Il mercato rende liberi
eBook - ePub

Il mercato rende liberi

e altre bugie del neoliberismo

  1. English
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Il mercato rende liberi

e altre bugie del neoliberismo

About this book

"Non esistono ricette universali, né politiche sempre e comunque superiori alle altre; gli economisti dovrebbero smettere di vendere questa pericolosa illusione alle opinioni pubbliche e ai responsabili politici. Il mercato rende liberi è l’antidoto perfetto per la tentazione della semplificazione che tanti danni ha fatto e continua a fare nel dibattito pubblico. Il cammino è ancora lungo, come lo stesso Mauro Gallegati ci mostra in questo libro, tuttavia i passi avanti sono stati notevoli proprio nei campi che in questi anni si sono dimostrati più rilevanti, dai modelli dell’instabilità finanziaria e delle crisi alle teorie dell’innovazione e del progresso tecnico, per citare solo i più ovvi. Certo, la teoria non è ancora consolidata, ma ciò non giustifica il persistere di politiche e metodi di analisi la cui credibilità è stata definitivamente rimessa in causa dagli eventi degli ultimi dieci o quindici anni.È importante leggere il libro di Mauro Gallegati oggi e lo sarà ancor di più quando la crisi del nostro tempo sarà alle spalle e si dovrà resistere alla tentazione di un ritorno al business as usual."
Dalla prefazione di Francesco Saraceno

Frequently asked questions

Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
No, books cannot be downloaded as external files, such as PDFs, for use outside of Perlego. However, you can download books within the Perlego app for offline reading on mobile or tablet. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
  • Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
  • Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
Both plans are available with monthly, semester, or annual billing cycles.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access Il mercato rende liberi by Mauro Gallegati in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Business & Business General. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

