Il metodo Elon Musk
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Il metodo Elon Musk

Il modello di business e i principi del successo di Tesla Motors

Michael Valentin

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Il metodo Elon Musk

Il modello di business e i principi del successo di Tesla Motors

Michael Valentin

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All'inizio del ventesimo secolo, il fordismo ha rivoluzionato le organizzazioni industriali, rendendosi portatore di un progresso inedito nei processi produttivi. Sessant'anni dopo, il toyotismo ha consentito l'emergere dell'eccellenza a livello operativo, sinonimo di qualità e reattività agli stimoli del mercato. Dal 2010 Elon Musk ha nuovamente stravolto le regole, ideando il teslismo, un sistema organizzativo basato sulla disruption, che nel breve volgere di un decennio è stato adottato da molte altre aziende. Il metodo Elon Musk spiega il teslismo, illustrandone i sette principi fondamentali, per consentire a tutti i lettori di comprendere, fare propri e mettere in pratica i fondamenti di questa quarta rivoluzione industriale già in atto. Quale strategia applicare all'economia del cambiamento e in mercati dagli andamenti imprevedibili? Quale modello operativo, quale tipo di management e organizzazione? Come attrarre, motivare e trattenere i talenti? Quali relazioni sono necessarie ad alimentare la crescita? Una descrizione approfondita e per nulla indulgente, testimonianze dirette e indagini sul campo, interviste a leader e manager fanno di questo libro una lettura preziosa e fonte d'ispirazione. Il capitolo che illustra gli esempi operativi spiega come applicare il teslismo a tutte le realtà aziendali, e aiuta a comprendere il profondo insegnamento che Elon Musk sta offrendo al mondo per la creazione dell'impresa del futuro.

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I SETTE PRINCIPI DEL TESLISMO

Principio 1

Iperproduzione

Potenziare il sistema industriale per renderlo frugale, agile, personalizzabile e in grado di generare valore collaborativo
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Una fabbrica non è un luogo così noioso come pensa la maggioranza delle persone. Sono le macchine che producono altre macchine, e dobbiamo progettare il tutto come un sistema integrato
Elon Musk, discorso d’inaugurazione della Gigafactory

