L'opinione pubblica ai tempi del 2.0
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L'opinione pubblica ai tempi del 2.0

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L'opinione pubblica ai tempi del 2.0 è un saggio, scritto in collaborazione col dipartimento di Linguistica dell'Università di Cagliari, che racchiude fra le sue righe un tentativo, oggigiorno più che mai indispensabile, di comprendere l'evoluzione / involuzione del rapporto tra consumatori e produttori di notizie e informazioni, all'interno di un sistema mediato dal grande oceano informatico di Internet, solcato da miriadi di messaggi multimediali, nozioni e testi.
Il mondo del giornalismo e la figura del giornalista, che nell'ultimo decennio hanno conosciuto rivoluzioni e trasfigurazioni radicali, vengono analizzati nel loro rapporto con le dinamiche moderne che si sono intessute tra opinione pubblica e la rete, soprattutto nella sua più recente incarnazione del "social web" che distrugge i rapporti verticali della comunicazione standard e rende tutti gli utenti potenziali fruitori ed "editori" di sé stessi.
Il saggio parte dagli albori del giornalismo e tenta di descrivere, anche tramite alcuni casi studio, la situazione odierna di tali rapporti e di individuare nuovi potenziali spiragli per la definizione di modelli nuovi, e virtuosi, di vero giornalismo "due punto zero", anche nella previsione di scardinamento da logiche professionali ormai datate, per aprirsi ai nuovi scenari dell'informazione.

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Capitolo terzo. Il presente: Web, informazione, pubblico

Giornalismo online tra underground digitale e primi esperimenti di user content generation

