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Gli imprenditori che hanno rivoluzionato il gusto made in Italy

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Gli imprenditori che hanno rivoluzionato il gusto made in Italy

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L’economia del mangiare e del bere è il nostro petrolio. L’industria agroalimentare italiana è infatti un formidabile asset per il nostro Paese, un settore che come pochi contribuisce alla diffusione dell’identità italiana nel mondo. Fernanda Roggero ha selezionato e raccolto undici storie che, dal cuore delle Dolomiti a Pantelleria, raccontano di una varietà di gusti e sapori che nessun altro Paese al mondo può vantare. Prodotti di nicchia per cultori dell’eccellenza accanto a una produzione industriale di grande qualità, sempre più attenta ai temi della sostenibilità e al sostegno delle realtà territoriali. Fuori menu è la storia della passione, lungimiranza e coraggio di undici aziende che hanno rivoluzionato il gusto made in Italy e un sorprendente viaggio in Italia alla scoperta di successi come le super premiate bollicine Ferrari, la red valley del pomodoro Mutti, il caffè Illy, il miele artigiano Thun, gli spaghetti gourmet Felicetti, i cru di Parmigiano Gennari, e ancora, il panettone “digitale” Loison, le chiocciole Metodo Cherasco, la grappa Nonino, l’apertura al mondo del vino siciliano di Donna fugata e il riso gastronomico Acquerello. Fuori menu è anche il racconto di come aziende diverse, per grandezza, strategie e prodotti, possano essere accomunate da un’unica grande missione: proiettare nel futuro il gusto made in Italy.

