PRIMO CANTO INTORNO ALL'ARA
CORO:
Molti si danno prodigi, e niuno
meraviglioso più dell'uomo.
Sino di là dal canuto mare,
col tempestoso Noto, procede
l'uomo, valica l'estuare
dei flutti, e il mugghio; e la più antica
degli Dei, l'immortale Terra,
l'infaticata, col giro spossa,
anno per anno, degli aratri,
col travaglio d'equina prole.
E degli augelli le stirpi liete
cinge di reti, ne fa preda,
e le tribù di selvagge fiere,
e le marine stirpi del ponto
con le spire d'inteste reti,
l'uomo scaltrissimo: è signore,
con l'astuzia, di quante fiere
movon selvagge pei monti, e il giogo
pone al crinito cavallo, e al toro
infaticato, sovressi i monti.
L'infaticato pensiero, e i suoni
vocali rinvenne, e le norme
del viver civile, e a fuggire
gli eterei dardi
d'inospiti ghiacci,
di piogge nemiche.
Gran copia d'astuzie possiede;
né verso il futuro, se mezzi
di scampo non vede, s'inoltra.
Solo trovar dall'Ade
scampo non può; ma contro immedicabili
morbi, rinvenne salutari strade.
Oltre ogni umana credenza, il genio
dell'arti inventore possiede;
ed ora si volge a tristizia,
ed ora a virtù.
Se onora le leggi
dei padri, e degl'Inferi
il giuro, la patria egli esalta.
Ma patria non ha chi per colmo
d'audacia s'appiglia a tristizia.
Vicino all'ara mia
mai non s'annidi l'uom che così adopera,
e mai concorde al mio pensier non sia.
(Si avanza Antigone trascinata dalle guardie)
CORO:
È questo un divino portento
che incerto mi lascia. Io ben veggo
che Antigone è questa fanciulla:
e come negarlo potrei?
O misera, o figlia
d'un misero padre, d'Edipo!
E come? Tu forse ai comandi
del principe fosti ribelle,
e, colta nell'opra insensata,
t'adducono qui?
CUSTODE:
Questa è colei che l'opera compieva:
costei sorpresa abbiamo, che al cadavere
dava sepolcro. Ma dov'è Creonte?
CORIFEO:
Eccolo. A punto dalla casa giunge.
CREONTE:
Esco a punto? Perché? Per quale evento?
CUSTODE:
Per i mortali, o re, nulla è che possano
giurar che non avvenga: il pensier nuovo
rende falso l'antico. Avrei presunto
per le minacce tue che m'investirono,
come tempesta, or or, che non avrei
avuto fretta di tornare; e invece,
poiché la gioia, quando è fuori ed oltre
la nostra speme, ogni piacere supera,
contro il mio giuramento, eccomi qui.
E reco a te questa fanciulla, colta
che la tomba adornava; e non fu d'uopo
di trarre a sorte: mia fu la fortuna,
non d'altri. E adesso, o re, prendi costei,
come ti piace, esaminala, giudicala;
ma giusto è ch'io dai guai rimanga libero.
CREONTE:
Ove costei che guidi hai presa? E come?
CUSTODE:
Seppelliva essa il corpo: il tutto sai.
CREONTE:
Intendo bene? E vero è ciò che dici?
CUSTODE:
Vidi costei che contro il tuo divieto
il corpo seppellia: non parlo chiaro?
CREONTE:
E come vista fu? Come sorpresa?
CUSTODE:
Il fatto andò così. Come tornammo
col, colpiti dalle tue minacce
fiere, spazzata via tutta la polvere
che ricopriva il morto, e messo a nudo
tutto il viscido corpo, in vetta al poggio
noi ci sedemmo, contro vento, dove
non giungesse il fetore; e, stando all'erta,
con male ingiurie l'un l'altro eccitava,
se mai la guardia trascurasse. E corse
lungo tempo così, finché del sole
giunse il globo fulgente in mezzo al cielo,
e l'aria ardeva. Ed ecco, all'improvviso
una procella sollevò, flagello
sceso dal cielo, un nugolo di polvere,
invase i campi, della selva stesa
nel piano, tutta deturpò la chioma,
pieno tutto ne fu l'etere immenso.
Serrando gli occhi, noi sopportavamo
quella furia celeste; e quando poi
cessata fu, ché lungo tempo corse,
la fanciulla fu vista. E si lagnava
con grida acute di doglioso augello
allor che degl'implumi orbo il giaciglio
scorge nel vuoto nido. Essa del pari,
come vide il cadavere scoperto,
ruppe in gemiti; e contro quei che l'opera
compie', lanciava imprecazioni orrende;
e subito raccolta arida polvere,
lo coperse; e levata alta una brocca
bella, di bronzo levigato, serto
fece di tre libagioni al morto.
Noi che vedemmo, ci scagliammo, e subito
la fanciulla afferrammo. Ed essa, nulla
si sbigottì. Rimprovero di quanto
fatto aveva e faceva, a lei fu volto:
e nulla essa negò: sì che piacere
e dolore ad un tempo a me recava:
ché ai malanni sfuggir, cosa è dolcissima;...