capitolo 1

Come la fede nel libero mercato ha trasformato
una disciplina utile in una scienza inutile
ed è divenuto mainstream
Esiste una pretesa scienza economica? Non ne sono affatto certo. Esiste una montagna di libri di economisti, che hanno ridotto l’uomo ad automa, un automa che si suppone capace di prevedere il futuro, di massimizzare la sua utilità o il suo profitto. Esiste una concezione meccanicistica della società, in cui tutti gli attori economici operano senza sbagli e senza pentimenti. Esiste l’astrazione di un mercato di concorrenza perfetta, che conduce immancabilmente a un “equilibrio” ottimo (magari di piena occupazione). Esistono o sono esistiti economisti pseudo-liberali, che hanno creduto a tali favole.
Sergio Ricossa, “Introduzione” a Friedrich von Hayek, La società libera, 2011.
Il fatto più rilevante nella storia economica dell’uomo è che fino al 1700 il PIL pro capite ha un andamento grosso modo piatto, ai limiti della sussistenza: la vita media attorno ai 30 anni, pochissimi erano in grado di leggere e scrivere, le calorie – soprattutto vegetali – a un livello medio di 1400. Poi una crescita esplosiva dovuta alla prima rivoluzione industriale che libera la produzione energia dal lavoro animale – uomo compreso – raddoppia in pochi anni la produzione. Dapprima in Inghilterra, poi in parte dell’Europa, l’economia si trasforma diffondendo la ricchezza in modo continuo seppur disomogeneo tra individui e nazioni. La produzione – spesso svolta senza rispetto della natura e della qualità delle condizioni di lavoro – inizia a essere dedicato a beni non strettamente legati alla sussistenza.
Il PIL, dopo aver ristagnato per secoli, inizia a crescere tumultuosamente con la prima rivoluzione industriale, quella del motore a vapore. Gli economisti classici, da Smith a Ricardo, sostengono che l’innovazione non è solo un coefficiente, un numero che aumenta, ma fa cambiare la struttura dell’economia, la società e la natura stessa. Grazie alle innovazioni, il medesimo numero di lavoratori può produrre una quantità di beni maggiore consentendo ai disoccupati tecnologici – quelli sostituiti dalle macchine – di passare a svolgere nuovi lavori, magari migrando dall’agricoltura alla manifattura. Su questa linea, Schumpeter definirà anni dopo l’innovazione come “distruzione creatrice”, cioè, una novità che cambia non solo la quantità della produzione, ma anche la modalità del processo e la struttura dell’economia – beni e servizi nuovi, occupazione dall’agricoltura alla manifattura ai servizi, dai beni materiali a quelli immateriali. Si può sostenere che mentre la crescita si riferisce al fenomeno secondo cui le stesse cose diventano semplicemente più grandi – come se si usasse un pantografo – l’idea di sviluppo si riferisce a un’epoca in cui molte cose conoscono cambiamenti qualitativi.
L’economia è infatti continuamente trasformata da innovazioni. Se, nel 1700, l’80% dei lavoratori statunitensi era occupata nel settore primario, oggi tale quota è inferiore al 2%; il 95% dei prodotti disponibili oggi non c’erano allora; nello stesso tempo sono comparsi nuovi attori (ad es. banche centrali), posti di lavoro e mercati (interbancari, futures, pronti contro termine, ecc.) e il settore pubblico occupa ora il 50% degli occupati. Le innovazioni hanno quindi trasformato l’economia cambiando la sua struttura e le interazioni tra agenti, anche se il singolo dovesse seguire le medesime regole.
ma voi ci credete davvero?
Al primo convegno sulla complessità del Santa Fe Institute nel 1987 questa era la domanda ricorrente rivolta agli economisti, da tutti gli altri partecipanti – fisici, biologi o chimici che fossero (Waldrop, 1993). Si riferivano al modello standard e alle sue inverosimili ipotesi, che uno si chiede ma come fa la realtà a obbedire a tanta astrazione.
Uno dei problemi principali dell’economia è: come si coordinano miliardi di individui che si scambiano miliardi di beni e servizi in una rete di legami commerciali così estesa da essere paragonabile a un numero di Avogadro (1 seguito da 17 zeri)? La risposta dell’economia dominante è stata: il mercato, dove si incontrano individui tutti mossi dalla ricerca del massimo risultato col minimo sforzo e uguali tra loro a parte le dotazioni iniziali di risorse e gusti. Dalla prima formulazione di Walras a quella di AD fino ai DSGE il problema è “risolto” dai prezzi. Purtroppo quella soluzione – come si sa e vedremo – è sbagliata tanto da far divenire un problema teorico in un dogma, cioè in una questione di fede. Più recentemente si è poi pensato a utilizzare uno strumento – l’agente medio o rappresentativo – di modo che le scelte del singolo medio siano le decisioni medie di tutti, cioè quelle di una famiglia media di Brisighella a quelle dell’Italia intera. La soluzione, tanto banale quanto incoerente, si prefiggeva di risolvere il problema: con individui uguali non c’è motivo di interagire né ci sono problemi di coordinamento.
