La resa dei conti
Al rientro dal lavoro, quella sera, insolitamente trovai l’Emiro a casa, seduto al tavolo con zio Dominic. Erano entrambi stravolti.
«Che c’è?!...» chiesi, e il cuore prese a battermi forte.
«Siediti!» fece l’Emiro, tirando dal tavolo una sedia.
Io eseguii, sentendo che era necessario.
«Rocco, tuo fratello, è stato arrestato» disse, cupo e secco.
Io sgranai gli occhi, e mi sentii mancare... Tra le cose che mi aspettavo, quella non c’era assolutamente. Non trovai la forza neppure di chiedere perché, tanto ero annientata da un evento così assurdo.
«È stato trovato con una partita di droga in macchina» proseguì, battendo un energico colpo a mano aperta sul tavolo.
Zio Dominic mi porse un bicchiere d’acqua e, con un amaro sospiro «È accaduto quello che temevo...» fece «L’hanno usato. Questi sono i loro metodi».
«Se è come penso,» aggiunse l’Emiro «giuro che questa volta la pagheranno!» e guardò zio Dominic a significare che i discorsi di pacificazione da lui fatti fino ad allora non avevano alcun fondamento. «Non è come pensi» disse zio Dominic «La Bestia pensa a fare affari non a mettersi nei casini. Questa dev’essere tutta opera di quella merda di Gregory».
«Sì?!...» fece l’Emiro, con feroce sarcasmo. «Allora te lo spiego meglio: la Bestia vuole togliermi di mezzo per prendersi da solo tutto questo mercato! E sta mettendo su delle strategie. Ti è chiaro adesso?» concluse, guardandolo bieco.
Zio Dominic tacque. Chinò la testa e lasciò che il nipote orchestrasse liberamente il da farsi. Sarebbe volato all’indomani in America, disse, deciso, a trovare i suoi amici. Ora usciva a organizzare tutto. Non l’aspettassi per cena. Neppure Santo aspettassi. Solo suo padre sarebbe tornato.
Una volta soli, ci guardammo con zio Dominic, ed egli, scotendo la testa, «Scatenerà una guerra che travolgerà tutti. E non risolverà la situazione di Rocco».
«Com’è andata, secondo te, la faccenda?...» chiesi, con le lacrime agli occhi, certa che lui avesse percezione reale della questione.
La responsabilità era sicuramente di Gregory, disse, il quale si sarà trovato con qualche partita segnalata e per liberarsene non aveva altro da fare che affibbiarla a qualcun altro. E chi meglio di Rocco! Sempre lì, ingenuo e senza il minimo pregiudizio. Non c’è voluto niente a fargliela mettere da qualcuno in macchina, poi segnalarlo alla polizia da uno dei tanti informatori, e il gioco era fatto. Rocco sarebbe stato fermato, ritenuto responsabile di quel che trasportava, arrestato e condannato. Fine della storia!
«Così fanno quando vogliono allontanare da sé le grane. Perdono quei soldi, ma evitano la prigione! Ho temuto fin dall’inizio questa cosa. L’ho vista praticare molte volte, quando ero al servizio di don Philip».
Ero sconvolta. Pensavo al mio povero Rocco e mi sentivo morire.
«Senti,» dissi d’un tratto «vado anch’io in America. Non sono sicura che mia cognata e la sua famiglia sapranno come affrontare questo problema. Bisogna tirarlo fuori di prigione, sennò muore Roccuzzello mio».
Zio Dominic mi guardò con aria di compatimento «Fai pure quello che vuoi, ma se la polizia non si convince che lui non c’entra niente, nessuno lo tirerà fuori da lì».
«Intanto, io vado» risposi «Il resto si vedrà».
In America ebbi il mio da fare coi familiari di mio fratello, prede, sì, dello sconforto, ma per le ricadute negative di una simile cosa sulla loro attività commerciale. Il negozio, che fino ad allora era andato a gonfie vele, avrebbe certamente avuto un tracollo!
