Cody aveva appena inaugurato i suoi galloni di capitano, che il reggimento venne inviato più a sud, a presidiare una zona, al confine del Kansas col Texas, dove si temevano nuovi disordini, specialmente da parte degli indiani Cherokee e Seminole, sempre turbolenti e mal sofferenti il freno della civiltà. Ma erano appena giunti ai nuovi quartieri, che ricevettero l’ordine di tornare verso il nord, e di recarsi nel Colorado, ai confini con l’Utah, dove erano accaduti gravissimi fatti, dovuti agli indiani Scioscioni ed ai loro amici, gli Ute ed i Piute, i quali, per quanto Aquila Bianca avesse tosto compreso il tranello, ritraendosene, erano istigati da Brougham Young, il capo del Mormoni. Costui, fingendo di volerli accordare tra di loro, tentava di servirsene come uno strumento contro gli altri bianchi.
Questa dei Mormoni era, ed è tuttavia, per quanto assottigliata e per quante concessioni abbia finito per fare, una setta di individui, fondata da un tale Giuseppe Smith, fucilato poi nell’Illinois, per aver sostenuto che la razza rossa è una razza sacra, i cui seguaci si fanno chiamare, i Santi. Costoro predicano il comunismo e la poligamia, che sono, in fondo, le basi delle loro credenze, assieme ad una Bibbia immaginata a loro uso e consumo dai loro saggi.
Dopo la fucilazione di Smith, i Mormoni, che cominciavano ad essere numerosissimi, emigrarono in massa verso il Colorado, fermandosi, per la più gran parte nell’Utah, sulle rive del Lago Salato, dove avevano fondata una grande città, appunto detta Città del Lago Salato, nella regione già abitata dai Piute, che dovettero ritirarsi più al sud. Qui, i Mormoni, perseguitati da tutte le altre popolazioni degli Stati Uniti, che li chiamavano, per derisione, indiani bianchi, si fermarono, dopo di aver proclamata la loro indipendenza e l’inviolabilità delle terre da essi abitate.
Intanto, cominciavano a catechizzare i loro vicini, asserendo loro che, dietro a rivelazioni ricevute dagli angeli, potevano garantire essere i rossi i figli di Laman, i rimasugli delle disperse tribù d’Israele, ed il popolo eletto da Dio, assicurando che il giorno della rinascita della razza rossa non era lontano.
Oltre a ciò, per meglio asservirli a sè, proclamavano d’essere in possesso di antichi libri indiani, nei quali era narrata la loro storia, e che costituivano le Sacre Scritture della grande razza, per cui si andava avvicinando un’era santa, nella quale capi e profeti pellirosse sarebbero stati chiamati a sostenere una parte importantissima.
Sempre secondo loro, il Primo Testimonio ed il Primo Apostolo avevano mandata una rivelazione, fatta pubblica, e secondo la quale la Nova Sion avrebbe dovuto sorgere sulla terra dei Lamaniti.
Tutte queste storie, dunque, mal comprese da animi rozzi e semplici, servivano a tenere in visibile fermento Scioscioni e Ute con conseguenze gravissime per l’ordine pubblico, tanto più che i Mormoni, per assicurarsi il dominio delle terre, istigavano gli indiani ad assalire ed a trucidare quante più carovane di emigranti potessero, mentre stringevano sempre più i legami con i rossi, sposando anche donne di colore.
Intanto uno dei più terribili risultati fu quello dell’eccidio di una carovana numerosissima, di circa duecentocinquanta emigranti, tra uomini e donne, che furono tutti massacrati al Monte della Prateria, dove s’erano attendati, da una banda di indiani cui si sospetta fossero mescolati numerosi bianchi appartenenti a quella setta. Ben cinque commissioni, inviate sul posto, non avevano saputo dire a chi spettasse la responsabilità dell’eccidio, nè se il maggior colpevole fosse il capo Ute Kanosh, o il colonnello Dame, vescovo mormone, che avevano diretto l’assalto. Tutti i testimoni, vale a dire quei pochissimi che riuscirono a sfuggire al massacro, avevano descritto gli assassini come indiani, o almeno dipinti secondo l’usanza indiana. Ora, è da notare che Kanosh era un vecchio mormone, e che, nelle vene del colonnello Dame scorreva un po’ di sangue Ute.
