Fellini anarchico
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Fellini anarchico

Goffredo Fofi

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Goffredo Fofi

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Furono per primi due francesi, il critico André Bazin e più tardi lo scrittore Daniel Pennac, a parlare di un «Fellini anarchico» e cosciente di esserlo. D'altronde il suo cinema – sempre attento ai marginali, di cui racconta i confusi tentativi di rivolta e la fatica di vivere – si è avvalso di geniali sceneggiatori come Ennio Flaiano, Tonino Guerra o Bernardino Zapponi, alcuni dei quali dichiaratamente anarchici. Ed è indubbio che anche l'humus romagnolo e il giovanile confronto con il fascismo abbiano influito sulla sua visione della società, come risulta evidente in Amarcord, il suo film più autobiografico. Ma la diversità felliniana è altrettanto evidente in capolavori come Otto e mezzo o La dolce vita, in cui il regista prefigura la mutazione antropologica in atto in Italia, sancendo al contempo la sua irrecuperabilità di artista a un qualunque ordine borghese. Sono però le sue ultime opere – Satyricon, Casanova e La voce della luna – quelle in cui la narrazione si fa metafora e giudizio, rendendo infine esplicita l'irriducibile distanza di Fellini da una società che non a caso ci mostra nella sua degenerazione festaiola e conformista, nell'euforia consumista della «sagra dello gnocco»…