Molta enfasi è stata posta sulla capacità di sviluppare teorie scientificamente coerenti invece di abbinarle ai dati. Una interpretazione della metodologia “come se” (Friedman, 1953), che dominava e governa ancora l’opinione di consenso, ha permesso agli economisti di interpretare erroneamente gli assiomi (cioè verità rivelate o indiscutibili) come se fossero ipotesi (cioè ipotesi empiricamente verificabili). L’argomento “come se” di Friedman è stato criticato come abusato e “strumentalmente” semplificato o frainteso come la logica di “qualsiasi ipotesi va bene se aiuta a spiegare i dati”. Friedman era un eminente sostenitore dello strumentalismo. L’affermazione precedente è troppo impressionistica per rappresentare correttamente la logica di Friedman, tuttavia è così che l’argomento “come se” viene spesso semplificato e frainteso. Boland (1979) fornisce una solida descrizione dello strumentalismo di Friedman: (i) “Le teorie non devono essere considerate affermazioni vere sulla natura del mondo, ma solo modi convenienti di generare sistematicamente le conclusioni già note”; (ii) Friedman “afferma che fintanto che il fenomeno osservato può essere considerato una conclusione logica dell’argomento contenente il falso presupposto in questione, l’uso di tale presupposto dovrebbe essere accettabile. In particolare, se stiamo cercando di spiegare l’effetto del comportamento assunto di alcuni individui (ad esempio la curva di domanda derivata con il presupposto di massimizzare il comportamento), fintanto che l’effetto è effettivamente osservato e sarebbe l’effetto se si comportassero effettivamente come ipotizziamo, possiamo usare il nostro presupposto comportamentale anche quando il presupposto è falso. Cioè, possiamo continuare a rivendicare che l’effetto osservato del comportamento dell’individuo (sconosciuto ma presunto) è come se si comportassero come supponiamo”.
Il desiderio di fornire esempi scientifici è così invasivo che l’analisi dei fatti reali viene sostituita da un vero apparato assiomatico, spesso presentato come ipotesi o ipotesi semplificatrici. Antonio Palestrini riassume bene il problema con l’espressione: a volte in economia si dice “supponiamo”, che significa in realtà “assiomatizziamo”. I modelli economici spesso implicano il “come se”, per “specificare quale tipo di prova è rilevante” per la veridicità o falsità delle ipotesi o “per specificare quali affermazioni dovrebbero o non dovrebbero essere valutate per la verità” (Lehtinen, 2013). Se un’ipotesi o un’ipotesi viene introdotta in un modello economico senza alcun test empirico, questi sono effettivamente assiomi. Questa non è una sottigliezza per una disciplina fondata sull’economia matematica come sistema formale. Formalmente, le ipotesi non sono che verità temporanee che consentono di procedere con la modellazione, prima di testarle. Gli assiomi sono affermazioni che non seguono da altre affermazioni come le loro premesse e non hanno bisogno di essere provate.
l’economics come “inghiottitoio” dell’economia politica
Verso la metà del XVIII secolo, alcune delle economie occidentali vengono trasformate dal progresso tecnologico portato dalla Rivoluzione industriale. Questo avviene un secolo dopo Newton: dalla piccola mela agli enormi pianeti, tutti gli oggetti sembrano obbedire alla semplice legge di gravitazione. Per la nuova figura di scienziato sociale, l’economista, è dunque naturale prendere in prestito il linguaggio – la forma – della scienza di maggior successo, la fisica appunto. È da allora che la fisica meccanica del XVII secolo governa l’economia. Tra le possibili strade alternative, imboccate da tutte le altre discipline, dalla biologia alla sociologia alla fisica, l’economia sceglie di adottare solo lo strumento matematico non accompagnato dalla verificabilità delle ipotesi, il che dà luogo alla deriva assiomatica e alla non falsificabilità del modello stesso (poiché gli assiomi sono veri per definizione). Così se nel capitolo finale della sua Teoria generale Keynes può sostenere che i politici sono schiavi di teorie economiche superate, possiamo dire che, a loro volta, gli economisti sono tuttora schiavi della fisica di Newton.
Sul finire dell’Ottocento l’economia diventa economics, con la pretesa di farsi scienza misurabile. E quindi confutabile, ci si sarebbe aspettati. Non è andata però così. Vediamo perché. Siamo negli anni quando la fisica di Newton – che si basa sul determinismo del principio causa-effetto, sul riduzionismo per cui ciò che accade è scomponibile nella somma delle singole parti e dell’equilibrio come bilanciamento “naturale” tra le forze – è la regina delle scienze. E a essa si rivolge l’economista: il primo corso di laurea in Economia è istituito a Cambridge, con Marshall, nel 1881. Il rigore fascinoso della fisica è indubbio e il suo successo empirico travolgente. La fisica statistica, dell’interazione e della non linearità è ancora di là da venire e l’effetto che si ottiene è paradossale. Le “leggi” di Newton, pensate per grandi oggetti, vengono applicate in economia per studiare il comportamento individuale – micro. Siamo oggi nella situazione per cui in fisica la micro si modella con la fisica statistica e la macro con la fisica classica, mentre l’opposto avviene in economia.
L’identificazione metodologica di fisica ed economia produce la riduzione dell’agente economico all’homo œcoonomicus, del tutto assimilabile a un atomo e alla non considerazione del tempo. Vediamo come. Per utilizzare gli strumenti della fisica, l’economista deve compiere altre due, non neutrali, assunzioni: 1. il sistema non cambia – cioè l’economia di oggi è paragonabile, per esempio, a quella dell’anno 1000, assunto quasi ovvio in fisica – e dove inoltre non c’è pensiero strategico né apprendimento; 2. il comportamento degli agenti economici può essere ricondotto a quello degli atomi, cioè all’assenza di strategia. Il primo punto equivale all’ipotesi di ergodicità, cioè che non esista una freccia del tempo – questo ci porta allo “stigma di Hahn” di cui parliamo nella prossima sezione; l’altro all’assenza di interazione, ossia tutti gli agenti devono avere la stessa informazione altrimenti si cerca di trarne profitto dai differenziali di conoscenza e i prezzi non coordinano più. Questo porta all’autodistruzione delle “regolarità empiriche” in economia perché c’è l’azione umana. Supponiamo ad esempio che ci sia un rally in borsa ogni volta che sull’inserto settimanale di uno dei principali quotidiani nazionali si predice “fortuna in amore” per i nati in Pesci. Se tale correlazione venisse scoperta, tutti vorrebbero acquistare e nessuno vendere, annullando così il rally mentre le mele continuano a cadere a terra anche se si scopre la legge di gravità.
