Maschere e pugnali
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Maschere e pugnali

utopisti e avventurieri da Platone a Nero Wolfe

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Maschere e pugnali

utopisti e avventurieri da Platone a Nero Wolfe

About this book

Una lunga cavalcata, magari con cappa e spada, tra pellicole d'antan, romanzi d'appendice, fumetti, pettegolezzi e retroscena della storia dello spettacolo, della letteratura, del giornalismo: ecco quali sono le maschere e i pugnali che gli uomini e le donne di Diego Gabutti indossano e impugnano con leggerezza e maestria, per lasciare, non si sa quanto consapevolmente, un segno indelebile nell'immaginario collettivo.
Mata Hari, Billy the Kid, Nero Wolfe e Platone, proprio come nel titolo, si alternano tra le pagine veloci e sornione, in un caleidoscopio che strizza mille occhi a chi, smaliziato ma ancora sognatore, si lascerà incantare dalle malìe di una scrittura affascinante tanto quanto le storie e i personaggi che racconta.

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Tolkien 1 (gli Inklings)
J.R.R. Tolkien, ogni giovedì sera, si riuniva immancabilmente con gli amici, tra cui Charles Williams, autore di polizieschi in chiave fantasy, nell’appartamento di C.S. Lewis a Oxford. Tra loro si chiamavano «Inklings» con allusione all’ink, l’inchiostro. Erano riunioni informali, tra dilettanti e professionisti del genere epos: tutte persone che parlavano la stessa lingua, sia pure una lingua d’elfi, d’angeli e di fate, per lo più ignota agli uomini. «Inklings», disse una volta Tolkien, «era un gioco di parole piacevolmente ingegnoso, a modo suo, che suggeriva l’idea di persone con indizi e idee vaghe o solo abbozzate, e in più che si dilettano a usare l’inchiostro».
Più tardi, quando le opere di Tolkien, Lewis e Williams entrarono nei gironi alti del godimento estetico, la critica cominciò a parlare degli «Inklings» come di un particolare circolo letterario, ma questa fu una semplificazione: gli «Inklings» in realtà, erano un gruppo di letterati che, in un circolo letterario, si sarebbe sentito a disagio. Non avevano alcuna sensibilità per la vita quotidiana e per gli affari correnti, sui quali si concentra di solito l’attenzione dei comuni scrittori. Alle loro orecchie tutti gli ordini del giorno – storici e sociologici, etici ed economici, ma soprattutto letterari – suonavano spenti, privi di qualunque enfasi, irrimediabilmente avvelenati dall’abitudine di pensare in piccolo. Per gli «Inklings» si trattava, al contrario, di comunicare con le grandi questioni, il Bene e il Male, la Grazia e la Caduta. Una cassaforte custodiva le grandi questioni e loro la prendevano d’assalto con strumenti di scasso: il mito, l’aneddoto, l’umorismo e la parabola.
Non si capiva bene neanche perché gli Inklings andassero tanto d’accordo tra loro. Se tra Tolkien e Lewis, entrambi professori a Oxford, c’era una vecchia e sperimentata amicizia, l’ex teosofista steineriano Williams, già adepto di società segrete, non aveva nulla in comune con l’uno o con l’altro, cosa di cui Tolkien era perfettamente cosciente, mentre pare che l’autore di Perelandra, di Lontano dal pianeta silenzioso e di Questa orribile forza (tre grandi storie di «sciente fiction teologica») fosse invece stranamente incantato da Williams, uomo di grandi arti stregonesche. Comunque fosse, si riunivano ogni giovedì sera, come pellegrini intorno a un bivacco. Qualcuno leggeva a voce alta le proprie poesie, Tolkien declamava un intero capitolo dell’Hobbit o del Signore degli Anelli, un altro Inkling si grattava la testa, schioccava la lingua dopo aver trangugiato un sorso di grog e infine, se non aveva niente da leggere a voce alta, portava la discussione su qualche argomento astratto. Tolkien e gli altri amavano molto gli argomenti astratti, che davano uno speciale sapore alla vita, come il «panviatico» e l’«erbapipa» durante la Guerra dell’Anello. Potevano discutere tre giovedì di seguito su un tema come il pacifismo senza cadere mai nella banalità e nell’oratoria. Potevano ascoltare Tolkien leggere cinquanta pagine del Signore degli Anelli e poi appassionarsi a discutere per ore i dettagli più insignificanti della trama.
