Storia di una capinera
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Storia di una capinera

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"Storia di una capinera" è un romanzo scritto da Giovanni Verga nel 1869. La protagonista del romanzo è Maria, all'epoca diciannovenne, rimasta orfana di madre da bambina e rinchiusa all'età di sette anni in un convento di Catania, destinata a diventare monaca di clausura per motivi di indigenza economica (il padre è un «modestissimo impiegato»). A causa dell'epidemia di colera, che nel 1854 colpì la città siciliana, Maria ha l'occasione di trasferirsi nella casetta del padre a Monte Ilice e vivere così con la famiglia dal 3 settembre 1854 al 7 gennaio 1855.
« Siamo degli umili fiorellini avvezzi alla dolce tutela della stufa, che l'aria libera uccide. »
(Lettera di Maria del 2 novembre 1854). L'autore Giovanni Carmelo Verga (Catania, 2 settembre 1840 – Catania, 27 gennaio 1922) è stato uno scrittore e drammaturgo italiano, considerato il maggior esponente della corrente letteraria del verismo. Introduzione a cura di Giovanni Fantasia
Nato a Gaeta nel 1984 e giornalista pubblicista dal 2008, ha collaborato con quotidiani, periodici, programmi radiofonici e siti internet di informazione. Laureato in Industria Culturale e Comunicazione Digitale, ha ricoperto l'incarico di addetto stampa del Sindaco di Gaeta dal 2007 al 2012.

