Radiologia interventistica muscoloscheletrica
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Radiologia interventistica muscoloscheletrica

Eugenio Genovese, Carlo Masciocchi, Roberto Caudana

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Radiologia interventistica muscoloscheletrica

Eugenio Genovese, Carlo Masciocchi, Roberto Caudana

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Nell'ambito muscoloscheletrico le procedure interventistiche stanno assumendo un ruolo sempre piĂš importante rispetto alle altre opzioni terapeutiche chirurgiche classiche, grazie alla riduzione della invasivitĂ  e del rischio anestesiologico, al continuo miglioramento dei materiali e delle apparecchiature di guida imaging e alla riduzione dei costi di degenza.

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Information

Publisher
Elsevier
Year
2015
ISBN
9788821434167
Capitolo 1 Richiami metodologici introduttivi
R. Paladini, V. Sgarioto, D. Dalloglio, D. Gialdi, A. Parmiggiani
Sommario
Norme di profilassi del paziente
Norme di sterilitĂ  e preparazione del campo operatorio
Sedazione e anestesia al di fuori della sala operatoria
Analgesia locale
Sedazione e anestesia generale

Norme di profilassi del paziente

L’esecuzione di ogni procedura interventistica necessita di una serie di accorgimenti per ridurre il rischio di infezione.
In primo luogo è fondamentale valutare la storia clinica del paziente ponendo l’attenzione su quegli elementi di rischio che possono incrementare il pericolo di una sovrainfezione, come le infezioni concomitanti – che devono essere trattate fino alla completa risoluzione –, quali l’età avanzata, il diabete, il fumo, l’eventuale terapia corticosteroidea, l’obesità, lo stato nutrizionale carente, l’immunodepressione nei pazienti oncologici [1–12]. Una volta valutata attentamente la storia clinica e ottenuto il consenso informato, esponendo i rischi e i benefici dell’intervento, la preliminare preparazione del paziente prevede la tricotomia della zona di accesso percutaneo della procedura. È stato dimostrato che una tricotomia effettuata nell’imminenza dell’intervento è preferibile per ridurre significativamente il rischio di sovrainfezione dovuto alle microlesioni della cute che possono fungere da focolai di proliferazione batterica [13].

Norme di sterilitĂ  e preparazione del campo operatorio

Nella sala di effettuazione della procedura, gli operatori devono rispettare le norme di massima sterilità. Un’adeguata sterilizzazione delle mani e degli avambracci di coloro che hanno un contatto diretto con il campo operatorio e con i materiali riveste un ruolo fondamentale. Il conseguimento di una sterilità ottimale si basa sul lavaggio preliminare di mani e avambracci (figura 1.1), con saponi convenzionali, che abbia una durata di almeno 2-5 min e ponga particolare attenzione alle regioni periungueali, dove è consigliabile l’uso di spazzole, seguito dalla completa detersione delle zone lavate mediante salviette [5,14–16]. Successivamente è consigliabile eseguire uno sfregamento energico delle mani asciutte con un prodotto antisettico a base di alcol per circa 30 sec-2 min, oppure fino alla completa evaporazione dell’alcol stesso [17]. Completata la procedura di lavaggio e asciugatura con salviette sterili, le mani devono essere tenute lontano dal corpo con i gomiti in posizione flessa [15,16], fino al momento di indossare l’abbigliamento e i guanti sterili. L’impiego di un doppio paio di guanti riduce il rischio di contatto con il sangue e i fluidi del paziente; peraltro, tutto il personale della sala operatoria ha l’obbligo di indossare cuffie per coprire completamente i capelli e mascherine per proteggere naso e bocca [5,18,19]. Una volta che il paziente viene posizionato sul lettino, si procede alla disinfezione della zona di accesso percutaneo della procedura. La sterilizzazione della cute è basata sul preliminare lavaggio mediante una spazzola con acqua o soluzione fisiologica sterile, seguito dall’asciugatura con un telo sterile e dall’applicazione del disinfettante mediante una garza/spugna sterile; il disinfettante va preferibilmente distribuito partendo dal centro della zona di accesso alla periferia, descrivendo ampi cerchi concentrici che comprendano un’area sterile estesa, in modo da poter eventualmente modificare in tutta sicurezza la sede di accesso [5,15,16]. Una volta sterilizzata la cute, si delimita il campo operatorio – che deve essere il più piccolo possibile – mediante teli sterili impermeabili posti a copertura completa del paziente [5], avendo cura di porre coperture sterili monouso su paratie, monitor, tubo radiogeno, detettore e carrello della strumentazione.
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Figura 1.1 Norme di sterilità. Fasi (A-E) della procedura di lavaggio delle mani dell’operatore.
Per ridurre ulteriormente i rischi di infezione, a giudizio del medico anestesista, immediatamente prima dell’inizio della procedura è possibile somministrare una copertura antibiotica (preferibilmente cefalosporine) per via endovenosa, da mantenere per tutta la durata della procedura e per qualche ora dopo [20–25].