L'11 settembre del 2001 ha segnato un giro di boa importante nella storia contemporanea, specialmente nel mondo dell'informazione. La presa di posizione radicale che i media “classici” americani presero nel diffondere informazioni riguardo la tragedia, così come durante l'intera successiva guerra in Iraq, fu molto spesso disinformante e schierata con l'estabilishment a tal punto che risultò complicato approvvigionarsi a fonti istituzionali effettivamente obiettive. Il Web era ancora molto poco normato da un punto di vista non solo legale ma anche etico per ciò che riguardava l'informazione. Ben presto sono spuntati contenuti, siti, blog, articoli o pseudo-articoli “alternativi” che, al contrario delle fonti e dei mezzi istituzionali, esaminavano i fatti con più o meno sguardo critico, obiettività e capacità d'analisi, e fornivano un ventaglio di ipotesi, resoconti, opinioni e persino saggi con punti di vista diversi rispetto ai media ufficiali, aderenti all'area della controinformazione che invece vedeva nella rete libera la vera salvezza dalla stasi opaca dell'informazione istituzionale. Si trattava di un ambiente ancora underground, vale a dire frequentato e curato soprattutto da utenti appassionati e talvolta troppo poco avvezzi alla professione dello scrivere per informare. In altri casi si trattava invece di studiosi, esperti o semplici cittadini che intendevano esprimere un'opinione più moderata tramite ilnuovo strumento della rete.
Le conseguenze della nascita di questo nuovo fronte della comunicazione para-giornalistica erano due: la prima, più importante e influente, era la mutazione del ruolo dell'utente da semplice fruitore a produttore di contenuti, perciò di potenziale informatore. Chiunque sul web era ed è libero di ricevere input, segnali, messaggi, articoli e fare del newsmaking in maniera innovativa rispetto al passato, un rimpasto delle informazioni ottenute per confezionare analisi, commenti e disamine di quanto veniva scritto. Il prodotto era qualcosa che, nella maggior parte dei casi, oscillava tra la controinformazione e la disinformazione, tuttavia segnava un passaggio importante di ruoli e gerarchie tra chi produceva notizie e chi le consumava.
La seconda conseguenza fu la paventata minaccia economica alla stampa, in particolare cartacea. Nel primo decennio degli anni Duemila cresceva lenta ma inesorabile la fiducia (talvolta ingiustificata), da parte degli utenti più giovani, nei confronti di molti dei contenuti amatoriali presenti sul Web: contenuti che talvolta (ma non sempre, col nascere di diverse testate giornalistiche interamente online)sirivelavano scritti in maniera superficiale, ma che grazie alla sempre maggiore penetrazione di Internet nelle case diventavano non solo più immediatamente accessibili ma soprattutto gratuiti. Elemento che in buona misura ha influito sul calo delle letture di carta stampata nel corso degli anni e, in misura nettamente minore, sugli ascolti di televisione e radio. In Italia ciò non rappresentava una vera minaccia per la stampa tradizionale, ancora molto forte soprattutto per via della scarsa alfabetizzazione informatica della popolazione. L'11 settembre e il giro di vite mediatico sui fatti di quella giornata rappresentavano perciò una svolta della storia dell'informazione, all'interno della quale il Web si ritagliava lentamente una prima nicchia di fiducia anche tra chi non era propriamente dedito al suo utilizzo, per esempio le fasce più adulte.
Sul piano strutturale la Rete si configurava come un sistema fondamentalmente democratico soprattutto per la potenzialità di offerta e condivisione di opinioni e notizie a costi minimi. Grazie a siti, blog e piattaforme, i costi dell'ingresso nel mondo della produzione di informazione erano praticamente inesistenti. Ciò ha fatto in modo che Internet diventasse terreno privilegiato per l'informazione cosiddetta alternativa. Le prime realtà del settore in Italia, da Redattore Sociale a Indymedia, dimostravano la notevole vivacità di questo substrato della controinformazione, che trovava nella rete libera lo sbocco più immediato. Internet diventava anche il luogo di coltura per la sorveglianza attiva dell'informazione istituzionale, con elenchi di notizie censurate come Project Censored fino al più recente Wikileaks. E diventava anche l'habitat naturale più idoneo per la diffusione di pettegolezzi e rumours: un esempio era il Matt Drudge Report, sito dedicato ai pettegolezzi sull'ambiente americano, sul quale comparivano anche le prime indiscrezioni sul caso Lewinsky.