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1 Ottobre

Se sapessi, Marianna! Se sapessi! Il peccataccio che ho fatto! Mio Dio! come avrò il coraggio di dirtelo? Non mi sgridare! A te, a te sola lo confesserò... ma all'orecchio, veh! E sommessamente... Non mi guardare in viso! Abbracciami e ascolta...
Ho ballato! Intendi? Ho ballato! Ma senti... non mi sgridare! Non c'era nessuno... il babbo, Giuditta, Gigi, la mamma, Annetta, i signori Valentini... e il signor Nino... Anzi ho ballato con lui... Ascolta! Mi giustificherò... vedrai che non sono stata io... che non fu mia colpa... che mi costrinsero... L'altra sera i signori Valentini portarono il loro armonium; suonò Annetta, poi anche Giuditta; ballarono tutti, Annetta, mia sorella, e un poco anche Gigi. Si dovette disfare il letto di mia sorella per formare la sala da ballo. Dopo che Giuditta ebbe finito di ballare, il signor Nino venne ad invitarmi, io mi sentivo ardere il viso e avrei voluto trovarmi cento piedi sotterra. Balbettavo, non sapevo che dire. Rifiutai, rifiutai venti volte, te lo giuro; tutti ridevano e battevano le mani; il babbo venne a prendermi per la mano, ridendo anche lui mi accarezzò, mi disse che po' poi non c'era il gran male a ballare anch'io. Tentai inutilmente far comprendere che non sapevo ballare affatto, che non mi avevano insegnato neanche cotesto; il signor Nino s'impegnò di dirigermi lui; non ci vedevo più provavo le vertigini sentivo un ronzio alle orecchie, e le gambe mi tremavano; mi lasciai condurre, mi lasciai trascinare senza sapere io stessa quello che facessero di me. Quanto soffersi, Marianna! Eppure... allorché egli mi prese per la mano... allorché mi passò il braccio attorno alla vita... mi sembrò che la sua mano ardesse, che mi bruciasse il sangue nelle vene, che mi facesse scorrere un'onda di gelo sino al cuore! Ma nello stesso tempo parvemi che mi confortasse. Il cuore mi si spezzava sentendo battere quell'altro cuore contro il mio! Tutti avranno riso di me! Ridi anche tu. Si, anch'io adesso ne rido. Chi è delle fanciulle della nostra età che non abbia ballato almeno venti volte? Chi sa se in principio provarono tutte quello che io provai? Ma in seguito ti confesso che quella musica, quei volti allegri, le parole che egli mi sussurrava all'orecchio per rincorarmi, la sua mano che stringeva la mia, fecero quasi svanire il mio turbamento, anche direi la vergogna... Povera Marianna! Non mi rimproverare! Quasi quasi mi parve d'esser felice... Marianna mia! Perdonami! Non lo farò più! Del resto spero che mi lasceranno tranquilla; avranno riso abbastanza della mia tonaca e della mia goffaggine... anche lui... il signor Nino... Ma no! Son sicura che egli non volle farmi ballare per ridere di me... ma la sua intenzione era di farmi piacere... e difatti è stato troppo buono per me, per una povera educanda che non sapeva muoversi, che inciampava ad ogni passo, che soffriva di capogiro... egli che balla così bene! Se tu l'avessi visto ballare con Giuditta! Lei sì che sa ballare, lei! Dopo si fece un po' di musica. Annetta e Giuditta cantarono alcune belle ariette da teatro. Vollero in seguito che cantassi anch'io ad ogni costo! Dimmi tu che cosa avrei potuto cantare all'infuori del Salve Regina? Ebbene, dissero che si contentavano anche del Salve Regina! Volevano prendersi spasso di me certamente, il mio babbo pel primo che mi costrinse a cantare! Nel coro, tu lo sai bene, cantavamo quasi al buio, dietro le gelosie, col velo sul viso, infine fra persone intime; ma cantare lì, allo scoperto, fra tanta gente! C'era anche il signor Nino! Pure dovetti cantare! non le parole, s'intende, ma la sola musica. La voce mi tremava, mi mancava il fiato; ebbero però la bontà di essere indulgentissimi, di non ridere, ed anzi di applaudirmi. Pare che la sia davvero una bella musica, quella del Salve Regina! Ho visto il signor Nino così commosso! E guardarmi con certi occhi! Lui ch'è sempre allegro e motteggevole! Ti ho scritto tutto quello che faccio, tutto quello che penso, tutti i miei divertimenti, tutti i miei peccatacci, a costo anche di buscarmi da te una ramanzina... Io non avrei osato confessarmene con quel buon vecchio del nostro cappellano... ma se non ti narrassi tutto, sorella mia, se non mi sfogassi con te raccontandoti tutte queste cose, mi pare che esse mi opprimerebbero. Ho bisogno di parlartene a lungo, di rammentarne tutti i particolari, di pensarci sopra, e di parlarne a me stessa, di vederle scritte sopra la carta, di sognarle... Ci son dei momenti in cui questa folla di pensieri fermenta, e mi riempie la testa di vertigini, m'inebbria, mi stordisce. Son folle, tutte queste nuove sensazioni saranno troppo violente per me, abituata alla pace ed al raccoglimento claustrale. Io son felice di poterne parlare almeno con te, di poter riversare nel tuo cuore quella parte del mio che trabocca. Scrivimi, scrivimi subito. Non far passare tanto tempo prima di rispondermi. Confortami, discorri colla tua povera amica, ch'è inquieta, sconcertata da tutti cotesti rumori, da tutte coteste novità, da tutte coteste nuove impressioni, e trema come un uccelletto, spaventato persino dai curiosi che stanno ad osservarlo, i quali non avranno certamente intenzione di fargli del male, ma gliene fanno col solo stargli d'attorno. Vorrei piangere, vorrei ridere, vorrei cantare, vorrei stare allegra. Ho bisogno di una tua lettera. Ho bisogno di parlare con te, intendi? Abbracciami, Marianna mia... Se potessi piangere, e nasconderti il viso in seno!