Sedazione e anestesia al di fuori della sala operatoria

Negli ultimi anni, l’aumento significativo della richiesta di assistenza anestesiologica al di fuori della sala operatoria ha portato alla definizione di una nuova metodologia indicata dall’acronimo NORA (Non Operating Room Anesthesia).
In questo contesto rientra l’assistenza anestesiologica alle procedure diagnostiche e/o interventistiche che si svolgono nei reparti di Radiologia e che richiedono l’utilizzo di tecniche diverse con l’obiettivo di ottenere: analgesia, sedazione e anestesia generale confacenti alla procedura diagnostica e/o terapeutica da effettuare e alle caratteristiche del paziente, sia in condizioni di elezione sia in situazioni critiche.

Analgesia locale

Qualora la procedura risulti dolorosa solo a livello locale, si possono utilizzare anestetici per infiltrare la cute nella sede di intervento. L’impiego di anestetici a media durata d’azione consente di ottenere un’adeguata copertura dal dolore e un certo grado di benessere del paziente nelle ore successive. Oltre alla classica lidocaina, di breve durata d’azione, esistono nuovi anestetici locali a onset più lento ma a durata più prolungata rappresentati dalla ropivacaina e dalla levobupivacaina.
La ropivacaina cloridrato è un anestetico locale di tipo amidico dotato di lunga durata di azione che, bloccando la conduzione nervosa nei nervi sensitivi e motori, interagisce con i canali del sodio presenti sulla membrana cellulare. È caratterizzata da una liposolubilità intermedia tra quella della lidocaina e della bupivacaina, mentre il legame proteico è del tutto simile a quello della bupivacaina. La ropivacaina si caratterizza da tutti gli altri anestetici locali per essere un S-enantiomero in soluzione al 99% con proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche specifiche: la solubilità nella forma commerciale è intorno a valori di pH 6; la clearance plasmatica totale è di 440 mL/min, quella renale di 1 mL/min e il suo volume di distribuzione è di 47 L; l’emivita è pari a 1,8 ore. L’onset compare dopo 10 min e l’effetto perdura per circa 150-300 min. Gli effetti collaterali sono gli stessi delle altre amidi a lunga durata: nausea, bradicardia, aumento della temperatura corporea, ma in particolare si è rilevata una ridotta tossicità cardiaca rispetto alla bupivacaina. Il primo segno di sovradosaggio rimane sempre a carico del sistema nervoso centrale (SNC), con comparsa di disturbi uditivi o visivi, spasmo muscolare fino a convulsioni generalizzate. Nausea e vomito, che si osservano nelle pazienti gravide, sono complicanze con un’incidenza minore rispetto alla bupivacaina. Gli effetti clinici della ropivacaina sono sovrapponibili a quelli della bupivacaina, anche se la ropivacaina presenta l’indubbio vantaggio di un blocco motorio meno profondo e di minore durata.
La levobupivacaina è l’isomero levogiro della bupivacaina racemica (marcaina), proposto in sostituzione della bupivacaina stessa in virtù di un migliore profilo di sicurezza sul sistema cardiovascolare. Al pari degli altri anestetici locali, la levobupivacaina blocca la conduzione nervosa nei nervi sensitivi e motori, interagendo con i canali del sodio presenti sulla membrana cellulare, sensibili agli stimoli elettrici, ma blocca anche i canali del potassio e del calcio. L’effetto si manifesta entro 15 min e ha una durata dose-dipendente. Gli effetti indesiderati più frequenti della levobupivacaina sono: nausea (21%), dolore postoperatorio (18%), febbre (17%), vomito (14%) e anemia (12%). Non sono emerse differenze c...

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