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Storia contemporanea della guerra in Irlanda del Nord

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Storia contemporanea della guerra in Irlanda del Nord

About this book

Dal 1982 fino ai giorni nostri, Silvia Calamati ha vissuto in prima persona la questione dell'Irlanda del Nord. Un dramma a cui, con "Qui Belfast", l'autrice cerca di dare voce, aprendo una breccia in quel muro di omertà che circonda il conflitto nord-irlandese. Una censura il cui prezzo più alto è stato pagato da migliaia di civili innocenti, costretti a subire le violenze dello Stato, delle forze di sicurezza britanniche e della polizia, senza avere poi giustizia. Con esperienza, partecipazione e sensibilità, Silvia Calamati ha raccolto le voci della società civile insieme a testimonianze e articoli di personalità di spicco del mondo politico, culturale e religioso, seguendo da vicino il tormentato percorso che ha portato, nell'aprile del 1998, alla firma dello storico "Accordo del venerdì santo" e all'inizio di un travagliato, e ancora oggi incompiuto, processo di pace. E mentre è vivo e forte, da parte di Londra, il tentativo di affievolire, insieme alle sue pesanti responsabilità, la memoria della guerra in corso, "Qui Belfast" consegna al lettore pagine di indignata verità: una storia molto diversa da quella che i media più autorevoli tentano di contrabbandare come ufficiale.

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Information

I centri di interrogatorio di Strand Road (Derry) e di Castlereagh (Belfast). Cronache di sevizie quotidiane
Silvia Calamati [«Avvenimenti», 1° giugno 1994]
In Irlanda del Nord i casi più frequenti di maltrattamento fisico e psicologico si registrano tra le persone trattenute in stato di fermo in speciali «centri d’interrogatorio»: Castlereagh a Belfast, Strand Road a Derry e Gough Barracks ad Armagh.
Il fermo può durare fino a 7 giorni. In teoria la persona fermata avrebbe diritto a un incontro con un avvocato, ma nella pratica ciò non avviene. L’assistenza di un avvocato può essere infatti negata, per ordine di un membro della polizia di alto grado, fino a 48 ore. Si tratta di una prassi molto comune nelle Sei Contee. Nel 1987 al 50% delle persone che avevano richiesto un avvocato ciò non venne concesso. Negli ultimi tre mesi del 1988 la percentuale era salita al 70% (Committee on the Administration of Justice, settembre 1989).
L’avvocato Pat Finucane, prima di essere assassinato, aveva dichiarato a una delegazione del Norwegian Helsinki Committee (NHC): «Quando telefono al centro d’interrogatorio e chiedo di poter parlare con i miei clienti mi sento dire che non hanno richiesto un avvocato. Succede molto sovente».
«Circa metà dei fermati sono sottoposti a maltrattamenti. Oltre i due terzi di essi vengono successivamente rilasciati perché non hanno commesso alcun reato».
Per maltrattamenti intendeva «l’essere preso a calci, tirato per i capelli, costretto a rimanere in piedi per ore». Finucane dichiarò inoltre che più della metà dei suoi clienti aveva subito minacce di vario tipo.
Il Norwegian Helsinki Committee ha incontrato numerose persone che erano state trattenute in stato di fermo per diversi giorni.
Le testimonianze raccolte si somigliano molto tra loro.
IL CENTRO DINTERROGATORIO DI STRAND ROAD (DERRY)
Sean, 19 anni, era stato appena rilasciato dal centro d’interrogatorio di Strand Road a Derry quando fu intervistato.
Si muoveva nervosamente, ancora visibilmente provato. Era rimasto a Strand Road per sei giorni. L’unico contatto che aveva avuto era stato con coloro che l’avevano interrogato.
«È sempre la solita storia: tutti quelli che abitano in quest’area sono sospetti ai loro occhi». La zona a cui si riferiva è quella di Bogside, un quartiere nazionalista di Derry.
Ecco il resoconto di Sean:
«Gridano in continuazione: dicono oscenità nei confronti dei tuoi familiari, ti urlano in faccia che la tua ragazza è una puttana...».
