Stato e rivoluzione
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Vladimir Lenin

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Scritto alla vigilia della Rivoluzione d'Ottobre, "Stato e rivoluzione" non è soltanto un'opera fondamentale per chiunque si interessi allo scottante problema dei rapporti tra socialismo e Stato, ma è anche il libro in cui Lenin abbandona la speculazione sui temi rivoluzionari per dare la parola alla rivoluzione stessa, affrontando in un'ottica nuova e definitiva gli annosi problemi della guerra imperialista, del capitalismo monopolistico, dell'oppressione delle masse lavoratrici e del passaggio dalla dittatura della borghesia alla dittatura del proletariato. Capolavoro di visione strategica e di tattica insurrezionale, "Stato e rivoluzione" è un classico che, generazione dopo generazione, continua a dimostrare la sua attualità, ponendosi come lettura obbligata per chiunque voglia accostarsi in prima persona alla realtà della lotta sociale e alla necessità di sovvertire l'esistente (a cura di Cristiano Armati)

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IV. SEGUITO. SPIEGAZIONI COMPLEMENTARI DI ENGELS
Marx ha detto ciò che è essenziale sull’importanza dell’esperienza della Comune. Engels è ritornato più volte su questo tema, interpretando l’analisi e le conclusioni di Marx e spiegando talvolta altri aspetti della questione con tale vigore e con tale rilievo che è necessario soffermarsi in modo particolare su queste spiegazioni.
«La questione delle abitazioni»
Nella sua opera sulla questione delle abitazioni (1872) Engels si basa già sull’esperienza della Comune quando, a più riprese, si sofferma sui compiti della rivoluzione nei confronti dello Stato. È interessante vedere come in questo tema concreto appaiano con chiarezza, da un lato, i tratti di affinità tra lo Stato proletario e lo Stato attuale, – tratti che permettono in entrambi i casi di parlare di Stato – e, dall’altro lato, i tratti che li distinguono l’uno dall’altro, o il passaggio alla soppressione dello Stato.
«Come risolvere dunque la questione delle abitazioni? Nell’odierna società, esattamente come si risolve qualsiasi altra questione sociale: mediante la graduale perequazione economica di domanda e offerta, soluzione che crea sempre nuovamente la stessa questione, e che quindi non è una soluzione. La soluzione che darebbe alla questione una rivoluzione sociale non dipende soltanto dalle condizioni del momento, ma è anche connessa a una serie di questioni di molto maggior ampiezza, fra le quali una delle più importanti è quella dell’eliminazione dell’antitesi fra città e campagna. Dato che noialtri non siamo di quelli che creano dei sistemi utopistici per l’instaurazione della società futura, dilungarci in proposito sarebbe superfluo. Però un fatto è sicuro fin da adesso, e cioè che nelle grandi città vi sono già sufficienti edifici di abitazioni da permettere di porre immediato riparo, con un’utilizzazione razionale delle abitazioni medesime, a ogni reale “insufficienza di abitazioni”. Ciò può naturalmente farsi solo a condizione che siano espropriati gli attuali proprietari o siano occupate le loro case da parte dei senza tetto o degli operai che in precedenza vivevano ammassati in numero eccessivo nelle loro abitazioni; e non appena il proletariato avrà conquistato il potere politico. una tale misura – prescritta dal bene pubblico – sarà facile a compiere esattamente quanto sono facili oggi altre espropriazioni e occupazioni da parte dell’attuale Stato» (edizione tedesca del 1887)48.
Non si prende qui in considerazione il cambiamento di forma del potere statale, ma soltanto il contenuto della sua attività. Anche per ordine dello Stato attuale si procede a espropriazioni e a requisizioni di alloggi. Dal punto di vista formale, lo Stato proletario «ordinerà» esso pure delle requisizioni di alloggi e delle espropriazioni di case. Ma è evidente che il vecchio apparato esecutivo, la burocrazia legata alla borghesia, sarebbe semplicemente incapace di applicare le decisioni dello Stato proletario.
