Spettatori di ombre
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Spettatori di ombre

Rileggendo il mito della caverna

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Spettatori di ombre

Rileggendo il mito della caverna

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Oggi, come allora, ai tempi di Platone e della polis, siamo ancora spettatori di ombre. Probabilmente è questa la condizione esistenziale di ogni individuo. Nascere implica il passaggio dal buio alla luce, ma appena diventiamo soggetti attivi in una comunità restiamo invischiati in un mondo fatto di ombre, di illusioni, di apparenze fittizie. Se ascoltiamo l'appello del nostro io creativo, diventiamo consapevoli di questo stato e iniziamo un nuovo viaggio attraverso un processo di rinascita individuale che conduce alla manifestazione del sé. Realizzare il sé significa avere il coraggio di aprirsi un varco nella caverna delle ombre e uscire alla luce del sole.

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1. IL LÒGOS DEI GRECI

Analizzando dal punto di vista esistenziale e ontologico, il mito della caverna, si può rinvenire la dottrina della verità nella sua originale essenza e come questa abbia subito il mutamento da un particolare modo di essere ad uno specifico modo di presentarsi all’uomo.
Quali furono i motivi e quali le circostanze che spinsero Heidegger a confrontarsi con la cultura greca e in particolar modo con la metafisica? Il ritorno ai greci non è una semplice rivisitazione filologica del passato. Nel pensiero di Eraclito e nelle riflessioni di Parmenide vi è l’inizio, il grande inizio della filosofia[1]. Nel testo di una conferenza del 1955, Che cos’è la filosofia, dopo un’impegnata digressione sui possibili significati del termine, si assume che l’autentica accezione della filosofia è espressa solo dalla lingua greca. Greco è l’oggetto della domanda è, greco è anche il modo in cui la domanda stessa è posta. Con la formula del tì èstin, Socrate, Platone e Aristotele hanno inaugurato una specifica forma del domandare, quella che nel pensiero greco è rivolta al senso dell’essere.
La stessa filosofia può comprendersi nella sua autenticità solo in virtù di un ritorno all’inizio, alla grecità.[2] Essa deve intendersi come quella disposizione dell’uomo che lo induce ad ascoltare l’appello dell’essere. In tale prospettiva dunque Eraclito e Parmenide, in quanto pensatori dell’inizio, sono i pensatori dell’essere. Il pensiero dell’inizio non è ancora filosofia, ma pensiero in quanto tale, se è vero che la parola filosofia non era ancora stata coniata. Vi era, tuttavia, un atteggiamento filosofico, dal momento che Eraclito aveva chiamato philòsophos l’uomo amante del sophòn. Sophòn è l’essente nella sua totalità ed esso si trova riunito e raccolto nell’essere[3]. L’essere assume anche la funzione del lògos (nel significato di raccogliere, tenere insieme).
La relazione tra essere e lògos implica, pertanto, un rapporto d’identità. Già nel 1927, in Essere e Tempo, la questione era stata esaminata e si osservava l’intima connessione esistente tra i concetti di lògos e fenomeno, relativamente all’interpretazione filologica della parola fenomenologia. Quest’ultima assume il significato di lasciar vedere ciò che si manifesta ma che in un primo momento si nasconde ovvero, non questo e quell’ente, ma l’essere dell’ente.
Quello dell’essere è un concetto problematico, il più vuoto e allo stesso tempo il più ricco di significato, il più comprensibile e al tempo stesso il più nascosto. Ogni ricerca filosofica o scientifica crede erroneamente di saper tutto riguardo all’essere ma, in verità, ciò che conosce è solo l’ente. L’essere non si può definire, poiché non esiste un concetto che possa esprimerlo. Per natura, esso si sottrae a qualunque tentativo di definizione. L’essenza dell’essere è il suo stesso ritrarsi, il suo auto-nascondimento[4]. Dell’essere non si dice che è, ma che si dà. Dire che l’essere è, equivale a trasformarlo in un ente. Esso non solo si dà, ma si dà completamente all’uomo. Tuttavia, poiché l’uomo è condizionato dalla finitezza, l’essere si nasconde. La verità non è un carattere della conoscenza dell’uomo, ma manifestazione dell’essere. Di conseguenza, la domanda sulla verità è legata a quella della non-verità[5].
All’essere è attribuito un significato inedito che lo determina nell’accezione del pericolo. Anche in tale caso il connotato dell’ambivalenza semantica e di conseguenza ontologica, permane. Il pericolo, infatti, è definito come pericolo in quanto tale e al tempo stesso come ciò che salva. L’essenza dell’uomo è la dimensione umana in cui si è in grado di corrispondere all’appello dell’essere e tale corrispondenza è identificata con l’attività del pensiero. L’essere è pericolo in quanto può dimenticare la propria essenza e volgersi contro di essa. Così la verità dell’essenza dell’essere si dirige verso l’ente. Nel pericolo, però, fiorisce anche ciò che salva. L’essere è insieme pericolo e salvezza, verità e non verità.
Allora, che cosa è la veritàe in che rapporto si trova con l’essere?
In questa sede si analizza il termine verità, preferendo fare riferimento al greco a-letheia e non al latino veritas. La scelta è motivata dal carattere strutturale della parola greca che, costituita dal verbo lantano e da alpha privativo, rende giustizia al significato ambivalente che al temine si attribuisce, ovvero la svelatezza che implica il venire fuori dalla latenza alla non latenza. Per tali ragioni, volendo esprimere il concetto in lingua tedesca, il filosofo adopera il termine Un-verborgenheit (disvelatezza) e non Wahrheit (verità). Il primo, infatti, è un termine negativo nella stessa misura di quello greco. Egli critica i pregiudizi dei filosofi antichi e medioevali che, volendo parlare dell’essere e tentando di definirlo a tutti i costi, lo hanno identificato con l’ente. L’ente, però, è molto diverso dall’essere. Di conseguenza, ciò ha comportato un fraintendimento dell’essere.