Più che un circolo letterario, gli «Inklings» erano un circolo studentesco: senza regole formali e senza scopi particolari. Più un pub che una torre d’avorio. Dovevano essere guardati persino con un certo sospetto. Se Lewis, in fondo, era «poco più d’un polemista cattolico», anche Tolkien doveva essersi guadagnato la sua parte di sguardi stralunati dopo la pubblicazione del primo nato della saga di Numénor e dalla Terra di mezzo, l’Hobbit, un libro dichiaratamente «per ragazzi», cosa che stonava, a dir poco, con lo status accademico dell’autore. Quanto a Charles Williams, poeta dai toni mistici e redattore dell’Oxford University Press, era l’autore di certi «thriller metafisici», come Il posto del leone e Guerra in paradiso, che erano senz’altro molto piaciuti al poeta T.S. Elliot, fan di Williams, ma che la critica aveva sempre giudicato piuttosto dozzinali, come storie di Fu Manchù malamente inzuppate nel caffelatte della teologia (anche Sax Rohmer, del resto, lo scrittore che aveva inventato il personaggio di Fu Manchù, era stato membro della «Golden Dawn», la stessa società segreta rosacrociana che aveva attratto, e probabilmente addestrato alla narrativa sensazionale il giovane Charles Williams). Gli altri «Inklings», poi, che andavano e venivano il giovedì sera intorno a questo nucleo compatto, erano per lo più oscuri professori, medici, studenti e impiegati che, nell’anticamera d’un circolo letterario rispettabile, non avrebbero potuto nemmeno lasciare l’ombrello. Già abbastanza eterogenei tra loro, erano decisamente eccentrici rispetto all’ambiente oxfordiano, che li sopportava con stoicismo, come adolescenti difficili.
C’era il fatto, naturalmente, che erano tutti cattolici, e quasi tutti convertiti. Tra le alte sfere intellettuali, giù a Oxford, il cristianesimo non era mai stato un indirizzo granché popolare. Ma questa condizione d’ulteriore eccentricità non spiega l’imbarazzo degli accademici. Senza contare che, negli anni immediatamente precedenti la guerra (e durante la guerra in forma ancor più massiccia) la vecchia Oxford si stava ripopolando di cristiani militanti, soprattutto studenti sconvolti dall’allegro divenire della storia (alcuni di loro, anziché al cattolicesimo, si convertirono al KGB, come Kim Philby e le altre talpe annidate nel servizio segreto inglese). Se Tolkien e gli altri erano fuori dal circuito ufficiale era soltanto per colpa loro. Anziché dedicarsi agli studi in modo igienico e professionale, occupandosi del mito e della letteratura allo scopo di ricavarne soltanto dispense e libri dotti, che pure scrissero, essi facevano un uso decisamente improprio della cultura accademica: ne avevano fatto un piediporco, come si disse, per scassinare la cassaforte della metafisica. Questo fu soprattutto il caso di Tolkien, naturalmente, che organizzò un universo simbolico nel quale la storia universale si specchiava senza residui, assolutamente svelata, come succede a chi, nel Signore degli Anelli, guarda dentro lo Specchio di Galadriel.
Avesse scritto un libro di filosofia, Tolkien sarebbe stato forse etichettato come anarchico, come un discepolo di Nietzsche o di Dostoevskij, oppure come un cattolico particolarmente estremista, ma nessun oxfordiano avrebbe avuto nulla da ridire. Scrisse un romanzo di «heroic fantasy», invece, un romanzo che non concedeva neppure un dito alle apparenze dell’accademia, con l’ulteriore aggravante che Il Signore degli Anelli è una di quelle storie, come l’Iliade e la Commedia di Dante, che saranno ancora lette quando di Oxford non si ricorderà più nessuno. Così venne giudicato uno strambo e un dilettante. Idem per Lewis e Williams che, tra «science fiction teologica» e «thriller metafisici», passarono anch’essi al nemico: al romanzo e all’umanesimo vero. Troppa grazia per l’ateneo della modernità.