«D’altronde si deve costatare che la “effettiva presa di possesso” di tutti gli strumenti di lavoro, la presa di possesso di tutta l’industria da parte del popolo lavoratore, sono esattamente il contrario del “riscatto” proudhoniano. Col riscatto il singolo lavoratore diviene proprietario dell’abitazione, della cascina, degli strumenti di lavoro; con l’espropriazione il “popolo lavoratore” rimane proprietario in toto delle case, delle fabbriche e degli attrezzi, e – almeno nel periodo di trapasso – sarà difficile che ne conceda l’usufrutto a singoli o a società senza corresponsione delle spese. Proprio come l’abolizione della proprietà fondiaria non è l’abolizione della rendita fondiaria, ma il suo trasferimento, sia pure in forma modificata, alla società. La presa di possesso effettiva di tutti gli strumenti di lavoro da parte del popolo lavoratore non esclude dunque affatto il permanere dei rapporti di affittanza»49.
Esamineremo nel capitolo seguente la questione qui accennata, e cioè quella delle basi economiche dell’estinzione dello Stato. Engels si esprime con estrema prudenza dicendo che lo Stato proletario «probabilmente», «almeno nel periodo transitorio», non distribuirà gli alloggi gratuitamente. L’affitto degli alloggi, proprietà di tutto il popolo, a queste o quelle famiglie col corrispettivo di una certa pigione, suppone dunque la percezione di questa pigione, un certo controllo e l’istituzione di certe norme di ripartizione degli alloggi. Tutto ciò esige una certa forma di Stato, ma non rende affatto necessario uno speciale apparato militare e burocratico, con funzionari che godano d’una situazione privilegiata. Il passaggio a uno stato di cose tale in cui gli alloggi possono essere assegnati gratuitamente è connesso alla totale «estinzione» dello Stato.
Parlando dei blanquisti50 che, dopo la Comune e influenzati dalla sua esperienza, aderirono alle posizioni di principio del marxismo, Engels così definisce di sfuggita la loro posizione: «Necessità dell’azione politica del proletariato e della sua dittatura, come fase di transizione verso l’abolizione delle classi e, con esse, dello Stato»51.
Dilettanti di critica letterale o borghesi «distruttori del marxismo» vedranno forse una contraddizione tra questo riconoscimento dell’«abolizione dello Stato» e la negazione di questa stessa formula, considerata come anarchica, nel passo da noi già citato dell’Antidühring. Non ci sarebbe di che meravigliarsi nel vedere gli opportunisti classificare anche Engels fra gli «anarchici»: accusare gli internazionalisti di anarchismo è un’abitudine oggi sempre più diffusa fra i socialsciovinisti.
Il marxismo ha sempre insegnato che con l’abolizione delle classi si compie anche l’abolizione dello Stato. Il passo a tutti noto dell’Antidühring sull’«estinzione dello Stato» rimprovera gli anarchici non tanto di essere per l’abolizione dello Stato, quanto di pretendere che sia possibile abolire lo Stato «dall’oggi al domani».
Poiché la dottrina «socialdemocratica» oggi dominante ha completamente deformato l’atteggiamento del marxismo verso l’anarchismo circa la questione della soppressione dello Stato, sarà particolarmente utile ricordare una polemica di Marx e di Engels con gli anarchici.
Polemica con gli anarchici
Questa polemica risale al 1873. Marx ed Engels avevano pubblicato, in una raccolta socialista italiana52, degli articoli contro i proudhoniani, «autonomisti» o «anti-autoritari», articoli che solo nel 1913 comparvero in traduzione tedesca nella «Neue Zeit».
«Se la lotta politica della classe operaia – scriveva Marx deridendo gli anarchici e la loro negazione della politica – assume forme violente, se gli operai sostituiscono la loro dittatura rivoluzionaria alla dittatura della classe borghese, essi commettono il terribile delitto di leso-principio, perché per soddisfare i loro miserabili bisogni profani di tutti i giorni, per schiacciare la resistenza della classe borghese, invece di abbassare le armi e di abolire lo Stato, essi gli danno una forma rivoluzionaria e transitoria»53.
È contro questa «abolizione» dello Stato, – e solo contro questa, – che Marx si levava nella sua polemica contro gli anarchici! Non contro l’idea che lo Stato scompare con la scomparsa delle classi, o sarà abolito con l’abolizione delle classi, ma contro la rinuncia degli operai a fare uso delle armi, della violenza organizzata, vale a dire dello Stato, che deve servire a «schiacciare la resistenza della classe borghese».
