Nozioni fondamentali di microscopia ottica | 1 |
IL MICROSCOPIO OTTICO
Il microscopio ottico (MO) è uno strumento in grado di fornire un’immagine ingrandita e dettagliata di un campione in modo tale che l’occhio umano, o altri strumenti in grado di rilevarla, possano vederla distintamente.
L’occhio umano può essere considerato come uno strumento ottico, dal momento che, tra le diverse componenti anatomiche che lo costituiscono, presenta una lente, il cristallino, in grado di proiettare le immagini osservate sulla tonaca nervosa dell’occhio, la retina. Il cristallino presenta una curvatura che, grazie alla contrazione dei muscoli ciliari, può essere modificata per mettere a fuoco oggetti più o meno vicini, ma c’è una distanza minima, circa 250 mm, oltre la quale non si riesce più ad avere una visione distinta dell’oggetto a causa della limitata elasticità del cristallino. Per superare questo limite fisiologico del bulbo oculare ci si deve avvalere del microscopio che, grazie a un sistema di lenti, è in grado di ottenere un’immagine ingrandita dell’oggetto da osservare.
Il potere di risoluzione rappresenta la distanza minima che deve separare due punti affinché l’occhio possa vederli distintamente. L’occhio umano ha un potere di risoluzione pari a 0,1 mm (100 µm), mentre il microscopio ottico ha un potere risolutivo di 0,2 µm (200 nm), migliorando in tal modo di 500 volte rispetto all’occhio umano la possibilità di osservare distintamente un oggetto.
Il microscopio ottico, pertanto, rappresenta il mezzo diagnostico più impiegato nelle scienze mediche e biologiche; indipendentemente dalle caratteristiche tecniche specifiche, tutti i microscopi ottici risultano composti da un apparato meccanico, da un apparato ottico e da un apparato di illuminazione.
Apparato meccanico (Figura 1.1). È costituito da:
• uno stativo, che rappresenta la struttura di sostegno del microscopio e che deve assicurare la massima stabilità dello strumento. Esso comprende:
• una base di appoggio di forma variabile, in cui è incorporata la sorgente luminosa, rappresentata da una lampada elettrica a bassa tensione, regolabile mediante un reostato;
• un braccio centrale su cui sono inserite le viti macro- e micrometrica, necessarie per la messa a fuoco, e le altre componenti del microscopio;
• un tubo ottico di osservazione che, innestato nella parte superiore del braccio dello stativo, rappresenta l’elemento di raccordo tra i due sistemi di lenti (oculari e obiettivi). Nella parte superiore sono inseriti gli oculari, mentre inferiormente, in prossimità del preparato, è posizionato il revolver porta- obiettivi, provvisto di fori circolari, cui è possibile avvitare una serie di obiettivi con diverso potere di ingrandimento. Esso ha una lunghezza standard di 16-17 cm e risulta inclinato nella parte superiore di 30-45° per favorire la posizione dell’osservatore. Esistono tubi ottici con tre uscite, in modo da poter inserire il raccordo per l’apparato fotomicroscopico;
• un tavolino traslatore che, raccordato al braccio, mantiene in posizione il vetrino da osservare; esso risulta provvisto di un’apertura centrale per consentire l’attraversamento del raggio luminoso, in modo da raggiungere il preparato. Il tavolino può essere spostato in senso latero-mediale e antero-posteriore per mezzo di comandi a vite laterali. Inoltre, utilizzando le viti macro- e micrometrica, poste sul braccio dello stativo, il tavolino può effettuare movimenti rapidi o lenti verso l’alto o verso il basso per la messa a fuoco del preparato.
Inferiormente al tavolino sono inseriti il condensatore, che fa convergere la luce sul campione da osservare, il diaframma, che regola la quantità di luce che entra nel condensatore, e i filtri (strutture appartenenti all’apparato di illuminazione).
Apparato ottico. È costituito da due sistemi di lenti (oculari e obiettivi) e determina la risoluzione dell’immagine e il suo ingrandimento.
Gli obiettivi, avvitati su un sistema girevole a revolver, sono costituiti da un sistema coassiale di lenti in grado di fornire un’immagine intermedia che risulta ingrandita, reale e capovolta. Di norma, sugli obiettivi sono riportati degli indici che informano sulle caratteristiche delle lenti e sul loro potere di ingrandimento. Il numero più grande, sempre presente e seguito da un segno X, indica l’ingrandimento dell’immagine intermedia e tale valore, moltiplicato per l’ingrandimento dell’oculare, determina l’ingrandimento totale. In genere troviamo 4X, 10X, 20X, 40X e 100X. Accanto, separato da una barra, si trova un numero con la virgola che rappresenta l’apertura numerica (0,25; 0,65; 1,25); più elevato è tale valore, maggiore sarà la risoluzione dell’obiettivo e quindi la sua qualità ottica.