Tolkien 2 (vita, morte e miracoli)
Raccontò, in età tarda, che l’idea della Terra di Mezzo, dei Maghi e degli Anelli di Potere, dei re taumaturghi e dei cavalieri neri, degli Elfi e degli Hobbit e dei Nani, gli era venuta in giovinezza, negli anni della prima guerra mondiale, quando prestava servizio in qualche trincea o fortino, con il rombo dei cannoni nelle orecchie e il panico nel cuore. Fu là, dove esplodevano le granate e crepitava la mitraglia, che John Ronald Reuel Tolkien, nato in Sudafrica nel 1892, futuro docente oxfordiano di lingua e letteratura inglese medievale, uomo all’apparenza grigio e tranquillo, mosse i primi passi nel regno della fiaba. «Feria, il mondo fatato», scrisse più tardi, «è un paese pericoloso, pieno di trabocchetti per gli incauti e di tranelli per i temerari». La guerra moderna, nel cui segno la grande cosmologia tolkieniana trovò formulazione e fortuna, fu musa tetra ma eloquente per questo giovane soldato che vi si smarrì ragionando di Elfi e di draghi.
A differenza di tutti i favolieri prima di lui, da Hans Christian Andersen ai fratelli Grimm, Tolkien non si limitò a inventare nuove storie e neppure semplicemente raccolse quelle tramandate dalle nonne e dalle antiche tradizioni letterarie. Organizzò un intero universo che agisse da cornice perfetta e smisurata per quell’idea di fiabe che lo divorava, disse, già nell’infanzia. Ma fu certo l’esperienza della guerra a suggerirgli un’evasione così assoluta verso l’utopia più radicale, quella dei bambini che ascoltano fiabe a occhi spalancati, brillanti di meraviglia e paura. Diede forma a un intero mondo, anzi a un intero cosmo, completo di storia, di lingue vive e morte, di popoli e di specie animali, con una geografia e uno scenario culturale perseguiti fin nei dettagli con un accanimento che altri, ma non lui, avrebbero detto quasi demenziale. Quindi lo farcì di storie e accadimenti, di saghe celesti e d’ombre tenebrose, fino a comporre un quadro immane e labirintico, così vertiginoso e dettagliato da stordire chi troppo a lungo vi avesse fissato lo sguardo. La Terra di Mezzo divenne così un mondo storico, non meno reale di quelli testimoniati nei libri di scuola, persino altrettanto orribile e pericoloso. La guerra mondiale ne temprò il ferro, poiché così nascono le grandi opere, nel sangue degli spaventi storici e dei morti ammazzati.
Scriveva febbrilmente, in giorni tumultuosi, di morte e sudore, su quaderni consunti e sparsi di ditate. Gli Elfi lavoravano, in quelle pagine spiegazzate, le Gemme gnomiche o Silmaril che, per la loro bellezza e sonorità, destarono l’invidia degli stessi dèi, gli Ainur, così provocando la secessione degli Elfi, timorosi che gliele volessero rubare e spingendoli ad abbandonare il Vero Occidente, dimora degli Ainur, per guadagnare le terre di là dal mare, dove già vivevano i primi Uomini e s’agitavano, nel sud infuocato, potenze oscure e infernali. Tolkien, alzando gli occhi dai suoi taccuini, vedeva piovere le bombe e uomini vivi, di ossa e carne, cadere stecchiti. Ma gli dei, ragionava Tolkien subito distogliendo lo sguardo, non volevano rubare nulla. Fu il Male, prima nella persona di Ainur e poi in quella del suo discepolo Sauròn, a ispirare negli Elfi il pensiero del torto subito. Fu Melkor che rubò le Gemme, scatenando in tal modo la Guerra dei Silmaril, così tremenda e crudele da incendiare la Terra di Mezzo per tutta un’era del mondo. Melkor, alla fine, venne sconfitto e ucciso, ma il seme dell’orgoglio ormai era stato gettato e furono pochi gli Elfi che, dopo la guerra, tornarono a casa nel Vero Occidente. I più rimasero, covando santità e rancore, nella Terra di Mezzo. Avevano gustato il sapore del sangue e della battaglia, come soldati della prima guerra mondiale, compagni di Tolkien nelle trincee, gli stessi che sarebbero presto confluiti nei ranghi fascisti e comunisti, e la sciagura, ormai, andava consumata sino in fondo. Gli Elfi forgiarono così, dopo le Gemme, anche gli Anelli di Potere: chi li possedeva governava tutti i re, quelli degli Elfi come quelli degli Umani e dei Nani. E uno, tra tutti, aveva il potere diabolico di dominare gli altri. Fu quello, dunque, l’Anello che Sauròn rubò.