«Mi chiamavano assassino, bastardo, pezzo di merda, feccia, comunista, finocchio... E poi, di nuovo: “La tua ragazza è andata a letto con questo, con quello...”».
«Cercano di farti parlare. Minacciano di tenerti là per sempre: “Hai solo diciannove anni e starai qui per il resto della tua vita”».
«Il giorno seguente di nuovo: “Bastardo, feccia, finocchio...”. Mi hanno preso a schiaffi, tirato per i capelli, strattonato in qua e in là...».
«Hanno cominciato a girarmi un chiodo dentro l’orecchio... Mi hanno fatto cadere dalla sedia a forza di calci. Una volta a terra uno di loro mi ha messo con violenza un piede sul petto, poi gli altri mi hanno trascinato in giro per la stanza. Un altro, tenendomi spinto uno stivale fra le gambe, mi ha afferrato per i polsi e mi ha tirato con forza verso di sé...».
«Mi chiamavano pervertito, dicevano che a me piaceva soffrire... E poi ancora a malmenarmi, a tirarmi con forza le orecchie, a dire oscenità contro i miei familiari».
NHC: «Quanto duravano gli interrogatori?»
SEAN: «Dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 18. Poi riprendevano alle 19, fino alle 23.
Negli intervalli ricevevo del cibo immangiabile. Di notte continuavano a guardare dentro alla mia cella e a ridere di me.
Avevo solo una coperta per coprirmi. Battevano contro la porta per non farmi dormire. Non aveva senso protestare...».
«Questo trattamento è continuato per tutta la durata della mia permanenza a Strand Road. Una volta mi hanno fatto scoppiare improvvisamente un sacchetto di plastica all’altezza delle orecchie».
«Mi minacciavano continuamente: “Ti uccideremo... Ti faremo fuori prima o poi... Troveremo dei professionisti che ti daranno una lezione...”».
«Mi hanno dato una banconota da venti sterline e mi hanno fatto delle fotografie con quella in mano. Poi sono ricominciati gli insulti ai miei familiari, alla mia ragazza e alla sua famiglia: “La tua morte non sarà un incidente...”».
«Non c’è sapone, non ci si può lavare... La cella è fetida... L’acqua non è potabile... La luce rimane accesa per tutta la notte... Ti ignorano quando dici che devi andare in bagno».
«Io protestavo, ma nessuno faceva niente, anche se nelle stanze degli interrogatori è installata una telecamera...»
«Racconti tutto al dottore, lui si annota ciò che dici, ma poi non succede nulla».
«Ti sputano in faccia... Ti gettano addosso del tè caldo... Ti tirano i capelli... Ti premono la testa fra le gambe... Ti minacciano per costringerti a firmare delle autoaccuse... Continuano a far rumore per non farti dormire... Il cibo è cattivo... E poi di nuovo: “Pezzo di merda, feccia, finocchio...”».
NHC: «Dopo quanto tempo sei uscito?»
SEAN: «Dopo sei giorni».
NHC: «Cosa ti hanno detto prima di rilasciarti?»
SEAN: «Ti terremo d’occhio, bastardo».
«Succede sempre così», ha commentato un amico di Sean. «Però quella del tè caldo gettato addosso non l’avevo mai sentita...».
IL CENTRO DINTERROGATORIO DI CASTLEREAGH (BELFAST)
Pat McGeown è un ex-prigioniero repubblicano. Nel 1981 partecipò allo sciopero della fame dei detenuti del carcere di Long Kesh, che portò alla morte di Bobby Sands e di altri nove prigionieri politici. Incarcerato per la prima volta nel 1975, a soli diciannove anni, ha passato in prigione dodici dei restanti quattordici anni della sua vita.
Due soldati britannici erano stati uccisi ad Andersonstown, un quartiere nazionalista di West Belfast, così il RUC arrestò venti/trenta persone.