Introduzione alla iperproduzione

Come dovrebbe essere una fabbrica nel 2019? Come afferma lo stesso Elon Musk, non deve più essere quel luogo brutto e molesto che Charlie Chaplin ha interpretato in Tempi moderni. Durante il discorso di inaugurazione della Gigafactory, Musk disse: “Una fabbrica non è un posto così noioso come credono tutti. È la macchina che costruisce la macchina, deve essere progettata come un sistema integrato” (YouTube, 2016).
D’altra parte, i dieci milioni di stabilimenti produttivi in servizio attualmente nel mondo sono ancora responsabili per il 20 percento di tutte le emissioni di CO21 (Figura 3.1).
Industria, però, oggi vuol dire anche quasi tre milioni di robot2 (Figura 3.2), 964 miliardi di euro di investimenti dedicati all’Internet of Things3 e un settore che sviluppa e realizza beni che stanno diventando sempre più “su misura”, anche se i produttori sono continuamente costretti a ridurre i tempi di immissione sul mercato. La situazione è esemplificata dalle tre principali case automobilistiche tedesche che, negli ultimi dieci anni, hanno aumentato il volume delle opzioni offerte dal 47 percento al 113 percento, anche se il tempo di vita dei prodotti è diminuito dal 10 percento al 19 percento nello stesso periodo. Le fabbriche odierne generano 19 centesimi di servizio per ogni euro che producono, con una quota tra il 30 percento e il 55 percento di tutti i posti di lavoro coinvolti che comprende una componente di servizio4.
La produzione odierna è generalmente “iper”: ipereconomica come reazione alla scarsità delle risorse sfruttando le ultime tecnologie, iperagile e personalizzabile come risposta alla volatilità e alla diversificazione della domanda, iperconnessa e aperta al mondo al fine di generare valore collaborativo.
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FIGURA 3.1 – Emissioni di CO2 attribuibili alle industrie manifatturiere e produttive (percentuale della combustione totale di carburante).
FONTE OPEO, adattamento della versione digitale di OCSE e dell’Agenzia internazionale dell’energia IEA.
Però, così come per la produzione snella, anche l’iperproduzione è prima di tutto uno stato mentale.
Il modo di pensare “iper” è opportunamente riassunto nel primo principio preferito di Elon Musk: bisogna avvicinarsi sempre alla risoluzione dei problemi da una prospettiva fisica, come cita regolarmente per spiegare il suo punto di vista, richiamando la prima legge della termodinamica di Newton. È qualcosa che si è ampiamente concretizzato in una visione disruptive, che sfida le idee preesistenti al fine di trovare soluzioni innovative per ciascuno dei processi chiave della sua azienda, in particolare in relazione allo sviluppo del prodotto e all’innovazione tecnologica.
Applicato al mondo delle fabbriche, questo concetto è stato parzialmente tradotto nell’attenzione all’estrema razionalizzazione per massimizzare la produttività di risorse preziose come lo spazio disponibile, la capacità dei macchinari, la competenza delle persone, l’energia e le materie prime. Da notare che una conseguenza è anche l’ossessione per la velocità e l’agilità del processo di produzione e per le operazioni “aperte” al resto del mondo.
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FIGURA 3.2 – Bilancio operativo mondiale stimato di robot industriali nel 2016-2017 e previsioni per il 2019-21 (in migliaia di robot).
FONTE OPEO, sulla base dei dati della Federazione internazionale di robotica, Executive Summary World Robotics 2017 Industrial Robots.
L’iperproduzione, tuttavia, è stata più che una disruption frontale. In effetti, il modo più accurato per teorizzarla è considerarla come un “perfezionamento” della produzione snella. Per comprenderne le fondamenta, prima di analizzarne i principi, vale quindi la pena tornare a esaminare le basi della terza era industriale.