Tokien pensava certo alla sua Inghilterra tardovittoriana, tranquilla e ordinata a dispetto della guerra, eppure assediata dal Nemico come il Vero Occidente delle orde di Sauròn, quando tracciò lo schema di quello che sarebbe poi stato il suo primo libro, l’Hobbit, apparso solo nel 1937. Gli Hobbit, fantasticò dal fronte, tra le urla dei feriti e le maledizioni dei viventi, erano Uomini minuscoli, quasi dei bambini e, come questi, innocenti e burloni. Abitavano una terra molto a nord, chiamata la Contea, dove vivevano pacificamente, fumando erbapipa e raccontando le storie dei tempi andati, dediti al commercio e alle feste, senza sapere nulla di guerre e disastri. Ma la lunga mano di Sauròn, un brutto giorno, giunse fino a loro. Accadde, raccontano gli annali tolkieniani, quando esplose la Seconda Guerra dell’Anello.
Tolkien si prese quasi vent’anni per scrivere la storia della Seconda Guerra dell’Anello, Il Signore degli Anelli, ma l’aveva già tutta immaginata e predisposta, giorno dopo giorno e scaramuccia dopo scaramuccia, nelle trincee del 1917. Tutto fu deciso là. Guardandosi attorno, tra cadaveri e mutilati, tra esplosioni di panico e decimazioni, Tolkien immaginò la sua lancinante e spietata saga del potere punto per punto, quasi fotografandone dal vero ogni particolare.
Morì a Bournemouth, nello Hampshire, il 2 settembre 1973. lavorava ancora, racconta il figlio Christopher, al Silmarillion e ai Racconti postumi. Quanto al Signore degli Anelli, era divenuto nel frattempo il Vangelo, con altri libri segreti, dei primi hippies americani: di quelli bianchi e di quelli neri, di Charles «Satana» Manson come dei paladini della pace universale. Più tardi divenne la Bibbia degli evoliani italiani (per dire) e adesso (sempre per dire) anche degli antiglobalisti. Perché la Guerra dell’Anello, di cui le due guerre mondiali furono l’ombra maledetta su questa terra, non era finita: non finirà mai. E la morte del mondo, nella mente di Tolkien, grande visionario e moralista puro, continuava a essere illuminata dai razzi e dagli spari che incendiavano il cielo sopra le trincee.
Richard Stark
Dice una leggenda che Richard Stark, negli anni sessanta, fosse l’autore più letto nelle carceri americane, dove il protagonista delle sue storie, un gelido rapinatore e tagliagole chiamato Parker, faceva da modello e ideale dell’Io a ogni fior di galeotto. Parker, un criminale senza scrupoli, era un personaggio senza preceden...

Table of contents

  1. La Torino di Gabutti(che però non c’è più)
  2. Billy the Kid
  3. Edmond Dantès
  4. Wyatt Earp
  5. Kimball O’Hara
  6. Lord Greystoke
  7. Friedrich Nietzsche
  8. Mata Hari
  9. G.K. Chesterton
  10. Lizzie Siddal
  11. Marx ed Engels detective
  12. Gli esteti armati
  13. Emilio Salgari
  14. Charlot
  15. Londra vittoriana
  16. Sherlock Holmes
  17. Amadeo Bordiga
  18. Batman liberale e liberista
  19. Edgar Wallace
  20. Rafael Sabatini
  21. Hugo Pratt
  22. Misia Sert
  23. Costa Azzurra
  24. Dashiell Hammett
  25. Georges Simenon, agente sovietico
  26. Kavalier e Clay
  27. Proust in Siberia
  28. Tex Willer
  29. Edgar Snow
  30. Woody Guthrie
  31. Osip Mandel’štam
  32. Eric Ambler
  33. Vladimir Vladimirovič Majakovskij
  34. Superman