In linea generale, almeno nei primi anni di vita si verificava la rampante tendenza di riversare dentro la rete tutta quell'informazione (o pseudo tale) che non trovava spazio nella stampa classica, anche in virtù del fatto che, a parte alcuni sfortunati progetti che avevano comunque vissuto degli anni di gloria, la maggior parte dell'informazione “ufficiale” che si poteva trovare su Internet era una copia, integrale o parziale, del materiale già edito sugli altri canali, non offrendo quindi un vero “plus” al fruitore del servizio digitale. Lo spazio per testi e immagini prodotte del pubblico era quindi molto ampio. Dopo l'11 settembre tale spazio si rivelava un terreno fertile per la fioritura di disparate teorie del complotto, le quali, per quanto permettessero talvolta l'emersione di aspetti poco indagati dalla stampa e coni d'ombra su varie vicende, risultavano comunque spesso dispersive e a volte persino disinformanti.
Il problema della disinformazione sul Web non si è arginato col tempo: nonostante la libertà permessa dalla rete nella consultazione diretta di fonti e informazioni, la superficialità nella fruizione delle notizie sul web non è diminuita. Nonostante il processo di crescita dell'informazione alternativa seriasia continuamente in atto da più di quindici anni, è sempre il timore della bufala e del complottismo spiccio a prevalere quando si tratta di esaminare l'effettiva funzionalità della rete in rapporto alla salute dell'opinione pubblica.
I dati raccolti dalla Online Publisher Association (Stringa, 2009) mostravano come ben l'83 % dei giovani americani e degli entusiasti della rete non ritenessero che la lettura dei giornali cartacei fosse un aspetto importante della propria vita, vedendo nei blog una forma di potere democratico contro la loro crescente inaffidabilità. Uno studio piuttosto ambizioso denominato Digital Journalism Credibility Project inoltre, pubblicato per la prima volta dall'Online News Association (Staglianò, 2001), dimostrava che mentre il 47,9 % del campione interpellato fosse convinto che i siti fornissero un'immagine completa delle notizie, solo il 17 % dei colleghi giornalisti era d'accordo con tale affermazione. In più di dieci anni la situazione è cambiata per certi versi in peggio, in particolar modo per ciò che concerne la capacità di discernimento da parte del pubblico di notizie vere da quelle parzialmente o totalmente false. Per quanto la considerazione negativa della professione giornalistica in Italia da parte del pensare comune sia talvolta intimamente legata alla presenza dell'Ordine professionale, resta il fatto portante che Internet, al contrario di ciò che i più ottimisti (e superficiali) detrattori del ruolo del giornalista affermano, non garantisce sempre la trasparenza. Al contrario l'estrema facilità con cui è possibile fabbricare notizie false sul supporto digitale, dal vago sapore degli antichi hoaxes ottocenteschi (ma senza alcuna pretesa narrativa), rende il ruolo del newsmaker ancora più importante e delicato rispetto al passato.
La Urban Legends Reference Page (http://www.snopes2.com/index.html) è un esempio di questa funzione di scrematura: più di dieci anni fa il sito aveva fronteggiato un'imponente mole di lavoro a causa dell'ondata di teorie della cospirazione riguardo gli attentati dell'11 settembre, alcune delle quali estremamente fantasiose. Se da un lato i fatti riguardo la distruzione delle Torri Gemelle avevano provocato una reazione conservatrice molto forte tra i quotidiani americani, dall'altro canto la rete esplodeva di teorie del complotto e “mormorii” dei più disparati, che per certi versi la rendevano una vera giungla di messaggi in cui era difficile fare un'operazione di setaccio.
Erano ancora gli albori della rete e la massa informe di messaggi informativi rispecchiava la scarsa obiettività del pubblico nell'utilizzare e fruire i contenuti online, nonché di padroneggiarne i nuovissimi sistemi di diffusione e le forme che essa determinava.
Restava comunque fondamentale il fatto che, riconfigurando il ruolo dell'utente in produttore di contenuti, i nuovi mezzi che Internet metteva a disposizione dell'utenza permettevano un'ingerenza sempre maggiore del cittadino medio in quel lavoro che si può includere nel procedimento di agenda cutting,tradizionalmente appannaggio dei mass media ufficiali. In questo modo veniva permessa sia una più ampia visibilità a fatti che normalmente non ne avrebbero goduto, sia un proliferare potenzialmente maggiore di notizie inesatte, incomplete o di scarso interesse pubblico.