Produzione snella, just in time e valore aggiunto

All’alba della terza rivoluzione industriale, gli scambi commerciali avevano già iniziato ad aumentare vertiginosamente. Le catene di approvvigionamento gradualmente si stavano nebulizzando in un mondo in cui, come conseguenza, un’intera gamma di componenti industriali e semiassemblati raggiungeva mete sempre più lontane. Tuttavia, a causa della crescente importanza degli aspetti finanziari dell’economia, della necessità di reattività, del rischio di carenze logistiche e di maggiori pressioni sul capitale circolante, la maggior parte delle aziende iniziò regolarmente a migliorare la propria efficienza operativa, nella speranza di ridurre il costo di questa nuova globalizzazione sfrenata. All’interno di questo paradigma, si distinse in modo particolare il Toyota Production System. Una coincidenza storica è che il mondo aveva scoperto questo sistema grazie ai ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology, Womack, Jones e Roos, 1990) che avevano analizzato lo stabilimento NUMMI (New United Motor Manufacturing) a Fremont (California). Curiosamente, questo era l’impianto che Toyota aveva acquisito da General Motors nel 1984 e che, in modo simbolico, Tesla avrebbe poi acquisito nel 20105.
L’efficienza del sistema Toyota si basava su due pilastri e tre fondamenta, incentrati sul principio della riduzione al minimo degli sprechi. Per questo motivo, tutti l’avrebbero poi chiamato “lean manufacturing” o “produzione snella” (Figura 3.3, Figura 3.4).
Il primo pilastro del toyotismo era il just in time, un sistema in cui ogni anello della catena produceva esattamente nel momento richiesto dall’anello successivo. Ciò determinava sia la generazione di scorte molto ridotte, sia un sistema gestionale agile in grado di rispondere alle mutevoli richieste dei clienti.
Il principio sembrava semplice e diretto, ma la sua implementazione era molto complessa: richiedeva una supervisione rigorosa per rilevare eventuali problemi e risolverli il più rapidamente possibile, in modo da evitare blocchi nella catena di approvvigionamento. Il sistema just in time impiegava cinque componenti: continuità dei flussi, produzione a pezzi singoli, fabbricazione sincronizzata con le esigenze degli utenti finali, procedure snelle, gestione dei processi estesa all’intera catena logistica.
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FIGURA 3.3 – Il tempio Toyota.
FONTE OPEO, ispirato da Womack e Jones (1990).
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FIGURA 3.4 – Le otto fonti di spreco del toyotismo.
FONTE OPEO, ispirato da Womack e Jones (1990).
Uno degli obiettivi principali era quello di evitare lotti di dimensioni tali da aumentare l’efficienza a livello locale dei macchinari producendo parti in serie, ma che avrebbero anche rallentato le velocità complessive del flusso. Nonostante tutto, poche aziende riuscirono a far sì che il loro sistema just in time soddisfacesse questo obiettivo finale, con le dimensioni standard dei lotti che spesso variavano da un minimo di 10 pezzi a diverse migliaia, a seconda del settore, con una media di circa 100 pezzi.
Il secondo pilastro del toyotismo era la “jidoka”, o “Right First Time” (N.d.T. letteralmente “giusto la prima volta”, ma più spesso il giapponese jidoka viene indicato in italiano con il termine “autonomazione”, dalla contrazione di autonomia e automazione). Si trattava della trasposizione del concetto just in time verso la dimensione della qualità, con ogni anello della catena che continuava a produrre solo c’era la certezza che i pezzi inviati all’anello successivo fossero stati di buona qualità. In caso contrario, l’intero sistema avrebbe dovuto fermarsi. I rischi per la qualità potevano essere ridotti prevendendo i subassemblati difettosi, un pericolo reale dato il potenziale della produzione in serie di amplificare le eventuali imperfezioni.
Questi due pilastri rispondevano agli obiettivi intangibili del toyotismo di concentrarsi sugli utenti finali e di dedicare più tempo possibile ad aggiungere valore. Produrre “just in time” significava evitare la sovrapproduzione, ovvero non utilizzare risorse aziendali per realizzare prodotti che non sarebbero stati venduti e che quindi sarebbero finiti completamente sprecati. Allo stesso modo, realizzare oggetti “right first time” significava evitare i flussi privi di qualità e la creazione di prodotti che i clienti avrebbero potuto non acquistare.

Nuovo codice per la quarta era industriale

All’alba della quarta era industriale, i database software avevano continuato a evolvere riflettendo un crescente bisogno di frugalità e agilità, nonché una nuova domanda di creazione di valore collaborativo. La filosofia dell’iperproduzione risultante da questo nuovo orientamento aveva sfruttato la mentalità “disruptive” che Elon Musk sostiene nel suo primo principio, cercando di superare gli ostacoli che avrebbero potuto impedire la generazione del valore collaborativo.