Vennero a prendermi alle cinque e mezzo del mattino, mentre stavo ancora dormendo. «Non ti lasceremo andare per almeno trent’anni, bastardo feniano!». Continuavano a gridare che mi avrebbero ammazzato.
Fui portato a Castlereagh. All’inizio la procedura è sempre la stessa: vieni privato di tutti gli effetti personali, compresi i lacci delle scarpe.
Alle 8 mi diedero da mangiare della robaccia e del tè freddo.
Alle 10 cominciò l’interrogatorio.
Arrivarono due agenti del RUC in abiti civili. Si mettono sempre uno di fronte e uno alle tue spalle.
Quello dietro di me cominciò a urlarmi nelle orecchie: «Sei qui adesso. Ti faremo rinchiudere per il resto della tua vita. Guarda questa fotografia! Questo sei tu! Hai già passato nove anni in prigione. Che ne sarà dei tuoi figli?».
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Continuarono in questo modo fino alle 11 e 30, poi arrivarono altri due tipi, anch’essi in abiti civili, per sostituirsi ai primi. Furono brutali fin dall’inizio. Cominciarono a gridarmi nelle orecchie e a minacciarmi. Mi picchiarono e mi tirarono per i capelli. Quando si accorsero che il maltrattamento fisico non funzionava ritornarono agli abusi verbali.
Mi diedero da mangiare verso l’una del pomeriggio. Ripresero a interrogarmi intorno alle due.
Entrarono i due agenti che avevo già visto: erano i «buoni». «Metti per iscritto le risposte che ci hai dato. Raccontaci qualcosa del Movimento repubblicano...».
Rimasero per circa mezz’ora, poi fu di nuovo la volta dei «cattivi».
Questi tentarono un altro approccio: «Resterai in prigione per tutta la vita. Ti faremo ammazzare o ti uccideremo noi... Tutti diranno che sono stati i gruppi paramilitari lealisti...».
Poi cominciarono a essere meno aggressivi. Parlottarono a bassa voce fra di loro: «Diciamogli che lo faremo fuori e che sia finita».
L’interrogatorio terminò alle 17 e io fui riportato in cella.
Alle 18 e 30 ritornarono i «buoni». Mi mostrarono un album di foto. «Devi solo dire che sei stato tu, così invece di quarant’anni te ne daranno solo cinque» e altri ricatti del genere, accompagnati da minacce: «Ti conviene collaborare con noi, altrimenti sarà peggio per te...».
Alle 20 fui interrogato da due persone che non avevo mai visto: «Anche se non abbiamo alcuna prova contro di te, non hai scelta. Ti daranno almeno un anno...». E più tardi: «La miglior cosa sarebbe farti fuori».
Mi tenevano spinta con forza la testa fra le gambe....
Mi fu permesso di dormire dalle 23 alle 7 del giorno successivo.
I muri della cella erano molto sottili. Per tutta la notte i secondini continuarono a camminare in su e in giù davanti alla mia cella, ridendo e parlando a voce alta. «Lo fanno per non farti dormire...».
Alle 7 del mattino chiesi di andare in bagno. Ci sono sempre lunghe code per poter lavarsi e loro le fanno procedere il più lentamente possibile.
Le cose possono andare meglio o peggio a seconda dell’agente del RUC in servizio quel giorno. Alcuni non sono male, perlomeno hanno un po’ di umanità, ma tutto dipende da chi di loro è di turno.
Tra le 10 e le 12 furono i «buoni» a condurre il primo interrogatorio del giorno. Penso che a quel punto stessero per desistere del tutto. Cercarono di farmi parlare di qualsiasi cosa: della mia famiglia, dei miei figli, delle mie idee politiche e di ogni altra cosa.
«Ok», dissero alla fine. «Dimentichiamo tutto. Tanto noi veniamo pagati lo stesso».
Alle 13 fu il turno dei «cattivi»: «Finirai dentro. Collabora con noi o faremo in modo che tu non esca più di qui...».
Dopo sette mesi si tenne il processo e io fui rilasciato per mancanza di prove.