Perché non si travisi il vero significato della sua lotta contro l’anarchismo, Marx sottolinea intenzionalmente «la forma rivoluzionaria e transitoria» dello Stato necessario al proletariato. Il proletariato ha bisogno dello Stato solo per un certo periodo di tempo. Quanto all’abolizione dello Stato, come fine, noi non siamo affatto in disaccordo con gli anarchici. Affermiamo che per raggiungere questo fine è indispensabile utilizzare temporaneamente, contro gli sfruttatori, gli strumenti, i mezzi e i metodi del potere statale, così com’è indispensabile, per sopprimere le classi, stabilire la dittatura temporanea della classe oppressa. Nel porre la questione contro gli anarchici, Marx sceglie il modo più incisivo e più chiaro: abbattendo il giogo dei capitalisti, gli operai devono «deporre le armi» o rivolgerle contro i capitalisti per spezzare la loro resistenza? E se una classe fa sistematicamente uso delle armi contro un’altra classe, che cosa è questo se non una «forma transitoria» di Stato?
Si domandi quindi ogni socialdemocratico: è così che egli ha posto il problema dello Stato nella polemica contro gli anarchici? È così che il problema è stato posto dall’immensa maggioranza dei partiti socialisti ufficiali della Seconda Internazionale?
Engels sviluppa le stesse idee in modo ancor più particolareggiato e popolare. Egli deride innanzi tutto la confusione d’idee dei proudhoniani che si chiamavano «anti-autoritari», negavano cioè ogni autorità, ogni subordinazione, ogni potere. Prendete una fabbrica, una ferrovia, un piroscafo in alto mare, – dice Engels, – non è evidente che senza una certa subordinazione, e quindi senza una certa autorità o un certo potere, non è possibile far funzionare nemmeno uno di questi complicati apparati tecnici, fondati sull’impiego delle macchine e la metodica collaborazione di un gran numero di persone?
«Allorché io sottoposi simili argomenti ai più furiosi anti-autoritari, – scrive Engels, – essi non seppero rispondermi che questo: “Ah! Ciò è vero, ma qui non si tratta di un’autorità che noi diamo ai delegati, ma di un incarico!”. Questi signori credono aver cambiato le cose quando ne hanno cambiato i nomi»54.
Dopo aver così dimostrato che autorità e autonomia sono nozioni relative, che il campo della loro applicazione varia secondo le differenti fasi dello sviluppo sociale, e che è assurdo considerarle come qualcosa di assoluto; dopo aver aggiunto che il campo di applicazione delle macchine e della grande industria va sempre più estendendosi, Engels passa dalle considerazioni generali sull’autorità al problema dello Stato.
«Se gli autonomisti – egli scrive – si limitassero a dire che l’organizzazione sociale dell’avvenire restringerà l’autorità ai soli limiti nei quali le condizioni della produzione la rendono inevitabile, si potrebbe intendersi; invece, essi sono ciechi per tutti i fatti che rendono necessaria la cosa, e si avventano contro la parola.
«Perché gli anti-autoritari non si limitano a gridare contro l’autorità politica, lo Stato? Tutti i socialisti sono d’accordo in ciò, che lo Stato politico e con lui l’autorità politica scompariranno in conseguenza della prossima rivoluzione sociale, e cioè che le funzioni pubbliche perderanno il loro carattere politico, e si trasformeranno in semplici funzioni amministrative veglianti ai veri interessi sociali. Ma gli anti-autoritari domandano che lo Stato politico autoritario sia abolito d’un tratto, prima ancora che si abbiano distrutte le condizioni sociali, che l’hanno fatto nascere. Essi domandano che il primo atto della rivoluzione sociale sia l’abolizione dell’autorità. Non hanno mai veduto una rivoluzione questi signori? Una rivoluzione è certamente la cosa più autoritaria che vi sia; è l’atto per il quale una parte della popolazione impone la sua volontà all’altra parte col mezzo di fucili, baionette e cannoni, mezzi autoritari, se ce ne sono; e il partito vittorioso, se non vuol avere combattuto invano, deve continuare questo dominio col terrore che le sue armi ispirano ai reazionari. La Comune di Parigi sarebbe durata un sol giorno, se non si fosse servita di questa autorità di popolo armato, in faccia ai borghesi? Non si può al contrario rimproverarle di non essersene servita abbastanza largamente?
«Dunque, delle due cose l’una: o gli anti-autoritari non sanno ciò che si dicono, e in questo caso non seminano che la confusione; o essi lo sanno, e in questo caso tradiscono il movimento del proletariato. Nell’un caso e nell’altro essi servono la reazione»55.
In questo passo si fa accenno a questioni che devono essere esaminate in connessione con il pro...

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