Dopo la battagla della Montagna della Prateria, a pochi giorni di distanza, doveva, però, avvenirne un’altra, nella quale, per fortuna, gli emigranti bianchi poterono aver ragione degli assalitori, scompaginando così le file dei Scioscioni, e mettendo un termine alla loro potenza. Anche qui, in questo attacco, avvenuto in una località conosciuta appunto sotto il nome di Monte della Battaglia, si sospetta che i Mormoni siano stati quelli che istigarono i rossi ad attaccare gli immigranti.
Questi ultimi avevano condotto seco un buon numero di armenti, che non mancarono di suscitare l’avidità degli indiani, con la promessa di pingui vettovaglie. Molto superiori agli immigrati in quanto a numero, e migliori conoscitori del paese, i Scioscioni, ben preparata un’imboscata, irruppero nel campo di notte, sorprendendo le sentinelle e impadronendosi del bestiame.
Ma gli immigranti non vollero darsi vinti: all’alba si organizzarono, e armatisi, si misero sulle tracce dei rapitori, che raggiunsero in una valle dove fu loro possibile assalire i Scioscioni di fronte e di fianco, sgominandoli e disperdendoli fra le rupi e le balze dei monti. Gli indiani si erano battuti come lupi, ma il loro valore nulla aveva potuto contro le armi, la forza, e la disciplina dei bianchi.
Fu un massacro tale da far rabbrividire chi ne parlava, ma era una vendetta degna della colpa commessa; nè ci voleva meno di tanto per placare l’ira dei bianchi.
Il campo di battaglia, alla sera, era cosparso di cadaveri, ma nessuno seppe mai valutare esattamente le perdite degli indiani, poichè è uso dei pellirosse quello di portar via, dal terreno, più morti sia loro possibile, perchè il nemico non faccia, ai caduti, il disonore di scalparli. Si dice, però, che l’estate seguente si ritrovassero, nella tragica valletta, le ossa di moltissimi guerrieri – si dice oltre a cento – evidentemente morti in quell’incontro.
Quella battaglia segnò la fine della potenza degli Scioscioni che, immediatamente dopo, si separarono anche dagli Ute e dai Piute, loro antichi alleati.
Aquila Bianca, che non aveva mai voluto prendere parte ad atti di brigantaggio, pur tenendosi separato dagli altri rossi con i suoi guerrieri, cercava di ricondurre gli Scioscioni sulla retta via, di indurli ad adottare un modo di vita più pacifico e tale dai non causare la fine della tribù, fine che fu, infatti, dovuta alle continue scorrerie degli Scioscioni, perchè i bianchi, esasperati, di spedizione punitiva in spedizione punitiva, decimarono talmente questa razza di indiani che attualmente i superstiti non sommano a più di duecento individui.
Dopo lo scontro della Montagna della Battaglia, la tribù, sconfitta e smembrata, prese a vagare, abbandonando i suoi territori di caccia, incapace di stabilirsi in qualche altro luogo, o di riprendere il corso della vita normale, e profondamente scissa in due partiti: quelli che non volevano più combattere, e coloro che intendevano riprendere immediatamente le ostilità contro i bianchi. Finì che scoppiò una guerra civile, tutta a vantaggio dei bianchi i quali, mentre gli indiani si azzuffavano tra di loro, cominciarono ad occupare i terreni, a costruirvi delle solide case, ad aprire strade.
Ciò suscitò ancora più le ire di alcuni rossi Scioscioni, che si diedero senz’altro al brigantaggio, uccidendo e scalpando quanti più coloni potevano e portandone via le donne.
Ma la vendetta non poteva tardare, e non tardò: un ardito pioniere, venuto a stabilirsi in quelle terre con la moglie e due belle figliuole, lavorando assiduamente, ed economizzando quanto più poteva, era riuscito a formarsi una discreta posizione. Le ragazze, intanto, crescevano così belle e laboriose che tutti i bianchi scapoli, minatori, agricoltori e cow-boys della regione consideravano felicissimi coloro che avrebbero avuta la fortuna di accasarsi con esse. Ma la prosperità dell’alacre colono aveva suscitata l’ingorda brama della banda dei Scioscioni erranti, quella che aveva voluta continuare le ostilità. E, una notte, questo forte gruppo di armati rossi piombò sulla fattoria, ne uccise tutti gli abitanti, e li scalpò.
Ma qui non si arrestò la loro barbarie: gl’indiani, non contenti di avere oltraggiato le donne, le posero anche alla tortura, frantumando le loro ossa nasali dapprima, spezzando poscia loro braccia e gambe e terminando con lo strappar loro gli occhi. Assieme ai guerrieri, avevano preso parte alla spedizione anche le loro mogli, alle quali, secondo l’uso indiano sono riservati gli atti di tortura, che le «squaw» considerano come un vera voluttà, tanto più ingigantita dall’odio che esso portano verso le donne bianche.