La domanda fondamentale che riguarda il senso dell’essere, è sostituita da quella sul senso della verità, come se filosofo nel avesse maturato la convinzione che il senso dell’essere consiste nel suo essere verità, intesa come svelatezza. Il senso dell’essere è il suo manifestarsi, il suo liberarsi dall’occultamento. Nessun pretesto sarebbe stato più efficace, dell’interpretazione del mito della caverna, dal momento che l’ uscita dalla dimensione delle ombre si palesa come dis-occultamento.
Nell’essere si raccoglie la totalità dell’essente, ovvero la physis. Tradurre physis con natura, non è sufficiente per comprenderne l’essenza. Essa è l’aprentesi imporsi, ovvero l’essere. Un ulteriore rapporto d’identità, dunque, lega lògos, physis ed essere. Tuttavia, la domanda sull’essere è sostituita da quella sull’ente e la metafisica è diventata il luogo dell’oblio dell’essere.
Cos’è accaduto? A partire da Platone, sono stati travisati i significati del lògos, della physis e dell’essere. Il rapporto d’identità esistente tra loro si è rotto. L’essere è stato opposto alla physis e il lògos ha ottenuto il predominio sull’essere. Platone ha identificato l’essere con l’idea, ma l’essere in quanto idea è conseguente all’essere in quanto physis. Il filosofo greco avrebbe, a parere di Heidegger, trasformato una conseguenza in qualcosa che ha un rango più elevato[6]. L’idea diventa l’essere dell’essente; la physis decade nel ruolo di opposizione all’idea e si identifica con l’apparenza ovvero con ciò che non è in senso originario. La physis partecipa dell’essere dell’idea, diventando copia di un modello. Con Platone muta dunque il fondamento della verità.
La parola greca alétheia indica un accadimento di non-nascondimento, svelamento, qualcosa che si strappa ad un occultamento. L’essenza della verità è la svelatezza[7].
Il pensiero di Platone ha determinato una profonda trasformazione. La verità non è più un carattere dell’ente che si mostra, che si rivela, ma la diviene il carattere dell’atteggiamento umano nella ricerca dell’essere, correttezza dello sguardo e, dal punto di vista logico, correttezza dell’asserzione. In altre parole, la verità diventa adequatio rei et intellectus. La metafisica perde il suo fondamento, perde di vista l’essere e pone al centro della sua ricerca l’ente, ergendo a soggetto un particolare ente, il soggetto pensante. L’ente decide dell’essere, perdendo la sua stessa essenza e trasferendo la sua dimora dalla radura dell’essere alla pianura dell’ente.
Se l’ambito della ricerca risulta problematico per l’uomo, quello dell’ente è più sicuro, poiché permette di circoscrivere la speculazione, fondandola su principi guida considerati saldissimi. L’ente che vive nella pianura è quello che si crede in possesso della verità, che si fa padrone dell’essere e dimentica così la propria essenza. L’essenza dell’uomo è l’esistenza intesa come l’abitare la radura dell’essere. L’uomo non è il padrone dell’ente, ma il pastore dell’essere, il custode della sua verità[8]. La metafisica, dimenticando la differenza ontologica tra essere ed ente, guarda sempre e solo all’essente, facendo perdere all’essere il suo fondamento. Per recuperare la verità dell’essere è necessario tentare il superamento della metafisica[9]. Andare oltre l’ente significa porsi la domanda sull’essere. Il tentativo di superamento si traduce in una disperata fondazione di una nuova metafisica, di una ontologia fondamentale.
Perché in generale l’essente e non piuttosto il nulla?
L’errore di ogni scienza è quello di non considerare il nulla. Lo scienziato non si pone un tale quesito poiché, dalla sua prospettiva, sul nulla non c’è proprio nulla da dire. Secondo Heidegger, tra essere e niente vi è una rapporto d’identità. Il niente non si deve intendere come il nihil absolutum e neanche come l’opposto dell’essente. La sua attività non consiste nell’annullare o nel sopprimere, ma nel nientificare, condizione che l’uomo esperisce nello stato d’angoscia. Un tale accadimento lo conduce di fronte al niente e l’essente, nella sua totalità vacilla. Il nientificare si configura come un retrocedere innanzi e il niente diviene «la condizione che rende possibile la rivelazione dell’essente come tale per l’essere esistenziale dell’uomo»[10], trascendenza, essenza dell’essere. Niente ed essere sono quindi la stessa cosa. La domanda fondamentale ( perché l’essente e non il nulla?) diventa la domanda sulla verità.
Nel mito della caverna è presente, la dottrina della verità in cui il mutamento di essenza si palesa. Il filosofo tedesco divide il mito in quattro sezioni, relative ad altrettanti stadi dell’accadere, in cui si procede per gradi da ciò che è meno disvelato a ciò che è massimamente disvelato. Un’attenzione particolare è rivolta ai momenti di passaggio da uno stadio all’altro, poiché la loro funzione è quella di mantenere collegate le sezioni. I passaggi che vedono il filosofo uscire e rientrare nella caverna, richiedono lo sforzo di abituare la vista e l’anima. Gli occhi, abituati alle tenebre, a fatica recuperano la loro funzionalità. La stessa cosa si verifica al ritorno del filosofo nella caverna. Questa operazione richiede un mutamento di orientamento del corpo e dell’anima, possibile attraverso la paideìa.
Solo un’adeguata formazione permette il transito dal mondo dell’immediata apparenza al mondo dell’autentica manifestazione dell’essente[11].
Passerò ora ad esaminare punto per punto i quattro momenti in cui Heidegger seziona il mito, prestando attenzione alla terminologia tedesca e facendo, ove ciò sia possibile, dei confronti con la terminologia greca platonica.
Questa chiave di lettura rende comprensibile il senso del rapporto che il filosofo tedesco ha mantenuto con la filosofia platonica e con tutto il pensiero greco occidentale. Per tali ragioni e per facilitare il lettore nella comprensione dei momenti salienti della speculazione filosofica, ritengo necessario riportare il testo del mito nella traduzione italiana....