Il trattamento della notizia

«Filtrare le informazioni estranee è una delle funzioni base della coscienza.Se tutto ciò che i nostri sensi hanno a disposizione richiedesse la nostra attenzione in ogni momento, non saremmo in grado di riuscire a superare neanche una singola giornata». Sono le parole di Barry Schwarz nel suo libro The paradox of choice: why more is less (“Il paradosso della scelta: perché avere di più è avere di meno”) (Schwarz, 2004: 27). L'autore si riferisce in particolare all'ambito commerciale, senza soffermarsi su quello riguardante il mercato delle informazioni che tuttavia ci rientra appieno, specialmente per quanto riguarda Internet.
Alla base del passaggio da carta e broadcast tradizionale al web c'è infatti la sostanziale gratuità di fruizione della maggior parte dei contenuti. Oggi come più di dieci anni fa, una delle parole chiave nel mondo di Internet è la gratuità.
Nonostante i costi di manutenzione e di hosting (il costo per mantenere il proprio sito ospitato su un server), anche dal lato di chi produce informazione gli esborsi prettamente strutturali sono relativamente bassi, decisamente meno esosi di quelli di una rete televisiva o di un giornale cartaceo. Ciò ha prodotto due fondamentali conseguenze: la prima è stata il lento ma inesorabile ed esponenziale sovraccarico di informazioni sul web. La seconda è stata la diffusione di una repulsione quasi inconscia a pagare per qualcosa che si trovi sul Web, come se mettere un contenuto (sia esso un testo, una canzone, un film) su Internet autorizzi un suo potenziale uso gratuito.
La confusione tra costi strutturali (quasi inesistenti per un media digitale, sostanziosi per un giornale cartaceo) e valore del prodotto è sempre stata una costante del mondo virtuale della rete, e ha influenzato pesantemente il modo di concepire e distribuire la notizia, in virtù proprio del fatto che essa venisse percepita come un qualcosa di necessariamente gratuito e, nel caso di stampa non ufficiale, non sempre valido o veritiero.
Del resto già ai suoi tempi Lippmann sosteneva che «il cittadino pagherà per il suo telefono, il suo biglietto ferroviario, la sua automobile, i suoi divertimenti. Ma non paga visibilmente per le sue notizie» (Lippmann, 1963: 258-259). Oltre a ciò anche la fruizione del messaggio nella sua forma di testo più video e audio su un supporto elettronico ha influito nel processo di fabbricazione e diffusione della news, processo che ancora oggi è oggetto di studio dagli operatori del settore. Tutti questi elementi influiscono sul modo in cui una notizia viene prodotta e trattata nel mondo della rete digitale. Per comprendere al meglio come funziona un messaggio informativo sul web, è necessario anche capire come vengono fruiti i contenuti. Col massificarsi della comunicazione e la pluralità di supporti concentrati sul mondo virtuale della rete, la notizia in quanto prodotto perde di spessore e intensità. Si tratta del risultato di un processo iniziato già con la diffusione telegrafo (cfr. Postman, 1985), portato a un livello assai più elevato nel rapido mondo di Internet. Se dieci anni fa era uso comune scrivere per internet come su carta, con gli anni la velocità e la fugacità di fruizione hanno fatto in modo che il testo scritto subisse una pesante rivisitazione. Diversi studi, tra cui quello del guru dell'usabilità Jakob Nielsen (il quale già nel 1997 descriveva queste dinamiche), sostengono che le persone leggono di rado i testi digitali parola per parola, piuttosto scansiscono la pagina, cogliendo elementi individuali. Quasi l'80 % del campione su cui Nielsen ha lavorato palesava effettivamente questo metodo d'uso. Una rapida occhiata, qualche pausa su alcune parole e via. Soltanto il 16 % dimostrava di aver letto interamente il testo (cfr. Nielsen, 1997). Alla luce di questo primo dato è evidente che una notizia, per essere realmente consumata appieno sulla rete, dev'essere scritta in modo tale che l'utente più frettoloso riesca a coglierne comunque i punti salienti con un'attenzione e una profondità di lettura ancora inferiore rispetto a quella già bassa, riservata al giornale classico (video, audio o stampato). Pertanto è necessario – per catturare questa attenzione così fugace – inventare una sintassi nuova e un'estetica differente.
Uno degli errori più grossolani che la stampa commette ancora oggi èproprio proporre contenuti testuali formulati “per il giornale”: un'abitudine che si riscontra anche in alcune testate riservate unicamente al web, pubblicando contenuti corposi senza fare i conti con l'ostilità dello schermo luminoso nei confronti della lettura.
Perché sia consumata adeguatamente da un pubblico di lettori ormai molto esigente, è bene che la notizia sia redatta in maniera concisa, raddensata e scandita su più paragrafi. Il modo di comunicare e scrivere diventa più strutturato, persino meccanizzato (complice anche l'ottimizzazione sui motori di ricerca), e per quanto accurata la trattazione dell'argomento resta vincolata ai parametri di piacevolezza grafica e scorrevolezza.
Con Internet il potere decisionale passa quasi totalmente nelle mani dell'utente: la verticalità della proposta informativa scema col passare degli anni, man mano che cominciano a spuntare proposte differenti in favore di un livellamento dei ruoli tra fornitore e fruitore, sancito definitivamente con l'avvento del web 2.0, in particolare del social networking.
Un altro elemento fondamentale nell'elaborazione della notizia per la rete riguarda il suo contenuto. A partire da metà degli anni Duemila si è fatto sempre più importante il ruolo dell'ottimizzazione (la categorizzazione di contenuti sulla base di ricerche, interessi, preferenze dell'utenza); una parte (quella più content related) di ciò che più avanti con gli anni verrà identificato col nome di Seo (Search Engine Optimization, ovvero ottimizzazione per i motori di ricerca) si palesava con la nascita dei contenuti on demand. Tali contenuti venivano appunto selezionati e organizzati dall'utenza sulla base dei propri interessi, dando vita ai primi siti di aggregazione come i giornali personalizzati e fornendo i primi spunti per la costruzione dei sistemi di distribuzione Rich Site Summary (abbreviato in Rss), il primo dei quali fu lanciato da Netscape ed è tutt'ora esistente.