Compiuta quella bella impresa, gli Scioscioni, prima che gli altri bianchi dei dintorni potessero radunarsi per dar loro la caccia, si erano ritirati in un luogo dove l’inseguirli pareva impossibile.
Bill Cody era giunto sul posto proprio in quei giorni, ed il fermento era tuttavia grande, poichè i pionieri non si scoraggiavano tanto facilmente, e l’orrendo delitto gridava ancora vendetta.
D’altra parte, i pionieri non possono nè debbono perdonare questi affronti. Lasciarne uno impunito, sarebbe, agli occhi degli indiani, fare atto di debolezza ed autorizzarli, quindi, ai peggiori eccessi.
Bisognava, dunque, agire energicamente, e punire gli assassini in modo veramente esemplare.
Ma Bill non conosceva bene quei luoghi: per quanto vi fosse passato spesso vicino durante i suoi primi viaggi attraverso al continente, non aveva mai deviato fin lassù, sì che gli era necessario trovare una guida, abile e fidata. Pensò, perciò, ad Aquila Bianca: per generazioni intere i Piute avevano abitato, fra quelle montagne, e quindi non sarebbe stato difficile trovare qualcuno che ne conoscesse bene ogni recesso. Infatti, in risposta ad un messaggero inviatogli da Bill, ecco il capo Piute accorrere in persona con una cinquantina di guerrieri.
— Castigheremo i traditori, – disse il bravo Aquila Bianca. – ma per far ciò è necessario che i soldati rinuncino a questa impresa. Dovranno prendervi parte soltanto i miei Piute ed i bianchi del paese, poichè una truppa, sempre numerosa, è troppo visibile, sovrattutto per i suoi equipaggiamenti.
Aquila Bianca ragionava alla perfezione, e Hancock se ne rese, infatti, conto. Non soltanto, dunque, aderì a quella proposta, ma pensò bene, anche, di ricondurre indietro le truppe di qualche chilometro, simulando d’abbandonare il paese, per non risvegliare la diffidenza delle spie che certamente i Scioscioni vi avevano lasciato. Indi, il gruppo dei bianchi, accompagnato dai Piute, si mise in marcia, con ogni precauzione, per non essere scorti troppo presto, in modo da non dar tempo ai ricercati di salvarsi con la fuga.
Infatti, con la guida di un vecchio Piute, uno dei più anziani e saggi guerrieri di Aquila Bianca, conoscitore perfetto dei luoghi, il gruppo dei vendicatori giunse, di sorpresa, ad accerchiare il campo Scioscione all’alba. Ma qui, una sorpresa li attendeva: gli Scioscioni, evidentemente, avevano avuto sentore del loro arrivo, ed avevano abbandonato l’accampamento, lasciandolo in custodia delle loro donne e dei figli.
L’ira dei bianchi non conobbe limiti: la preda era fuggita, e la vendetta pareva impossibile, poichè si può considerare impresa quasi sovrumana quella di inseguire dei pellirosse in fuga, essendo essi velocissimi alla corsa, sia a piedi che a cavallo, e poi perchè i loro archi e le loro freccie, unico bagaglio che portano in simili casi, costituiscono un peso molto minore di quello costituito dalle sole armi dei bianchi, senza contare le munizioni. Sfogatisi alquanto con imprecazioni e minacce, i bianchi ed i Piute tennero consiglio.
Ma le opinioni erano diverse, e non sarebbero giunti a nessun accordo, se il vecchio Piute che aveva servito da guida non avesse chiesta la parola.
— I miei fratelli bianchi sono troppo saggi e troppo generosi, – disse. – Certamente, ad essi ripugna ciò che io vorrei proporre di fare, ma essi debbono ricordare che la guerra dei rossi è diversa dalla loro.
— Che il mie valoroso capo Occhio-di-Falco dica ciò che pensa, – lo interruppe Aquila Bianca, che sapeva già dove il suo, fedele compagno volesse andare a parare. – Ma temo che i bianchi non accettino.
— Ebbene, – proseguì Occhio-di-Falco, – l’unica cosa che rimane da fare è quella di sparare sulle «squaw»!
— Sparare sulle «squaw»! – esclamarono, in tono di protesta i bianchi. – Ma sarebbe una cosa orribile!
I bianchi avevano, sebbene solamente in parte, ragione, perchè essi non consideravano, come gl’indiani, la donna come un essere da disprezzare, un essere senza valore alcuno. Ma il vecchio guerriero aveva ancora una ragione da dire, e le disse, convincendo i suoi compagni della necessità di agire secondo i suoi consigli.