Gli economisti che più hanno familiarità con la matematica riconoscono che la modellizzazione dell’“equilibrio economico generale” di Arrow-Debreu è assai fragile – emblematico il fatto che Arrow abbandona il modello mainstream dopo averlo formalizzato per fondare l’economia della complessità al Santa Fe Institute e che l’altro dioscuro dell’equilibrio economico generale, Debreu, lo affondi col “teorema” SMD secondo cui in tale mondo “tutto è possibile” e quindi niente è verificabile e nessuna affermazione esprimibile. Nonostante ciò, la maggioranza degli economisti continua a utilizzare il modello assiomatico mainstream non avendo a supporto che la fede, come se le obiezioni sollevate fossero solo minori ed emendabili aggiungendo epicicli. Ma così non è e d’altra parte i risultati empirici sono sistematicamente dissonanti con la teoria economica dominante. E quando il corpo delle evidenze aumenta in modo consistente nascono le condizioni per abbandonare i vecchi teoremi e fare un salto di paradigma. Anche se, come ricordava Planck, “una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi oppositori si convincono e vedono la luce, quanto piuttosto perché alla fine muoiono, e nasce una nuova generazione a cui i nuovi concetti diventano familiari” .
Ma perché il mainstream nonostante le incoerenze teoriche e gli insuccessi empirici sopravvive? Per fede, perché l’economia (e la politica economica), soprattutto quella mainstream, è ridotta a gioco intellettuale inutile e spesso dannoso. Keynes (1936, capitolo 14) ci ricorda che lo stesso avvenne col sistema ricardiano: “Ricardo ci offre la suprema conquista intellettuale, irraggiungibile dagli spiriti più deboli, di adottare un mondo ipotetico lontano dall’esperienza come se fosse il mondo dell’esperienza e quindi di viverlo coerentemente. Con la maggior parte dei suoi successori il buon senso non può fare a meno di irrompere, con danni alla loro coerenza logica. La completezza della vittoria ricardiana è una curiosità e un mistero. Deve essere stato dovuto a un complesso di idoneità della dottrina all’ambiente in cui era proiettato. Il fatto che abbia raggiunto conclusioni del tutto diverse da ciò che la persona ordinaria non istruita si aspetterebbe ha accresciuto, suppongo, il suo prestigio intellettuale. Il fatto che il suo insegnamento, tradotto in pratica, fosse austero e spesso sgradevole, le dava virtù. Il fatto che fosse adattato per trasportare una vasta e coerente sovrastruttura logica, gli dava bellezza. Il fatto che potesse spiegare molte ingiustizie sociali e l’evidente crudeltà come un incidente inevitabile nello schema del progresso, e il tentativo di cambiare cose che nel complesso potrebbero fare più male che bene, lo ha raccomandato all’autorità. Il fatto che fornisse una misura di giustificazione alle libere attività del singolo capitalista, attirò a esso il sostegno della forza sociale dominante dietro l’autorità”.
box_1a.webp
box_1b.webp
Una teoria può essere sbagliata o solo mal formulata, ma di certo nessuna è autosufficiente. Gödel dovrebbe aver insegnato che una teoria non può essere allo stesso tempo coerente e completa e Popper che tutte sono falsificabili – senza dimenticare che le verifiche stesse possono essere sbagliate. Poche discipline sono però incoerenti e non verificabili: la religione e l’economia tra queste. Ora mentre la prima non aspira a essere scienza, l’economia sì. Un noto autodafé è quello di Charles E. Ferguson (1969, p. xv): “[La] validità [della critica della teoria neoclassica sulla misurabilità del capitale] è indiscutibile, ma […] per noi, fare affidamento sulla teoria economica neoclassica è una questione di fede. Personalmente ho la fede”. Per fortuna degli umani l’economia va avanti e si innova, ma potrebbe farlo meglio – ad esempio riducendo le disuguaglianze sociali e con un modo di produrre rispettoso della natura – anche se la teoria non è coerente – come i pianeti che continuavano il loro moto attorno al Sole anche a sistema tolemaico accademicamente imperante. Per nostra sfortuna però, considerare la sola massimizzazione del profitto ci ha infilato in una trappola evolutiva. Molto spesso gli economisti prendono troppo sul serio la loro disciplina, ricavano inverosimili conclusioni da assiomi improbabili – come l’“austerità espansiva”, che pure il correttore automatico di Word segnala come errore – e ci fanno del male proponendo politiche economiche inutili quando non dannose, come chi consigliava l’austerità alla Grecia post-2008 e, per sopravvivere al Covid-19, di non morire prima dei 120 anni perché la mortalità per classi di età è zero per gli over 120.
Nel suo nucleo la teoria economica mainstream è assiomatica ed è per questo che si è preoccupata soprattutto della coerenza interna, cioè che le premesse fossero coerenti con le conclusioni. Ma l’esito a cui è giunta non corrisponde a quanto sperato: il libero mercato garantisce l’esistenza di un sentiero di equilibrio, ma non la sua unicità – se non a particolarissime condizioni – né la sua stabilità. Nella versione con aspettative razionali l’esistenza è poi conseguente a un assioma: la conoscenza del vero modello dell’ec...

Table of contents

  1. Il mercato rende liberi
  2. Indice
  3. Prefazione. Per un’economia della complessità di Francesco Saraceno
  4. Premessa
  5. Introduzione
  6. Capitolo 1. Come la fede nel libero mercato ha trasformato una disciplina utile in una scienza inutile ed è divenuto mainstream
  7. Capitolo 2. Perché l’economia ha bisogno della complessità
  8. Capitolo 3. Auspici, tarocchi e scienze sociali
  9. Bibliografia