Al di sotto di tali valori si trovano altri due numeri (160 o 170 e 0,17), che rappresentano rispettivamente la lunghezza del tubo ottico che può essere utilizzato e lo spessore del vetrino coprioggetto. Il primo valore (160 o 170) può essere sostituito dal simbolo ∞ indicando che l’obiettivo può essere utilizzato solo con particolari tipi di microscopi, mentre il secondo valore, 0,17, può essere sostituito dal segno –, indicando che l’obiettivo può essere utilizzato anche con coprioggetto di spessore maggiore, o con il numero 0, se l’osservazione deve essere effettuata senza il coprioggetto.
Gli obiettivi possono essere a secco, se il mezzo interposto tra la lente frontale e il coprioggetto è l’aria, o a immersione, se il mezzo interposto tra la lente frontale e il coprioggetto è olio di cedro.
Gli oculari sono costituiti da due lenti piano-convesse con l’interposizione di un diaframma anulare fisso che delimita il campo immagine, escludendo le regioni periferiche dove le aberrazioni sono maggiori. Anche sulla montatura degli oculari sono incisi dei numeri che corrispondono al coefficiente di campo, variabile a seconda dell’oculare, e all’ingrandimento dell’oculare (dato dal rapporto tra la distanza minima di osservazione, pari a 250 mm, e la lunghezza dell’oculare). Esistono oculari con diverso potere di ingrandimento, ma di solito si utilizza il 10X (significa che l’immagine è ingrandita 10 volte). L’ingrandimento totale di un microscopio ottico nell’osservazione visiva è dato dal prodotto tra l’ingrandimento dell’obiettivo e quello dell’oculare.
Nei microscopi binoculari la distanza interpupillare è regolabile e vi è la possibilità di variare la messa a fuoco di un oculare rispetto all’altro in maniera indipendente.
Apparato di illuminazione. È costituito:
• dalla sorgente luminosa, in genere una lampada incorporata nello stativo;
• dal condensatore, costituito da un sistema di lenti in grado di concentrare e convergere i raggi luminosi sul preparato. Esso è posizionato al di sotto del tavolino, dal quale può essere allontanato o avvicinato con un sistema di viti;
• dai diaframmi, distinti in diaframma di illuminazione, situato sul piano focale inferiore del condensatore e coniugato alla sorgente luminosa, che illumina uniformemente il preparato, e diaframma di campo, che può essere regolato nell’apertura, per limitare l’illuminazione del preparato al campo realmente osservato;
• dai filtri, che possono essere inseriti lungo il tragitto dei raggi luminosi. Si possono avere dei filtri diffusori, utilizzati per rendere uniforme l’illuminazione; filtri blu, per rendere l’illuminazione più simile a quella naturale; e filtri neutri, per ridurre l’intensità luminosa.
TECNICHE DI ALLESTIMENTO DEI PREPARATI ISTOLOGICI
L’osservazione al microscopio ottico di un preparato istologico, normale o patologico, è preceduta da una serie di procedimenti che prevedono, dopo il prelievo dell’organo, la fissazione, l’inclusione, la sezione microtomica e la colorazione.
I tessuti, dopo il prelievo, vanno rapidamente incontro a processi trasformativi, pertanto è necessario trattarli con particolari sostanze o miscele chimiche, chiamate fissativi, che sono in grado di disattivare gli enzimi autolitici, preservando i costituenti dei tessuti e, inoltre, di aumentarne la consistenza per facilitarne il successivo taglio. La fissazione rappresenta una tappa fondamentale per le tecniche istologiche ed errori in questa fase di allestimento del preparato comportano la perdita irreparabile del tessuto. Il fissativo più utilizzato per le ricerche istologiche è la formalina, una soluzione acquosa di formaldeide al 40%, ma esistono altri fissativi primari, quali l’alcol etilico, l’acido acetico e miscele fissatrici costituite da più fissativi semplici con l’aggiunta di altre sostanze. La scelta del fissativo dipende dalle caratteristiche chimiche dei tessuti da studiare.
Il frammento di tessuto fissato, per poter essere sezionato, deve assumere sufficiente durezza e compattezza e, pertanto, deve essere inclus...