La tematizzazione di un contenuto è basilare tanto quanto l'estetica per essere fruito appieno e da una larga fascia di utenza.Già nel 1995 Nicholas Negroponte, informatico statunitense, definiva questa tipologia di giornale personalizzato (ancora non sviluppato) il daily me, che avrebbe funzionato grazie all'aiuto di programmi intelligenti. Un'idea che si era concretizzata poi grazie a un altro esperto del settore, Walter Bender, sostituto Negroponte alla guida del Media Lab. Negroponte aveva partecipato alla creazione di una realtà informativa che doveva permettere l'interazione tra utente e software nello sviluppo di un database dei gusti personali: qualcosa che avrebbe poi condotto alle moderne strategie di storage dei dati personali a scopo di marketing, messa in opera da aziende come Facebook e Google. Una definizione che non aveva veicolato solo un'accezione positiva, come si vedrà più avanti. Secondo Bender la personalizzazione del contenuto funzionerebbe se permette a un utente di entrare davvero in contatto con notizie per lui interessanti, implicitamente scremando tutto il resto. Se da un lato ciò poneva il rischio della eccessiva frammentazione (e di conseguenza scarsa comunicazione interna) di un target che cominciava a delinearsi in modo capillare, dall'altro sembrava essere un processo inevitabile in un ambiente così libero e ricco come quello che si creava sulla rete.Per avvicinarsi alle aspettative del cliente, il Washington Post ha sviluppato dei servizi di personalizzazione. «Vogliamo stringervi le mani uno per uno» diceva il responsabile Tim Ruder ai suoi 3 milioni di utenti. Era l'evoluzione di quella tematizzazione che si svilupperà in svariate aree, dall'ambito wiki (contenuti modificabili, liberamente fruibili da tutti, tematizzati e lessicalizzati) a quello Seo ordinato su base di keywords che descrivono i vari argomenti, permettendo la selezione secondo i propri interessi. Anche il Los Angeles Timesseguirà l'esempio del Post con il suo MyNews, sviluppando addirittura un proprio motore di ricerca. Il rischio di disgregazione della società sul web era presente ma passava in sordina, perdendo pericolosità di fronte ai grandi vantaggi che la categorizzazione e la tematizzazione di notizie e contenuti offrivano al popolo della rete, fino ai moderni canoni di classificazione sui siti social.
A completare la lista di requisiti per una buona leggibilità della notizia 2.0, oltre una scrittura asciutta e accattivante e un tema categorizzato e ben definito, si aggiunge un terzo elemento: la profondità del testo, ovvero l'intertestualità. I link, rimandi ad altri pezzi o articoli simili, sono stati la vera e autentica innovazione del testo digitale rispetto a quello per la carta. Dopo le prime incertezze riguardo l'ipotetico azzardo nell'indirizzare il lettore fuori dal proprio sito, ha prevalso l'ovvia tendenza verso l'arricchimento della lettura online, assecondando quelle che sarebbero diventati i suoi trend. Puntando a e da fonti originali o approfondimenti, i link aiutano nella verifica di conclusioni a cui l'autore del post è giunto e ne permettono un approfondimento o un completamento. L'importanza che il link ha conseguito negli anni ha fatto sì che l'autore ipertestuale concepisca sin dall'inizio (complice l'alto valore che i motori di ricerca attribuiscono alla presenza di link utili nell'ottimizzazione di un contenuto) il proprio testo tenendo conto della loro presenza. Graficamente il link è riconoscibile subito come elemento di snodo narrativo (si inserisce esteticamente nella grafica del pezzo) e permette all'utente di spostarsi nello spazio della narrazione (nel passato, nel futuro, dentro e fuori dal racconto), fornendo un'esperienza di lettura differente rispetto a quella tradizionale, pertanto ancora in divenire.
Da merce confezionata e venduta a spazio di confronto col lettore; cambiando le gerarchie (generalmente sulla rete le notizie non si pagano, al contrario è il lettore a scegliere se leggerla oppure cambiare pagina), cambia anche il ruolo del testo, che passa dall'essere un veicolo unidirezionale di comunicazione a spazio “a doppio senso di marcia”, dove lettore e scrittore si incrociano orizzontalmente. Se catturare l'attenzione del lettore è da sempre una delle caratteristiche base di una notizia, sul digitale questo elemento svolge un ruolo ancora più cruciale. Coinvolgere il lettore significa non solo interessarlo, ma convincerlo a soffermarsi sul sito e approfondirne la navigazione. Il mondo del digitale si è arricchito di stimoli, ma la fruizione è diventata sempre più frettolosa a fronte di un'offerta amplissima: catturare l'attenzione si rivela dunque una missione non facile.


Raccontare (e guadagnare) ai tempi di Internet

Raccontare una storia su Internet è ben diverso dal farlo sulla carta stampata: è un compito che riguarda persino il ripensamento dei canoni narrativi adoperati nella letteratura giornalistica, alla luce dei meccanismi illustrati sopra. Come spiegava Ellen Kampinsky, caporedattrice del defunto mensile Talk, «lo storytelling sul web richiede u...

Table of contents

  1. Copertina
  2. L'opinione pubblica ai tempi del 2.0
  3. Indice
  4. Introduzione
  5. Capitolo primo. Il passato remoto: retrospettiva del giornalismo
  6. Capitolo secondo. Il passato prossimo: dodici anni di radicale cambiamento
  7. Capitolo terzo. Il presente: Web, informazione, pubblico
  8. Conclusioni
  9. Bibliografia