10 Ottobre

Giovedì fu una bella giornata! Era la festa del babbo! Non occorre dirti che sin dallo spuntar del giorno tutta la nostra famigliuola in moto, e la nostra casetta riboccante di gioia e di allegria. La mamma aveva già fatto tirare il collo a un tacchino, e sorvegliava ai preparativi del desinare. Giuditta avea regalato al babbo un bel berretto di seta, che aveva ricamato di nascosto per fargliene una sorpresa; io non potei far altro che recargli un bel mazzo di fiori di campo, che avevo raccolti all'alba ed erano ancora umidi di rugiada. Era un povero mazzolino il mio; ma il buon padre gradì il mio regalo quanto quello di mia sorella e ci abbracciò entrambe colle lagrime agli occhi. I nostri amici vennero a trovarci fin dallo spuntare del giorno, facendosi precedere da grida festose, da schioppettate tirate in aria, e dagli abbaiamenti di Alì. Che festa! I signori Valentini recavano anch'essi dei bei mazzi, ma di veri fiori da giardino, che avevano fatto venire apposta da Viagrande. Il mio povero mazzolino sembrava tutto vergognoso accanto a quei fiori superbi. Ci regalarono anche un bel lepre ucciso il giorno innanzi... Ma il signor Valentini non va mai a caccia... bensì suo figlio... La mamma gradì più il lepre che i fiori... Per parte mia ti confesso che da qualche
giorno son quasi riconciliata con i cacciatori... sarà effetto di abitudine... Eppoi che cosa possiamo capirci noi altre in simili divertimenti ai quali gli uomini prendono tanto gusto? Il babbo volle che i nostri amici rimanessero a pranzo con noi. Fu una bella giornata! Si cantò, si rise, si stette molto allegri, si ballò anche... io no, sai! Dopo il pranzo la solita passeggiata. La sera era bellissima; ma, non so perché, io non fui così gaia, così contenta com'erano tutti, e come fui l'altra volta. Mi piaceva udire il lieve fruscio della foglia che cadeva, lo stormire degli alberi, il canto lontano dell'assiuolo, mi piaceva ad aver paura dove l'ombra era più oscura, e tarmi sola in disparte, poiché di tratto in tratto mi si velavano gli occhi di lagrime. Qual mistero c'è dentro di noi, Marianna? Avrei dovuto essere così allegra in quel giorno in cui tutti lo erano! Non saprei spiegare a me stessa questa stranezza. Sarà forse un cervellino strambo il mio, cui meglio conviensi la quiete del chiostro, e che qui trovasi fuori di posto, agitato, inquieto, ed anche un poco pazzerello. Addio. Ti scriverò quanto prima. Questa lettera è breve, ed anche asciutta, mentre ti dovrei una bella lettera lunga lunga che ti narrasse cento altre cose, tutte le sciocchezze che mi vengono in mente, tutto quello di cui non posso chiacchierare con te a viva voce. Ma che vuoi? Oggi non mi sento in lena. Sono stanca, svogliata, e non ho le idee ben chiare. A domani dunque.

23 Ottobre

Mi rimproveri ch'io abbia lasciato senza risposta la tua lettera, ed hai ragione, Marianna mia; me ne ero già rimproverata io stessa. Non so quello che m'abbia, non so... Il più piccolo lavoro, la menoma occupazione mi affatica... Sgridami... Sono un'infingarda... Vorrei stare tutto il giorno seduta all'ombra dei castagni; vorrei passare le notti a fissare gli occhi nel firmamento. Tutto quello che più mi allettava mi è venuto a noia. Non voglio più passeggiare nel castagneto, non voglio più cantare, non posso più ridere, tutto m'infastidisce. La tua povera Maria è assai triste! Non so io stessa il perché. Sarà forse il Signore che avrà voluto farmi provare quanto fugaci siano i piaceri e le gioie che non sono nella vita del chiostro. Oh, mio Dio! Ci son dei momenti in cui quasi ho paura di me stessa... perché anche la mia preghiera è distratta! Dio mio! Perdonatemi! Confortatemi! Dio mio, sorreggetemi!
Il mio Carino è diventato quasi selvatico perché da molti giorni non mi trastullo più con lui. Mi fugge! Sono diventata tanto cattiva adunque? Vigilante non mi fa più le sue solite carezze, perché non gliele ricambio, e si avvede che mi infastidiscono. Se fossi malata, Marianna? Ti confesso all'orecchio che quasi quasi vorrei esser malata, perché allora tutta cotesta noia, tutta cotesta stanchezza dell'anima avrebbe un motivo e non mi spaventerebbe. Tu però che sei sana, che sei allegra, che sei felice, scrivimi, scrivimi spesso. Amami cento volte dippiù perché adesso ho maggior bisogno che tu mi voglia bene, perché io ti voglio bene assai dippiù, e perché l'unico dolce sentimento che mi sia rimasto è una gran tenerezza pei miei cari, per tutti quelli che conosco; figurati poi per te!