Table of contents

  1. Copertina
  2. Spettatori di ombre - Rileggendo il mito della caverna
  3. Indice
  4. Introduzione
  5. PARTE PRIMA. LA TEORIA DEI DUE MONDI: ESSERE E CONOSCERE TRA APPARENZA E VERITÀ
  6. 1. IL LÒGOS DEI GRECI
  7. 2. IL PRIMO STADIO DELL’ACCADERE: LA SITUAZIONE UMANA NEL MONDO DELLA CAVERNA
  8. 3. IL SECONDO STADIO DELL’ACCADERE: IL FALLIMENTO DEL PRIMO TENTATIVO DI LIBERAZIONE
  9. 4. IL TERZO STADIO DELL’ACCADERE: L’AUTENTICA LIBERAZIONE
  10. 4.1. L’IDEA DEL BENE E L’ESSENZA DELLA VERITÀ COME SVELATEZZA
  11. 5. IL QUARTO STADIO DELL’ACCADERE: IL RITORNO DEL FILOSOFO
  12. 5.1. CONSIDERAZIONI DI CARATTERE METODOLOGICO
  13. 5.2. LA DIMENSIONE POLITICA DEL QUARTO STADIO
  14. PARTE SECONDA. IL MITO DELLA CAVERNA SECONDO HANNAH ARENDT
  15. IL MONDO DELLE OMBRE E LA POLIS
  16. 1.1. L’OPERAZIONE DEL RIBALTAMENTO
  17. 2. IL PRIGIONIERO LIBERATO ABBANDONA LA CAVERNA
  18. 2.1. IL THAUMÀZEIN COME PRINCIPIO DI OGNI FILOSOFIA E LA SCOPERTA DELL’INEFFABILE
  19. 2.2. LA DOTTRINA DELL’ANIMA E LA TEORIA DEI DUE MONDI
  20. 2.3. LA TEORIA DEI DUE MONDI: ESSERE E CONOSCERE TRA APPARENZA E VERITÀ
  21. 2.4. IL DUE IN UNO
  22. 3. IL RITORNO DEL FILOSOFO NELLA CAVERNA E IL FALLIMENTO DEL PRINCIPIO DI AZIONE
  23. 3.1. TRA PERSUASIONE E AUTORITÀ
  24. 3.2. LA TRASFORMAZIONE DELLE IDEE IN UNITÀ DI MISURA
  25. 3.3. LA RIVOLUZIONE DI PLATONE E LA LACUNA TRA PASSATO E FUTURO
  26. 3.4. L’INTRODUZIONE DEI MITI NELLA POLITHEIA DI PLATONE
  27. PARTE TERZA. UN’INTERPRETAZIONE PSICOANALITICA DEL MITO
  28. 1. IL LINGUAGGIO UNIVERSALE DEI SIMBOLI
  29. 2. L’ARCHETIPO DELLA CAVERNA
  30. 3. IL PROCESSO DI INDIVIDUAZIONE
  31. 4. IL MITO DELL’EROE E L’ARCHETIPO DEL VIAGGIO
  32. PARTE QUARTA. SPETTATORI DI OMBRE
  33. 1. LE OMBRE E IL CINEMA
  34. 2. La comunicazione tele-visiva
  35. 2. LA SOCIETÀ DELL’IMMAGINE
  36. 3. IL TELE-SPETTATORE
  37. Conclusione
  38. Bibliografia