Pat McGeown è morto improvvisamente il 29 settembre 1996, a soli quarant’anni. I quarantasette giorni di sciopero della fame nel 1981 gli avevano minato la salute, provocandogli gravi problemi al cuore.
A Belfast regna ancora la paura
Silvia Calamati [«Avvenimenti», 20 luglio 1994]
Paul Thompson, cattolico, 25 anni: ammazzato a colpi di arma da fuoco da killer appartenenti a gruppi paramilitari lealisti. Margaret Wright, protestante: scambiata per cattolica, viene picchiata per ore in un pub prima di essere finita con tre colpi di pistola alla testa. Barney Green, cattolico, 37 anni: colpito da una raffica di proiettili alle spalle, muore insieme ad altre cinque persone mentre in un pub di campagna sta guardando la partita dei mondiali di calcio Eire-Italia.
Da venticinque anni la violenza in Irlanda del Nord è un fatto quotidiano. A quasi sette mesi dalla Downing Street Declaration, il piano di pace presentato da Londra e Dublino, nulla è cambiato. E la gente continua a morire.
Belfast, due del pomeriggio. Quartiere cattolico nazionalista di Springfield. Una donna, Brenda Murphy, vede due uomini aprire un varco nella palizzata che, come un muro di Berlino, divide la sua zona da quella unionista di Springmartin.
Allarmata, telefona immediatamente al RUC, la polizia locale, poiché negli ultimi mesi gli abitanti di Springfield Road hanno subito numerosi attacchi, anche mortali, da parte dei gruppi paramilitari lealisti. A causa di questi un ragazzo di 15 anni oggi sta vivendo con un proiettile nella spina dorsale e a un vicino di casa di Brenda è stato asportato mezzo stomaco. Ecco perché è così preoccupata.
I suoi ripetuti tentativi di contattare il RUC hanno tuttavia successo solo dopo numerose telefonate. Riesce a farsi dare assicurazioni che la polizia «verrà a dare un’occhiata».
Dopo diverse ore, tuttavia, nessun poliziotto o soldato britannico si fa vedere, anche se, di norma, pattugliano il quartiere a ogni ora del giorno e della notte.
Alle undici di sera un gruppo paramilitare lealista arriva a Springfield e apre il fuoco contro due nazionalisti. Paul Thompson, 25 anni, muore all’istante.
I killer riescono a fuggire attraverso quell’apertura preparata per loro nove ore prima. «Perché la polizia non è intervenuta?», si chiede disperata la gente a Springfield.
Protestante era invece Margaret Wright, una donna scambiata per una cattolica in un pub di Donegall Road e per questo picchiata per ore, fino a essere ammazzata con tre colpi di pistola alla testa, davanti a una sessantina di persone.
E, dopo di lei, Ann Rose Mallon: aveva 76 anni l’anziana cattolica uccisa da una pioggia di proiettili sparati contro le finestre delle sua abitazione a Dungannon, nel maggio scorso.
Barney Green, invece, ne aveva 87. Era un simpatico vecchietto che fumava la pipa. È stato colpito alle spalle, in un minuscolo pub di campagna nella contea di Down, durante la partita dei mondiali Irlanda-Italia.
Con lui sono morte altre 5 persone.
Da 25 anni in Irlanda del Nord la violenza è un fatto quotidiano. Una vita scandita dalla precarietà. Nel dicembre scorso, dopo la firma del piano di pace proposto da primo ministro britannico John Major e dal premier irlandese Albert Reynolds, la pace appariva vicina.
A sette mesi da quell’accordo non è cambiato nulla. Cresce il pessimismo fra la gente.
lo Sinn Féin, che non si è ancora pronunciato sul documento Londra/Dublino, ha chiesto chiarimenti al Governo britannico riguardo alcuni punti contenuti nella dichiarazione di dicembre.
Nel maggio scorso Major ha inviato una risposta scritta alle venti domande presentate dal Sinn Féin tramite i buoni uffici di Reynolds.
Una risposta in cui viene ribadito, come in un disco rotto, che lo Sinn Féin potrà sedersi al tavolo dei negoziati solo quando l’IRA rinuncerà definitivamente alla lotta armata.
