se le specie animali diverse dalla nostra abbiano consapevolezza autonoetica per...

Table of contents

  1. Copertina
  2. E’
  3. Indice
  4. Intro
  5. La via di Parmenide
  6. La via della Tradizione
  7. Bibliografie
  8. L’Homo erectus e la morte irredimibile del sacro
  9. Il mulino di Amleto e l’origine della specie
  10. Ringraziamenti