— E che? – esclamò con tono prezzante. – Forse che questi maledetti Scioscioni hanno rispettate le tre donne bianche? Occhio per occhio, dente per dente, dice la legge della prateria, che è quella degli uomini rossi. E poi, non sono state queste stesse donne, quelle che hanno torturato le vostre sorelle, come le chiamate voi? Su, via, che i fratelli bianchi mi dian retta: sparino sull’accampamento, uccidendo qualche donna e qualche ragazza, e vedranno tosto i guerrieri Sioscioni accorrere alla loro difesa. Essi non possono essere molti lontani!
Su questa proposta si accese una vivace discussione, cui Bill Cody trovò tosto modo di metter termine.
— Occhio-di-Falco ha ragione, – disse. – Egli conosce gli Scioscioni meglio di noi. Del resto, benchè sia gente che, dopo quanto ha fatto, non meriti pietà alcuna, si può sempre usare un poco, di misericordia, usando dello strattagemma proposto soltanto a metà. Voglio dire che si può sparare sulle donne e su ragazzi, solamente ferendo e non uccidendo.
La saggezza di Bill, saggezza imparata appunto crescendo nella prateria, piacque ai bianchi che, senz’altro, decisero di accettare il suo suggerimento.
I fucili vennero puntati sul campo, sparando ciascuno una volta sola. Le donne ed i ragazzi feriti presero a lanciare grida selvagge di dolore e di paura, e ciò che Occhio-di-Falco aveva previsto, si avverò.
Quasi immediatamente, tra rocce, cespugli ed alberi, comparvero gli Scioscioni che vi si tenevano acquattati, e si precipitarono sui vendicatori per difendere le loro capanne e le loro donne.
Se quello della Montagna della Prateria, era stato uno sterminio, questo fu una vera carneficina: dopo di aver terminato di sparare con le carabine, i bianchi vennero a corpo a corpo coi rossi, prima con le scuri e poi con i coltelli. Il campo fu preso, e tutti coloro che non erano riusciti a fuggire furono trucidati, donne e fanciulli compresi.
Questa vendetta parve orribile a Bill Cody, il quale, però non disse nulla: sapeva essere necessario fare così, altrimenti la tracotanza naturale degli indiani avrebbe portato i pellirosse di altre tribù a commettere nuovi soprusi contro i bianchi. Quella lezione poteva anche servire ai Mormoni, ed il colonnello Hancock non si peritò di farlo loro sapere, benchè velatamente, poichè li fece avvertire che, da quel giorno in poi, il Governo di Washington intendeva, qualora tornassero a riprodursi casi simili, risalire fino agli istigatori e punirli nel modo più esemplare, scordandosi della loro razza, e trattandoli come erano stati trattati i briganti rossi.
Brigham Young se lo tenne per detto, e non cercò più di creare, almeno per lungo tempo, noie agli immigranti.
Compiuta quell’operazione, Bill venne chiamato dal colonnello Hancock, proprio il giorno in cui il reggimento stava per tornare nel Kansas. Hancock non lesinò le lodi al giovanissimo capitano, e lo incaricò di un nuovo servizio.
— Pare che, nello Stato dell’Utah, verso sud, ad un paio di centinaio di chilometri dal confine settentrionale dell’Arizona, e a circa cento da quello occidentale della California, lungo il Rio Verde, stiano per accadere dei fatti gravi. L’agente indiano di Tierra Amarilla, Federico Dunbar, quello da cui dipendono tutti gli indiani Ute, gli ultimi, ma numerosi indiani nomadi dello stato del Nuovo Messico, ha chiesto, oltre che delle truppe, qualcuno che sia molto pratico di guerra indiana, ed il Ministero mi ha telegrafato designando voi che vi siete già fatto tanto nome in casi simili. Sembra che stia per accadere qualcosa di grave. Partite dunque subito, e buona fortuna. Ci ritroveremo al reggimento quando avrete terminato il vostro compito. Ah, mi scordavo: le istruzioni mandatemi da Washington mi dicono che sarebbe consigliabile, per voi, di usare di nuovo i vostri vecchi sistemi di «scout», e quindi di indossarne anche l’abito, sempre meno vistoso di quello di capitano di cavalleria.
— Sta bene, – rispose brevemente Bill Cody, – cercherò di fare del mio meglio.
— Ne sono sicuro, – disse Haneock. – E sono certo che tornerete fra di noi carico, una volta di più, di allori.