Londra subordina «il riconoscimento dei diritti dei nazionalisti e la fine della legislazione repressiva» alla decisione dell’IRA, considerato ancora una volta come unico responsabile del conflitto in Irlanda.
Nessuna condizione, invece, è stata posta ai gruppi paramilitari lealisti. Né tantomeno è stato preso alcun impegno da parte di Londra per porre fine alle discriminazioni contro i nazionalisti e per limitare l’uso indiscriminato della forza da parte di soldati e polizia in Irlanda del Nord.
L’IRA ha concesso tre giorni di tregua a Natale e a Pasqua. I gruppi paramilitari lealisti, invece, continueranno i loro attacchi...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Introduzione di Silvia Calamati
  5. Belfast, 12 agosto 1984: fuoco sulla folla. Un altro Bloody Sunday, Silvia Calamati [«il manifesto», 12 settembre 1984]
  6. «Il mio sandwich a base di topi», Martina Anderson, prigione di Durham, 15 febbraio 1988 [«Avvenimenti», 16 maggio 1990]
  7. «Noi dello Sinn Féin vogliamo la pace». Intervista ad AlexMaskey, Silvia Calamati [«Avvenimenti», 20 giugno 1990]
  8. La chiesa dei poveri nell’Irlanda in guerra, Padre Desmond Wilson, Belfast [«Avvenimenti», 25 luglio 1990]
  9. «Innocenti!». Diciassette anni da dimenticare. Il caso dei «Sei di Birmingham», Silvia Calamati [«Avvenimenti», 27 marzo 1991]
  10. Irlanda. Questa trattativa è finta, Silvia Calamati [«Avvenimenti», 15 maggio 1991]
  11. Aprile 1992. Bombe dell’ira dopo le elezioni a Westminster. Quei cinquanta minuti prima dell’attentato, Silvia Calamati [«Avvenimenti», 6 maggio 1992]
  12. «Io, parroco della frontiera», Padre Joe McVeigh, Garrison, contea di Fermanagh [«Avvenimenti», 21 ottobre 1992]
  13. La voce degli innocenti nelle galere di Sua Maestà, Silvia Calamati [«Avvenimenti», 20 gennaio 1993]
  14. Armi dal Sudafrica ai gruppi paramilitari lealisti. Il caso di Brian Nelson, Silvia Calamati [«Avvenimenti», 20 ottobre 1993]
  15. I gruppi paramilitari lealisti: «Colpiremo a nord e a sud», Silvia Calamati [«Avvenimenti», 20 ottobre 1993]
  16. «Hanno sparato per uccidermi», Annie Armstrong, Belfast [«Avvenimenti», 20 ottobre 1993]
  17. La Hume/Adams Initiative: il dialogo sdlp-Sinn Féin e il gioco politico di Londra, Silvia Calamati [«Liberazione», 10 dicembre 1993]
  18. Accordo Londra-Dublino: la Downing Street Declaration, Silvia Calamati [«Avvenimenti», 5 gennaio 1994]
  19. Intervista a Paul Hill, uno dei «Quattro di Guildford». «Il nostro film, la mia vita», Silvia Calamati [«Avvenimenti», 23 marzo 1994]
  20. I centri di interrogatorio di Strand Road (Derry) e di Castlereagh (Belfast). Cronache di sevizie quotidiane, Silvia Calamati [«Avvenimenti», 1° giugno 1994]
  21. 31 agosto 1994: lo storico cessate il fuoco dell’ira, Silvia Calamati [«Avvenimenti», 14 settembre 1994]
  22. Dopo il cessate il fuoco dell’ ira. Reportage da Crossmaglen: morire sotto il piombo e i raggi infrarossi dell’esercito, Silvia Calamati [«Avvenimenti», 12 ottobre 1994]
  23. Irlanda del Nord. Il silenzio dei media e la pace che non c’è ancora, Silvia Calamati [«Vita trentina», 29 ottobre 1995]
  24. Il secondo cessate il fuoco dell’ira. Ora David Trimble deve scegliere, Editoriale [«The Irish News», Belfast, 21 luglio 1997]