  35. Sigmund Freud
  36. Tolkien 1 (gli Inklings)
  37. Tolkien 2 (vita, morte e miracoli)
  38. Richard Stark
  39. Rue des Maléfices
  40. Nero Wolfe
  41. Roald Dahl
  42. Banditi
  43. Ian Fleming
  44. Bobby Fisher
  45. Philip José Farmer
  46. Trotsky e Mercader
  47. Jack Kerouac
  48. Fuggiaschi convinti
  49. Marvels
  50. Alan Turing
  51. Eduard Limonov
  52. Peter Kolosimo
  53. Valentina
  54. William Burroughs e la Banda Nova
  55. James «Whitey» Bulger, boss di South Boston
  56. Giorgio Scerbanenco
  57. Chatwin in Patagonia
  58. Lucien Carr
  59. John Shaft
  60. Živago, una storia parallela
  61. Hotel Chelsea
  62. Ucronie naziste
  63. Rudol’f Abel’
  64. Graham Greene
  65. Frederick Forsyth
  66. Ted Simon
  67. Robert Ludlum
  68. Clifford Irving
  69. Iosif Brodskij
  70. Mickey Spillane
  71. Il bandito Cavallero
  72. Budapest, Ungheria
  73. Herbert Huncke
  74. Scientology a Hollywood
  75. Sam Pezzo
  76. Settantasette
  77. Bob Dylan
  78. American Gods
  79. John le Carré
  80. Lucky Luciano, Orson Welles e Raymond Chandler
  81. Norman Mailer e Lee Harvey Oswald
  82. Planetary
  83. Sam Millar
  84. Dean Martin e Jerry Lewis
  85. Alberto Arbasino
  86. Orson Welles
  87. Carl Webster
  88. David Irving
  89. Agatha Christie
  90. Truman Capote
  91. Charles Dickens
  92. Giudice Dee
  93. Stephen Hawking e Star Trek
  94. Werner Herzog
  95. Isaac Asimov
  96. Carl Barks
  97. Guido Ceronetti
  98. Emma Goldman
  99. Jason Bourne
  100. Star Wars
  101. I primi uomini sulla Luna
  102. Kurt Vonnegut
  103. Edgar Allan Poe
  104. Aldo Moro
  105. P.G. Wodehouse
  106. Ciro Spitama, viaggiatore metafisico
  107. Louisa May Alcott
  108. Joseph Roth
  109. Curzio Malaparte
  110. Heda Kovály
  111. Christopher Lee
  112. Tom Sawyer
  113. Wisława Szymborska
  114. Adam Brookes
  115. Martin Cahill, un bandito irlandese
  116. Ursula Le Guin
  117. Martin Cruz Smith
  118. Willy Shakespeare
  119. Fiume olocausta
  120. Jonah Hex
  121. Guido Nicheli
  122. Jacov Grigorievich Blumkin
  123. Roberto Bolaño 1
  124. Roberto Bolaño 2
  125. William Galt, al secolo Luigi Natoli
  126. Joe Petrosino
  127. Roberto Barbolini
  128. Walter Benjamin e Gershom Scholem
  129. Faccetta nera
  130. Elvio Fachinelli
  131. Negazionismo a sinistra
  132. Bolscevismo ebraico
  133. Gustaw Herling
  134. Jan Brokken
  135. Philip Kerr
  136. McDonald’s
  137. Vivere con gli dèi
  138. Dario Fo
  139. Porno soft italiano
  140. Isaiah Berlin
  141. Richard P. Feynman
  142. Hume e Rousseau
  143. Retorica
  144. Charles Simic
  145. Blonde on Blonde
  146. Rive Droite
  147. Il mucchio selvaggio
  148. Americani che credettero in Stalin
  149. Wells a Mosca
  150. Dio salvi il Texas
  151. Traven
  152. Back in the USSR
  153. Roberto Calasso
  154. Fruttero e Lucentini
  155. Cabaret
  156. Liberalismo
  157. Jack Reacher
  158. Don Benedetto
  159. Giuseppe Verdi
  160. Cronaca nera
  161. Leonid Pljušč
  162. Evoluzione
  163. CIA, e il Condor
  164. Un goscista
  165. Mino Pecorelli
  166. Bento (Baruch, Benedetto) Spinoza
  167. Jorge Semprún
  168. Thomas Mann
  169. Stan Laurel
  170. Angelo Maria Ripellino
  171. Stenio Solinas
  172. Libri citati