2 Novembre

Marianna, son convinta che a noi, poveri cuori deboli e timidi, tutto cotesto tumulto del mondo, tutte coteste sensazioni potenti, tutti cotesti piaceri facciano un male immenso. Siamo degli umili fiorellini avvezzi alla dolce tutela della stufa, che l'aria libera uccide.
Ti rammenti come io ti scrivessi di essere allegra, felice, due mesi or sono? Come ogni nuova emozione fosse un tesoro pel mio cuore avido di contentezza? Come ringraziassi il mio buon Dio di tutte quelle sensazioni piacevoli a cui si schiudeva l'anima mia benedicendolo? È vero, Marianna! Purtroppo è vero quello che ci dicevano sempre le monache, e che il Padre Anselmo ripeteva dal pulpito; le vere gioie tranquille, serene, durevoli, son quelle del chiostro. Io non saprei spiegartene la ragione, ma quelle del mondo non son sempre le stesse. Io l'ho provato... io che mi trovo così cangiata! Tutto mi stanca, mi pesa, mi dà noia... tutto mi è argomento d'inquietudine, di turbamento... ed anche di sgomento... Lo stesso non saper trovare una ragione agli impeti improvvisi di allegria folle e quasi delirante, ed alle repentine tristezze che mi assalgono, mi spaventa. Mi sento infelice in mezzo a tutti cotesti doni del Creatore che benedissi altra volta... Vorrei ritornare fra quelle buone pareti del convento. Vorrei inginocchiarmi in quel coro; vorrei abbracciare i piedi di quel crocifisso; vorrei baciarti, e nasconderti il viso in seno, e sfogarmi delle lagrime che mi si aggruppano in cuore. Non mi deridere, Marianna; compiangimi, piuttosto; compiangimi, ché son molto triste, e non so spiegarmi la mia tristezza, e non so trovarne la causa, e sono forse cattiva e ingrata verso il buon Dio che mi ha colmata di tante benedizioni, ingrata verso il mio caro babbo che si sforza di dissipare la mia tristezza con mille carezze, ingrata verso la mia famiglia, verso i miei amici... Non posso più scriverti. Vorrei piangere. Ho passato quasi tutta la notte alla finestra, fissando gli occhi nel buio profondo che mi sembrava pieno di larve, ascoltando lo uggiolare lontano dei cani, il ronzio degli insetti notturni... e non ho avuto paura! Se potessi abbracciarti! Se potessi piangere! Scrivimi almeno tu! Scrivimi! Non ti dico altro.