  25. L’Accordo del Venerdì Santo (1998): compromessi, promesse, insidie, Jack Holland [«The Irish Echo», New York, 15 aprile 1998]
  26. Stallo politico dopo l’Accordo del Venerdì Santo. Le paure degli unionisti, le responsabilità di Londra e il ruolo delle Chiese. Intervista a padre Joseph McVeigh, Silvia Calamati [ottobre 1999]
  27. Il Force Research Unit ( FRU). L’unità segreta dell’Intelligence militare britannico che infiltrò i suoi agenti nei gruppi paramilitari lealisti, Relatives for Justice [Belfast, 2000]
  28. Pace ancora lontana in Irlanda del Nord, Silvia Calamati [«La Voce dei Berici», 2 dicembre 2001]
  29. La richiesta di disarmo all’ira. Per gli unionisti un modo per guadagnare tempo, Brian Feeney [«The Irish News», Belfast, 4 luglio 2001]
  30. I primi tre giorni di scuola delle bambine della scuola cattolica di Holy Cross, a Belfast. Contro di loro pietre, insulti e bombe, Laura Friel [«An Phoblacht/Republican News», Dublino, 6 settembre 2001]
  31. La strage di Omagh (agosto 1998). La polizia era stata informata in anticipo dell’attentato, Neil Mackay [«Sunday Herald», Glasgow, 9 dicembre 2001]
  32. Ex soldato britannico ammette di aver ucciso quattro persone il giorno del Bloody Sunday, David McKittrick [«The Independent», Londra, 3 ottobre 2003]
  33. 1° agosto 2007. Il ritiro dei soldati britannici dall’Irlanda del Nord [«Belfast Telegraph Online», 31 luglio 2007]
  34. Máire, arrestata perché parlava gaelico, Concubhar Ó Liatháin [«Andersonstown News», Belfast, 24 settembre 2007]
  35. L’Historical Enquires Team (HET): un’istituzione alla ricerca della verità o per nasconderla? La denuncia in un rapporto scottante, Laura Friel [«An Phoblacht», Dublino, 18 settembre 2008]
  36. Attacco dell’UDA. Donna incinta picchiata, cattolico ucciso a botte e un altro in gravi condizioni, Laura Friel [«An Phoblacht», Dublino, 28 maggio 2009]
  37. 12 aprile 2010: la devolution. Dopo trentotto anni trasferiti i poteri di polizia e giustizia da Westminster all’Irlanda del Nord, Silvia Calamati
  38. Appello del GARC: «Il percorso delle parate ad Ardoyne va cambiato» [Greater Ardoyne Residents Collective, Belfast, 9 giugno 2010]
  39. «Vindicated!». Trentotto anni dopo il Bloody Sunday le scuse di Londra [The Bloody Sunday Families and Wounded, Derry [giugno 2010]
  40. Bomba di dissidenti uccide l’agente di polizia cattolico Ronan Kerr, David Harrison [«The Telegraph», Belfast, 3 aprile 2011]
  41. 12 luglio 2011. Fotografo colpito da proiettile di plastica, Kieran Hughes [«Andersonstown News», Belfast, 16 luglio 2011]
  42. 2011: Brendan Lillis, Martin Corey, Marian Price. Dopo quarant’anni di nuovo l’internamento in Irlanda del Nord, Sandy Boyer [«Socialist Worker», 18 agosto 2011]
  43. Il raad responsabile della morte di Andrew Allen, [«bbc», Londra, 22 febbraio 2012]
  44. Il nuovo ira: «Tempi cambiati rispetto all’ira Provisional. Impatto e sostegno da valutare», Suzanne Breen [«Belfast Telegraph», Belfast, 30 luglio 2012]
  45. 1° novembre 2012. Agguato in autostrada. Ucciso agente di custodia del carcere di Maghaberry [«Belfast Telegraph», Belfast, 1° novembre 2012]
  46. Note