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Information

Publisher
Eleuthera
Year
2021
ISBN
9788833021256
capitolo quarto
Intorno a Gelsomina: i perdenti
Metto insieme delle citazioni felliniane, una delle quali da un’intervista che gli feci io stesso: «La scelta del diverso, del marginale, dello strano, del matto, dipendeva un po’ dalle cattive letture e poi da una mia inclinazione alle forme dello spettacolo popolare, al circo equestre come la più popolare di tutte. Lì, l’estremo, l’eccesso, il fenomeno, sono di casa e all’estremo c’è il vagabondo, proprio quello di Chaplin, caricatura di un personaggio tra l’angelico e il feroce. C’era in me una simpatia per queste figure sulla quale non riesco a far luce, se non tornando ai ricordi d’infanzia, al ‘Corriere dei Piccoli’, alla grande seduzione esercitata su di me da Bibi e Bibò, da Arcibaldo, da Fortunello. Credo che Gelsomina, Cabiria e in generale l’aspetto clochard e clownesco, la simpatia per quei personaggi e per quelle storie, abbiano appunto queste matrici: il ‘Corriere dei Piccoli’, Il circo di Chaplin, Dickens, Pinocchio, senza tentare interpretazioni più sottili, che non mi appartengono. Questi sono stati i miei angeli custodi, le fonti delle mie ispirazioni».
In un’altra intervista, questa con Giovanni Grazzini, diceva: «Le radici da cui sono nati Gelsomina e Zampanò e la loro storia pescano in una zona profonda e oscura, costellata di sensi di colpa, timori, struggenti nostalgie per una moralità più compiuta, rimpianto per un’innocenza tradita». E a proposito dell’innocenza: «Davanti a un innocente mi arrendo subito e mi giudico pesantemente. I bambini, gli animali, gli sguardi con cui ti fissano certi cani, l’estrema modestia che certe volte ravviso nei desideri della gente umile, ha il potere di turbarmi».
Questa «zona dell’infanzia» è il punto di partenza di alcune ispirazioni fondamentali del cinema di Fellini. Solo che queste ispirazioni, queste intuizioni, questa fedeltà all’immagine dell’infanzia, cambiano nel corso della vita di Fellini come cambiano nel corso della vita di ognuno. Diceva il grande Witold Gombrowicz in Ferdydurke che «siamo tutti foderati di infanzia», l’infanzia ci perseguita e in qualche modo ci definisce, ci chiude ma anche ci apre, ci indica delle possibilità (o dei sogni).
Lo spostamento, la vera rottura in questo ordine, il vero accesso alla maturità, è stato per Fellini il ritorno a un altro tipo di infanzia, a un altro tipo di fantastico, di mondo immaginario che non era più quello esteriore, immediato, della fiaba o del fumetto bensì qualcosa di molto più intimo: «Ho spostato», ha detto in un’altra intervista, «il mio punto di vista senza deludermi nell’ansia di vedere in maniera fantastica i paesaggi del mondo magico. Ho cambiato orizzonte, mi sono messo da un’altra parte guardando queste cose non come a un mondo sconosciuto fuori di me ma come a un mondo dentro di me». Rivendicò questo salto fondamentale nella sua opera, che poi è il salto di Otto e mezzo, attribuendolo all’influenza avuta su di lui da Bernhard, il grande psicoanalista junghiano. Fellini ha detto più volte, e me lo ha ripetuto, che la lettura di Jung, soprattutto di Sogni, memorie e riflessioni, era stata per lui fondamentale, insieme a quella di Pinocchio, e che il libro di Jung era il libro a cui era tornato più spesso e che più aveva influito sulla sua esistenza. (E fu lui a farmelo conoscere, regalandomi una copia dell’edizione economica. Due altri libri ho avuto da lui in regalo, entrambi di Jane Roberts: Le comunicazioni di Seth e Un libro di Seth. La vostra realtà quotidiana, le conversazioni registrate di una medium americana degli inizi del Novecento con uno spirito egizio di non so più quale dinastia!).
È anche questo lo sfondo su cui bisogna collocare la figura del «diverso», del marginale, del vagabondo, del bizzarro, del fisicamente o mentalmente «imperfetto» (o, come oggi si dice, del disabile, come se esistessero dei «perfetti»!), che ha anch’essa un’evoluzione nella sua opera, che non è ferma, che cambia nel corso degli anni.
La chiave fondamentale di queste figure è quella del «povero di spirito» d’origine evangelica: «Beati i poveri di spirito perché di loro è il regno dei cieli». Che è anche quella, a ben vedere, di tanta grande letteratura dell’Ottocento, per esempio di Dostoevskij. Per i cattolici, il povero di spirito è colui che accede al Regno dei cieli prima degli altri, e per i credenti è anche un’indicazione pratica: è con la forza dei semplici che si può accedere al mistero, alla santità. Per Fellini le tante figure dei «semplici» hanno un’origine abbastanza precisa, gli vengono dal rapporto con Rossellini, fondamentale per lui anche da questo punto di vista. È per Rossellini e su sua influenza e spinta che Fellini lavora sul personaggio della pazza Anna Magnani in Il miracolo (1948); è Fellini che scrive insieme a Rossellini Europa ’51 (1952) e altri film fondamentali nel cinema rosselliniano, nel passaggio dalla registrazione del reale alla reinvenzione del reale, un reale spesso poco «realistico», perché vira all’esemplare e al metaforico e al metafisico, nella ricerca di quella verità più profonda che nella narrazione del reale apparente può sfuggire.
Rossellini è una sorta di genio tutelare, con cui Fellini deve anche confliggere perché, per affermarsi, l’allievo ha anche bisogno di definire un proprio territorio diverso da quello del maestro; però Rossellini c’è, e non bisogna dimenticarsene.
Non parlerò di quella cosa più banale – anche perché troppo evidente e troppo studiata – di quelle ossessioni femminili ricorrenti nei suoi film, e via via più astratte, meno realistiche: i personaggi delle tettone, le saraghine, le Anitone dei suoi film, i manifesti giganti delle super-donne che prendono vita e ossessionano i censori democristiani, eccetera, eccetera. Per quanto importantissima, questa zona è un po’ retrò: rimanda in definitiva a un modo di vedere la donna quale poteva avere un uomo della generazione di Fellini, un modo certamente maschilista, certamente non liberatorio, condizionato da usi, costumi e abitudini peggio che discutibili. In questo Fellini rimane a lungo un vitellone, perlomeno fino a Giulietta degli spiriti, dove è il regista a spronare la sua attrice (e consorte!) a liberarsi, e a quella Città delle donne dove si mette in discussione, di fronte all’aggressivo avvento di un nuovo femminismo, in modi ancora incerti e ambigui, ma tuttavia onestamente, tentando quell’«autocoscienza maschile» che al tempo molti giovani maschi vollero praticare. E forse un po’ vitellone Fellini è sempre rimasto, come tanti di noi anche più giovani di lui.