10 Novembre

Mia cara Marianna, tu sei inquieta per me, per lo stato dell'anima mia; mi fai mille domande che non comprendo, che m'imbarazzano, alle quali non saprei rispondere; mi chiedi mille spiegazioni che non saprei dare a me stessa. Se tu fossi qui, se ci parlassimo all'orecchio, abbracciate, sotto gli alberi, ove l'ombria è più densa, tu che sei già una signorina, tu che non anderai più in convento, che conosci il mondo, tu forse sapresti trovarci il bandolo! Tu forse sapresti rispondere alle mie domande, sciogliere i miei dubbi, e mi conforteresti, e mi tranquilleresti. Ma che posso dirti io?
Le tue stesse interrogazioni m'inquietano, mi turbano... Perché mi domandi la ragione del non averti più parlato dei signori Valentini nelle mie ultime lettere che sono sì meste, mentre te ne parlavo tanto nelle mie prime ch'erano così allegre? Perché hai osservato che mentre il nome del signor Nino è ricordato venti volte nelle mie prime, sembra poi evitato con molto studio nelle ultime? Come l'hai osservato? Io stessa non me n'ero accorta... Dio mio! Non saprei nemmeno dirtene il perché! Ma tu hai ragione e mi hai fatto scorgere che anche adesso c'è voluto uno sforzo per scrivere quel nome... Ti sarai anche accorta che la mia mano ha tremato... E se mi vedessi in viso! Marianna! Marianna mia! Ora ti scriverò tutto, vedi! Ti metterò il mio cuore fra le mani; tu l'interrogherai, l'analizzerai meglio di me, e come io non saprei... Tu mi dirai che cosa devo fare per vincere cotesta malattia che mi travaglia, e per tornare ad essere gaia, spensierata e felice... Tu mi aprirai le braccia... Non so quello che si agita dentro di me; ma dev'essere qualche cosa di male, perché io abbia esitato a confidartelo, perché io mi trovi, direi, come colpevole, perché io sia posseduta da una vergogna, da un'inquietudine, da un timore inesplicabile, come se avessi un secreto da nascondere a tutti, e che tutti tenessero gli occhi fissi su di me per scoprirlo. Qual è cotesto secreto? Mio Dio! Io stessa non saprei dirlo... Ti narrerò tutto! Tutto! Se tu potrai indovinarlo me lo additerai, ed io ti prometto di vincerlo, s'è un male od una tentazione; ti prometto di esser buona, di pregar Dio perché mi dia forza e m'illumini, e mi aiuti... Ho analizzato tutta me stessa per vedere dove sia questo male, da che provenga questo turbamento; ho passato in rassegna tutti i miei sentimenti, i miei pensieri, fin le mie occupazioni, le persone con cui parlo, gli oggetti che veggo... Non trovai nulla, tranne che... Ma tu mi crederai matta, e riderai di me. Ti ho scritto altre volte che noi ci siamo fatti intimissimi coi signori Valentini. Annetta è per me un'altra Marianna... Ma tu mi hai fatto pensare che quel suo fratello mi fa un certo effetto... È vero: direi quasi che mi fa paura... No, non son cattiva, Marianna! Non mi condannare! È una stravaganza, una follia certamente. M'avveggo che ho torto e cerco di vincere me stessa... perché colui è un buonissimo giovane, ed anche pieno di attenzioni per me... Ma io non saprei spiegarti l'impressione che egli produce in me... Non è antipatia, non è avversione... eppure lo temo... eppure ogni volta che lo incontro arrossisco, impallidisco, tremo, e vorrei fuggirmene. Ma poi egli mi parla, lo ascolto, rimango a lui vicina... non so perché... mi pare che non potrei staccarmene... e penso al Padre Anselmo, allorché ci parlava dal pulpito del fascino dello spirito del male, ed ho paura... Dio mio! Non ti dico già che sia lo stesso... È un paragone. Vorrei poterti spiegare l'effetto che egli mi fa... Eppure egli è cortesissimo con tutti, ed anche con me... ed io non son cattiva, ti giuro! Io gli son grata delle sue delicate premure... Uno degli scorsi giorni, dopo il famoso ballo, egli mi disse, in un momento in cui eravamo solo: «Io vi ringrazio, signorina». «Di che?» «Di avermi fatto il favore di ballare con me. Se sapeste com'ero felice!» E diceva questo in certo modo che io mi sentiva tutta turbata. Dio mio! Come sono esagerati gli uomini nei loro complimenti! Ma non so perché egli mi abbia detto questo sottovoce... e mi parve anche di accorgermi ch'egli abbia arrossito... e forse per questo anch'io mi feci rossa... e non seppi rispondergli nulla... Vedi a qual delicatezza egli arriva per farmi piacere! Un'altra volta mi disse: «Come vi sta bene cotesta tonaca!». Mi ha detto questo! La mia brutta tonaca nera! Non saprei spiegartene la ragione... ma mi parve che ne provassi un gran piacere; arrossivo, balbettavo e non sapevo che farmi. Tu mi dirai che son matta, e avrai ragione, perché non sono certamente le sue cortesie che possono sconvolgermi così tutta quanta. Perché adunque allorché ascolto la sua voce mi confondo? Perché quando incontro il suo sguardo fisso su di me mi sento a un tratto una vampa al viso e come un brivido al cuore? Senti, Marianna; io credo di aver trovato la ragione di tutto questo. In convento ci hanno abituate a farci tale idea degli uomini in generale e dei giovanotti in particolare, che non possiamo incontrarne uno senza sentirci tutte sossopra. Perché dunque Giuditta, mia sorella, che pure è più giovane di me, non prova mai il menomo imbarazzo discorrendo con lui? Perché anzi scherza con lui, e ride, e gli parla a lungo con franchezza, senza arrossire, mentre se io dovessi fare altrettanto mi parrebbe di morire? Nullameno... Dio mel perdoni... mi pare che per questa ragione talune volte io provi per mia sorella un sentimento che somiglia all'invidia... Oh! Dio mio! Chiamatemi a voi, nel vostro convento, fra la calma, il silenzio, il raccoglimento; calmate la mia mente, rischiarate la mia ragione!