Così Bill, la sera stessa, cambiata la sua uniforme per il vecchio abito da «scout», si rimetteva in cammino, alla volta di Tierra Amarilla, dove lo attendeva una nuova avventura.
Federico Dunbar, l’agente indiano, era uno di quegli uomini che avevano trascorsa tutta la loro vita nella prateria. Uomo onesto e abile, aveva saputo imporsi agli Ute che, sotto la sua direzione, avevano appreso a vivere quasi alla maniera degli uomini civili, accontentandosi di cacciare nelle loro riserve, che costituivano un territorio immenso, e di far coltivare alle loro donne quei pochi cereali che potevano essere utili alla loro vita.
Ma, anche qui, uno dei soliti profeti doveva causare dei disordini. Uno di questi veggenti, o sedicenti tali, era giunto nella riserva di Tierra Amarilla, nel Nuovo Messico, e si era messo a predicare agli Ute, sostenendo di portar loro un messaggio del quale era stato incaricato dal Grande Spirito Manitu. Ora, l’uomo in questione godeva di molta reputazione, i suoi fratelli rossi lo consideravano quasi un santo che avesse il privilegio di comunicare direttamente con Dio per trasmetterne i messaggi al popolo.
Questi Ute cui egli si rivolgeva, come tutti i nomadi essenzialmente cacciatori, vivevano sotto le tende, e dipendevano da due capi maggiori, Corno Lungo e Nube Veloce, oltre che ad altri tre o quattro di minore importanza. La riserva era ricca e pittoresca; l’accampamento abituale o d’inverno, era piantato lungo un fresco corso d’acqua, tra praterie verdeggianti e ricche, all’ombra di alti cedri del Libano e di altre conifere. In ogni tenda, o «wigwam», essendosi al principio della primavera, erano appesi a seccare grandi quarti d’alci e di daini. La caccia d’inverno, che quell’anno era stata ricchissima, era finita, e occorrevano ancora molti mesi prima che si stabilisse dove e quando cominciare le caccie dell’estate.
Ma i giovani erano irrequieti: quell’inazione forzata li stancava ed avrebbero dato un piccolo tesoro pur di poter operare qualche razzia, che li avesse ancor maggiormente arricchiti di bestiame e di viveri. Il più irrequieto di tutti era un giovane chiamato Daino Agile, uno dei sottocapi di Corno Lungo.
Daino Agile era ambiziosissimo, ed aspirava a diventare capo, quanto prima avesse potuto. Già fin d’allora, del resto, egli era conosciuto come il ladro di bestiame più insigne di tutto il Nuovo Messico, ma tuttavia i suoi sforzi non lo avevano ancora potuto portare all’altezza sperata. Nè, questa volta, pareva potesse trovare una buona opportunità per farsi di nuovo onore, poichè i cacciatori, stanchi della lunga stagione trascorsa ad inseguire selvaggina, avevano tutti desiderio di riposare e di godersi in pace i dolci ozi primaverili.
L’accampamento degli Ute presentava un quadro di vita pacifica e patriarcale: Corno Lungo, Nube Veloce e gli altri capi fumavano tranquillamente la pipa della pace, mentre le «squaw» più vecchie disseccavano e conciavamo le pelli e macinavano il granoturco, e le giovani correvano per i boschi a raccattar la legna per accendere i fuochi. Il solo Daino Agile girava irrequieto di tenda in tenda.
Ed era stato precisamente a quell’epoca che lo stregone si era presentato alla tribù per predicare.
— Sorgete tutti, figli miei! – aveva detto. – Venite con me nelle beate terre bagnate dalle dolci e fresche acque del Rio Verde, le nostre antiche e ricchissime terre di caccia. Là il Grande Spirito vi attende! Là si manifesterà ai vostri occhi umani! L’erba che calpesterete è ricca e grassa e fitta, l’acqua con cui potrete dissetarvi è limpida e fresca. Vi troverete cavalli più rapidi del vento della prateria, daini e cervi e alci e orsi più numerosi delle stelle del cielo! Su, venite con me al Rio Verde, dove il Grande Spirito attende il suo popolo per manifestarsi a lui!
Le infiammate parole del veggente, suscitarono l’entusiasmo di tutti, compresi Corno Lungo e Nube Veloce, ma, più di tutto, quella del giovane Daino Agile, il quale vedeva, così, sorgere l’opportunità per compiere quelle grandi cose che lo avrebbero, finalmente, innalzato al rango di capo.
Il Rio Verde, o Fiume Verde, è un lungo confluente d...