I suoi film forse più ambigui e difficili da decifrare sono proprio Giulietta degli spiriti e La città delle donne, e andrebbero rivisti e analizzati da donne che probabilmente non li amano, e non da critici di sesso maschile, perché hanno dentro qualcosa che non ci appartiene più, ma anche risvegliano una complicità spesso deteriore con il loro autore.
Nel 1950, Fellini collabora alla sceneggiatura di Francesco giullare di Dio di Rossellini, ne segue in parte la lavorazione, ed è forse questo un punto di svolta fondamentale per la sua ispirazione, o meglio per la coscienza di una parte assai rilevante della sua successiva ispirazione di regista, di «creatore». Chi c’è più «povero di spirito» di Francesco – certamente di quello dei Fioretti, ma anche in buona parte, è ipotizzabile, del Francesco storico, reale?
Qualcosa di Francesco e qualcosa della pazza del Miracolo entrano in uno strano rapporto con la Pallina dei testi per la radio, scritti per la compagna della sua vita, allora giovane quanto lui. Cico e Pallina vengono prima di Rossellini, e rimandano alle sue vignette per il «Marc’Aurelio». Giulietta viene prima di san Francesco e della Magnani… ma è ancora una «proto-Giulietta», l’annuncio di qualcosa in incubazione. Giulietta Masina, la compagna di Fellini di tutta la vita, sembra essere, nella realtà, perfetta per il tipo di fantasticheria che lui ha costruito: una piccola donna-clown, con la semplicità dei «poveri di spirito» e, anche in quanto donna, carica di un suo mistero, di una diversità evidente rispetto ai personaggi femminili del cinema del tempo, degli ideali del tempo, troppo realistici per la sua ispirazione. Il personaggio ancora secondario della Masina (in Senza pietà di Lattuada ma scritto da lui, in Luci del varietà, in Lo sceicco bianco…) si preciserà nei due film di cui è protagonista, i primi grandi successi internazionali del cinema di Fellini.
Sarebbe molto interessante confrontare le diverse Giuliette di Federico, ma non tanto quella più complessa di Giulietta degli spiriti quanto la Giulietta delle sceneggiature, la Giulietta di La strada, la Giulietta di Cabiria, la Giulietta di Europa ’51, che viene anche questa dalla penna di Federico ed è una variante, più vitale allegra estroversa, e più risolta, in qualche modo più contenta di sé nella sua diffusa maternità e sensualità. Forse è il vero personaggio masiniano, il più significativo e nuovo, il più libero dei suoi personaggi femminili e il più rappresentativo (grazie anche a Rossellini?) del cinema di Fellini, e con quello del Bidone è il suo personaggio più normale, realistico.
La strada è servito da riferimento obbligato per altri film di Fellini. Fortunella (1958), affidato alla regia incerta di un Eduardo De Filippo meno a suo agio di quando lavorava su propri testi, ha per esempio delle attinenze fortissime con La strada, ne è una sorta di retorico bis (ma in Fortunella domina Sordi in un’interpretazione superlativa e geniale, come fortissima variante di Zampanò).
Nel finale de Il bidone (1955), Giulietta, rovesciando in qualche modo il suo ruolo, diventa la persona semplice e saggia nei confronti del marito bidonista interpretato da Richard Basehart: un bidonista un po’ scombinato ma simpatico, che però è anche il più bugiardo, il più fiacco, il meno responsabile, il più vile dei bidonisti. E il meno tragico, anche perché sembra rifiutare la dimensione della tragedia, che invece arriva con la morte di Broderick Crawford, nel finale del film, che è uno dei più forti finali del cinema del tempo, più straziante perché più gelido di quello di La strada. Nel Bidone un incontro molto significativo – perché ciò cui allude non è il rimorso per ciò che si è perduto, diciamo pure per la possibilità di accedere alla Grazia, come accadeva in La strada e come accadrà a Mastroianni di fronte alla servetta umbra nel finale di La dolce vita – è quello del bidonista principale, Augusto (Broderick Crawford), che si perde perché commosso da un’istintiva e vera comunicazione con un altro essere umano, che è infine una variante di Gelsomina, una minorata ma non una ritardata come era Gelsomina: la ragazza storpia del pre-finale del film, nella casa dei contadini, che porta Augusto a perdersi salvandosi (salvando l’anima!) e a pagare questa scelta con la vita. L’elemento della verità, della rivelazione, è il muto dialogo con una povera ragazzina sciancata.
Il personaggio di La strada fu decisivo per l’affermazione, anche internazionale, della Masina, ma le precluse ruoli più complessi, fin quando il marito non si decise a scrivere per lei Giulietta degli spiriti. In un film come Nella città l’inferno (1959) di Castellani, dove non sembra esserci stata la mano di Fellini, la Magnani diventa una sorta di Zampanò, una Magnani virile, una Magnani «guappa», una Magnani violenta e un po’ camorrista di fronte alla quale la Masina è di nuovo una Gelsomina turlupinata dalla vita, una che non sa essere all’altezza delle situazioni e dominarle invece che farsene dominare. E non bisogna dimenticare che i suoi personaggi vanno collocati in un’epoca che è quella delle maggiorate e delle Anitone, anche se per il cinema le maggiorate, le tettone, sono figure mitiche, sono giganti: quasi una parodia delle «maggiorate» che piacevano agli italiani di allora, quelli di Gli italiani si voltano, l’episodio di Lattuada in L’amore in città. Sono esagerazioni, e sono una delle spie dell’accesso a un cinema moderno, che non è quello del realismo e neanche della commedia, ma un cinema all’altezza della riflessione filosofica, metafisica, ma anche storica e sociologica più alta proposta dal secondo dopoguerra, che è «la strada» seguita dai Bresson, Dreyer, Buñuel, Clouzot, Bergman, Antonioni, Kurosawa, Tarkovskij, e parte in Italia da Rossellini e procede con Fellini e va verso Pasolini, in quanto quel che loro hanno portato al cinema prima non c’era. Hanno portato qualcosa di davvero nuovo, rispetto ad altri registi pur grandi, ma che lavoravano all’interno di convenzioni letterarie e cinematografiche definite, e strette. Qui, invece, qualcosa di nuovo arriva, che prima non c’era o era nell’ombra, e che si afferma con decisione, perfino con una certa violenza.
Un altro paragone c...

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Fofi, G. (2021) Fellini anarchico. [edition unavailable]. Eleuthera. Available at: https://www.perlego.com/book/2105239/fellini-anarchico-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Fofi, Goffredo. Fellini Anarchico. [edition unavailable]. Eleuthera, 2021. Web. 15 Oct. 2022.