Frugalità

Con la maggior parte degli esperti di riscaldamento globale che ha annunciato e confermato il diradamento dei combustibili fossili, la coscienza collettiva del ventunesimo secolo è variata in relazione al consumo di energia. In contemporanea, l’emergere dei social network ha concesso a tutti una visione chiara dell’origine dei prodotti che consumano, del viaggio che questi prodotti hanno fatto e se sono stati realizzati eticamente. A sua volta, questo ha portato al concetto di industria frugale, che funziona secondo almeno quattro assi principali.
Il primo ha comportato la riduzione dell’impatto ambientale end-to-end dei prodotti, sviluppando metodi e materiali di produzione che limitano al minimo il consumo di risorse rare e promuovono le energie rinnovabili dalla fase di progettazione in poi. Un metodo ausiliario è stato quello di definire percorsi di produzione che ottimizzino il trasporto in tutto il mondo, dalla fase iniziale dei componenti alla consegna all’utente finale.
A tutto questo si aggiunge il concetto di una produzione a basso consumo, che comporta la definizione e la gestione di processi produttivi che evitano sprechi di materie prime, resi di prodotti e qualsiasi utilizzo superfluo di energia. È necessario ridurre al minimo gli scarti e contribuire al riciclo per rispettare tutte le normative sulle emissioni di inquinanti solidi, liquidi e gassosi.
È stata inoltre necessaria una maggiore cooperazione locale per promuovere questa economia circolare, facendo sì che le autorità locali e i partner industriali si impegnino nei diversi luoghi in cui operano le sussidiarie di un’azienda. I metodi a questo livello includono il riciclaggio di energia o materiali non consumati, la limitazione al minimo del rumore e di altri tipi di inquinamento locale, la temporizzazione del consumo di energia in modo da regolarizzare le capacità di produzione locale, promuovendo al contempo l’apprendimento permanente e aumentando il livello di competenza di tutti i partecipanti all’ecosistema.
Come quarto e ultimo punto, un’etica di prodotto end-to-end implica che il comportamento dei fornitori deve essere verificato sin dall’inizio della catena. Ciò si ottiene mediante una politica di responsabilità sociale delle imprese che deve essere “estesa”, solida e condivisa.
La forte richiesta di questo tipo di etica, in ogni caso, non ha impedito ai consumatori di esigere sempre più funzionalità personalizzate e consegna rapida dei prodotti. La domanda ha quindi continuato a spingere verso un’estrema diversificazione. La traslazione industriale di questo cambiamento è stata una crescente esigenza di agilità e di “personalizzazione di massa”, il tutto combinato per dare forma a un nuovo paradigma, caratterizzato dalle dimensioni singole dei lotti e dalla consegna in giornata. Molti principi del just in time sono rimasti validi, ma sono stati portati all’estremo e quindi hanno richiesto un adattamento. I flussi snelli sono rimasti un principio fondamentale, ma l’idea di avere un “flusso di un pezzo” dovrebbe essere applicata nel senso letterale del termine, con le dimensioni dei lotti che prima erano state standardizzate a 100 unità e che ora sono applicate alle singole unità. Il concetto di “takt time”, che indica il tempo medio tra l’inizio della produzione di due articoli, è stato oggetto di un’analisi particolare per ogni singolo articolo che ora dovrebbe avere il proprio tempo di produzione particolare. I flussi snelli sono rimasti il principio guida dell’intera catena di approvvigionamento, ma ora vengono generalizzati in zone logistiche nelle quali le persone non si spostano più per prelevare i componenti (“dall’uomo ai beni”), ma dove i componenti vengono portati alle persone (“dai beni all’uomo”).

Agilità

Per quanto riguarda fare le cose “giuste la prima volta”, rispettando il secondo dei due pilastri del toyotismo, la maggior parte dei principi è rimasta valida. Ancora una volta, c’è la necessità di accelerare i tempi di reazione del sistema, ma anche di adeguare il livello con il quale condividere le informazioni associate sia all’interno di un’azienda sia lungo l’intera catena logistica (inclusi gli utenti finali). La parte a monte della catena industriale ha quindi dovuto assumersi una maggiore responsabilità per l’innovazione. Il metodo di sviluppo che, in generale, ne è scaturito, coinvolge un ibrido tra i metodi industriali tradizionali, organizzati in modo sequenziale e con punti di riferimento, con i cosiddetti metodi “agili” importati dal mondo del software. Il principio fondamentale per quest’ultima sfera è sempre stato che le specifiche del cliente si evolvono costantemente, anche molto tardi nel processo di innovazione e sviluppo, generando la necessità di cicli molto più brevi, a volte indicati come “sprint” tra utenti finali e progettisti. Nelle fasi a monte, l’idea di essere “giusti la prima volta” ha dovuto anche essere adattata poiché il nuovo principio guida si concentra maggiormente su “test e apprendimento”, un approccio in cui l’azione rapida è preferita all’azione perfetta, quindi dove gli errori sono tollerati.
Le nuove tecnologie hanno permesso di rispondere agli adattamenti richiesti ai due pilastri del toyotismo (just ...

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