«Glielo dicevo io di non frequentare quella gente... Aveva ragione mio padre che prima o poi si sarebbe messo nei guai. Aveva ragione... Glielo dicevo io...» non smetteva di ripetere mia cognata, mentre i suoi genitori, chiusi in un mutismo torvo, chiaramente rimuginavano rancore più che pensieri. Ogni mia parola sull’aspetto umano della vicenda e le sofferenze che a quell’ora Rocco stava passando cadevano letteralmente nel vuoto.
Lei ripeteva a litania le stesse frasi. E i suoi, specie il padre, mi gettavano su sguardi che erano un misto di rimprovero e di rabbia.
Perfino i miei tre nipotini, il maggiore dei quali aveva dieci anni, piangevano lacrime che parevano più di rabbia che di dispiacere o di paura. Ero sconfortata. Non sapevo più cosa dire per svegliare in tutti loro sentimenti che non fossero l’egoismo e l’autodifesa.
Fu la telefonata dell’avvocato d’ufficio a interrompere il circolo vizioso di quei pensieri. Comunicava a mia cognata che l’indomani mattina avrebbe potuto incontrare suo marito, lì, in prigione.
Si guardarono tutti, spaventati, smarriti... Poi, ciascuno, compresi i ragazzini, ripeté a mezza voce la parola prigione con uno stupore annientato. E i genitori di lei, seduti uno vicino all’altra, istintivamente si presero per mano.
Mia cognata dapprima bofonchiò un po’ di parole, di sconforto, di timore, di fatalismo, quindi si lasciò andare a un pianto sommesso, con la testa affondata nelle braccia a semicerchio lì sul tavolo, mentre i suoi avevano preso a confabulare sommessamente su come gestire il negozio, almeno in quei giorni nei quali la figlia, presa da altri pensieri, non avrebbe potuto aiutare. Dovevano tenerlo in piedi quel negozio, nel miglior modo possibile. Dovevano, assolutamente! Era sopravvivenza!
Solo il mattino seguente, in macchina, accompagnandola all’appuntamento, potei finalmente dirle quanto di suo marito lei e i suoi non avessero capito.
Che era una persona onesta. Non solo un padre meraviglioso, anche un uomo come pochi, profondamente legato alla famiglia, e per tutti loro avrebbe dato la vita.
Che era uno dai sentimenti nobili. E se frequentava quelle persone era solo perché aveva fatto una promessa ad un moribondo di stare vicino alle sue figlie. Trovava così strano, lei, che avesse tenuto fede alla parola data ad un uomo che sul letto di morte aveva fatto i conti con la propria coscienza, e in quella sua nuova consapevolezza sentiva le figlie non più meravigliosamente accasate, ma in pericolo?... Non trovava superficiale e ingiusto, lei, non tener conto di questa dimensione profonda e nobile di suo marito e limitarsi, come i suoi, al fatto che a sua insaputa fosse stato usato?
Vedesse di cambiare testa, piuttosto, e lo aiutasse ad affrontare quel dramma. Che per lui era umano, non d’immagine com’era per loro. Né economico, «...che in una metropoli come New York non si ragiona come dalle nostre parti. Ai vostri clienti interessa il prodotto che gli date. Continuate a far bene la pasta, e loro continueranno a comprarla!».
In quell’ora di viaggio le dissi di tutto, nella speranza di svegliarle dentro autonomia di pensiero e amore per quel povero cristo che chissà in che stato di disperazione si trovava senza sapere da dove pioveva e da dove scampava.
Ottenni solo un pianto, un pianto a dirotto che l’accompagnò fino all’ingresso del carcere. Nessuna parola che mi facesse comprendere i suoi pensieri, neppure un bisbiglio.
Solo all’uscita dall’incontro, dopo mezz’ora, parlò. Era disperato, Rocco, disse. Non capiva chi avesse potuto giocargli un tiro di quelli. E alla supposizione di lei di una responsabilità di don Gregory, aveva scosso ripetutamente la testa dicendo che non poteva essere, che tutti loro lo amavano e lo rispettavano come li amava e li rispettava lui.
«È coi paraocchi... È coi paraocchi...» sospirava, lei.
«Ti ha detto com’è andata precisamente?» le chiesi, allora.
Sì, certo. Era andato da loro a vedere se avessero bisogno di qualcosa. Non ci andava da un po’ di giorni.
Don Gregory, come a...