16 Novembre

Lunedì l'incontrai nel castagneto. Per fortuna Gigi mi accompagnava. Egli aveva il suo schioppo ad armacollo e cantarellava da lontano prima che si fosse accorto di noi. Tu non sai che dolce voce egli abbia! Io lo riconobbi subito: mi sembrava che il cuore mi scappasse dal petto, e avrei voluto allontanarmi, fuggirmene, per quel solito sciocchissimo turbamento... Il suo cane, Alì, ci vide pel primo, e ci corse incontro latrando e facendoci festa. Bisognava rimaner lì, non è vero? Malgrado che mi fossi fatta di brace, malgrado che tremassi tutta... Egli si sarà accorto del mio turbamento. Si avvicinò e mi stese la mano; dovetti dargli la mia, perché qui si usa stringere la mano anche agli uomini, e non mi par bene... poiché egli dovette accorgersi che la mia povera mano tremava...
Per tornare a casa si doveva attraversare la parte più fitta del castagneto, e sul limite, ch'è assai roccioso, c'erano molti sterpi e spine. Egli volle accompagnarmi e darmi il braccio. Tremavo talmente ch'egli mi disse: «Appoggiatevi francamente, signorina; voi inciampate ad ogni passo». Ed era vero. Si fece un bel tratto di strada in silenzio, e camminando io spingevo apposta col piede le foglie secche che coprivano il suolo, per nascondergli il battito del mio cuore. Egli avrà avuto pietà del mio imbarazzo, poiché tentò rompere quel silenzio dicendomi: «Che bella giornata! Che bella passeggiata abbiamo fatto!» E sospirava... Anzi Gigi si lagnò che io gli camminassi sui piedi... Poi ci mettemmo a sedere su di un muricciuolo accanto alla vigna, e lui mi si pose al fianco. Io non vedevo che il calcio del suo schioppo ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Storia di una capinera
  3. Indice
  4. Introduzione
  5. Storia di una capinera
  6. Monte Ilice, 3 Settembre 1854
  7. 19 Settembre
  8. 27 Settembre
  9. 1 Ottobre
  10. 10 Ottobre
  11. 23 Ottobre
  12. 2 Novembre
  13. 10 Novembre
  14. 16 Novembre
  15. 17 Novembre
  16. 20 Novembre
  17. 21 Novembre
  18. 26 Novembre
  19. 20 Dicembre
  20. 26 Dicembre
  21. 30 Dicembre
  22. 31 Dicembre
  23. 7 Gennaio 1855
  24. Catania, 9 Gennaio
  25. 10 Gennaio
  26. Dal convento, 30 Gennaio
  27. 8 Febbraio 1856
  28. 27 Febbraio
  29. 28 Febbraio, mezzanotte
  30. 10 Marzo
  31. Domenica 29 Marzo, mezzanotte
  32. Sabato 5 Aprile
  33. Lunedi 7 Aprile
  34. 15 Maggio
  35. 27 Maggio
  36. 3 Giugno
  37. 4 Giugno
  38. 7 Giugno
  39. 10 Giugno
  40. 13 Giugno
  41. 24 Giugno
  42. 28 Giugno
  43. 5 Luglio
  44. 25 Luglio
  45. 5 Agosto
  46. 17 Agosto
  47. 26 Agosto
  48. 10 Settembre
  49. 13 Settembre
  50. 18 Settembre
  51. 18 Settembre
  52. 24 Settembre
  53. Senza data
  54. Senza data
  55. Senza data
  56. Ringraziamenti