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Information

Illy
Il caffè buono: unico, globale, hi-tech
e sostenibile
“Il primo ricordo sono le rulliere. Da bambino ci scivolavo sopra, seduto sopra un pezzo di cartone, come fosse uno slittino. Avevo poco più di due anni e passavo tanto tempo in fabbrica. La produzione era ancora familiare, eravamo tutti lì. Illycaffè fa parte della mia vita da sempre, ne ho assorbito la cultura dai fondatori. Ma nella memoria vivono, ancora nitide, altre figure. Personaggi severi, autorevoli. Uno era l’ingegner Bullo, un professore universitario, ai tempi direttore della produzione, aveva lavorato sull’automazione dei processi, un’altra era la dottoressa Ruzzier, una chimica. Tutti e due sempre in camice bianco, serissimi. A me, bambino, sembrava di vivere dentro a una favola. Il caffè era come una pozione magica, un elisir.”
Andrea Illy sorride al ricordo. È un signore di 56 anni, asciutto e scattante. L’ultimo di quattro fratelli. Alla fine quello più direttamente coinvolto nell’attività di famiglia. Il fratello maggiore Riccardo, che si occupa in prima persona delle attività non-caffè, ha vissuto una lunga parentesi di impegno politico.
Andrea è diventato amministratore delegato ancor prima di laurearsi, nel 1994. Chimico di formazione, dopo un classico Master alla Sda-Bocconi e un Advanced Management Program all’Harvard Business School, ha studiato Total Quality Management in Giappone, Innovation al Mit di Boston, Exponential Technologies alla Singularity University, e Complexity Science all’Università di Oxford.
Ha due chiodi fissi: la sostenibilità e la competitività del made in Italy. Dal 2016 ha affidato le redini gestionali dell’azienda a un manager esterno, Massimiliano Pogliani, mantenendo la presidenza del gruppo.
La sua vita si intreccia con lo sviluppo dell’azienda. Diventa una storia sola.
L’importanza di essere unici
Ho studiato chimica per seguire le orme di mio padre. Lui stesso, a diciassette anni, fu spinto ad abbracciare questi studi dal padre. Il nonno diceva che la chimica era una scienza di frontiera. Anche lui fu un uomo di frontiera. Ruppe gli argini, seppe innovare. Si chiamava Francesco, era di origine ungherese. Arriva a Trieste durante la Prima guerra mondiale come militare dell’esercito austroungarico e si innamora della città, cosmopolita, vivace, ardita. Qui nel 1933 fonda la sua azienda a partire da un sogno: offrire il migliore caffè al mondo. Era a suo modo un rivoluzionario. Geniale e coraggioso. Si deve a lui la formula dell’espresso come lo conosciamo oggi. Fu il primo a introdurre la pressione. Capì che l’acqua troppo calda rendeva il caffè amaro, se si abbassava la temperatura però la pressione diventava insufficiente. Allora ebbe l’intuizione di farla arrivare dall’esterno, attaccò letteralmente un compressore. Nel 1935 arriva il brevetto della macchina Illetta, successivamente un altro brevetto sulla pressurizzazione delle confezioni di caffè. Trieste era un porto importante. Francesco voleva spedire il suo caffè in tutto il mondo, ma non poteva permettersi che si ossidasse durante il percorso e allora trovò il modo di togliere l’ossigeno.
Io avrei voluto fare il chirurgo o il pilota di caccia, alla fine ho fatto il dottore del caffè.
Oggi Illy è la marca di caffè piÚ globale al mondo. Ogni giorno, da New York a Pechino si bevono otto milioni di tazzine di caffè Illy. Siamo presenti in 140 Paesi. Alla fine del 2019 il network retail si componeva di 269 punti vendita monomarca: 192 Illy Caffè, di cui 17 a gestione diretta e 77 Illy shop, sette dei quali a gestione diretta.
Ciò che ci distingue dai competitor, che ci rende outsider, è l’unicità. È stata una scelta strategica: essere unici in tutto, con un livello di differenziazione tale da essere inimitabili.
Lo siamo innanzi tutto sul prodotto. Il blend Illy nasce nel 1990. Ai tempi utilizzavamo cinque gradi di tostatura diversa e ci vollero mesi per arrivare alla ricetta definitiva. Oggi Illy è un unico blend 100% Arabica, che combina nove delle migliori qualità al mondo. Le nove origini selezionate sono il nostro elemento distintivo.
Siamo unici anche nel nostro approccio strategico, perchÊ tutto parte dal bar, dalla maestria del barista. Questa cultura tutta italiana del caffè come momento sociale, accoglienza e condivisione, è stata esportata in tutto il mondo, è un manifesto del nostro stile di vita.
Infine siamo stati i primi a intervenire in maniera radicale sulla supply chain delle materie prime, avviando un rapporto diretto con i produttori che seguono i nostri standard.
La comunitĂ  dei produttori
Acquistiamo direttamente da trent’anni, pagando un super premium price che è in media superiore del 30%. È stata una scelta inizialmente legata alla necessità. Dopo un lungo periodo di crescita costante, fino al 25% l’anno, a un certo punto ci siamo scontrati con una crisi del mercato. I prezzi erano crollati, di conseguenza i coltivatori abbassavano gli standard, non si trovava più il caffè qualitativamente adatto alle nostre esigenze. Mio fratello Riccardo suggerì di copiare l’iniziativa di Zegna, che ogni anno premiava i produttori delle lane migliori. Avemmo la fortuna di trovare in Brasile tre uomini spettacolari, un PR, un trader e un agronomo, che avviarono l’acquisto diretto presso i produttori. Di lì, passo passo, nacque la comunità.
Noi trasferiamo know-how ai coltivatori, valorizziamo le loro attività, li aiutiamo a migliorare le pratiche agronomiche, li spingiamo lungo la strada della qualità e della sostenibilità. Maggiore è la relazione con l’agricoltore e il trasferimento delle conoscenze agronomiche, più alta è la qualità del prodotto.
Oggi il Circolo Illy raggruppa tutti i produttori che lavorano con noi. Sono in tanti, acquistiamo da una ventina di Paesi. Il blend è composto da nove ingredienti specifici ma c’è bisogno di rimpiazzi in caso di necessità, per avversità atmosferiche o di altro genere, e dunque abbiamo almeno due Paesi di riferimento per ogni ingrediente.
E siamo costantemente alla ricerca di nuove aree con produzioni di livello. Ogni anno conferiamo un riconoscimento, l’Ernesto Illy International Coffee Award, che viene consegnato durante una suggestiva cerimonia all’Onu: le ultime due volte è stato vinto da coltivatori provenienti da aree non tradizionalmente vocate alla produzione di caffè. Nel 2020 è stato assegnato a una comunità colombiana che raggruppa molti ex guerriglieri delle Farc, convertiti all’agricoltura grazie a un progetto di reinserimento nell’ambito del programma di pace promosso dalle Nazioni Unite. Il progetto era nato nel 2017 e in soli tre anni questa comunità di coltivatori è riuscita a ottenere una qualità della produzione altissima. Le nuove piantagioni sono state sviluppate seguendo le nostre indicazioni sulle pratiche agronomiche e per noi è stata un’enorme soddisfazione. Così come è stato un grande orgoglio premiare nel 2018 una coltivatrice ruandese. Talmente brava da aggiudicarsi anche il Coffee lovers choice, il premio assegnato dai consumatori, frutto di più di un migliaio di degustazioni nei cinque continenti.
Ma la nostra ricerca non si ferma. Abbiamo appena collaborato alla realizzazione di nuove piantagioni in Cina. E ora stiamo lavorando a un paio di coltivazioni sperimentali in Guatemala e in Etiopia che vogliamo siano a zero emissioni di carbonio.
Il futuro è sostenibile
Carbon free in two thousand thirty-three. È il nostro nuovo mantra. Abbiamo lanciato One Makes The Difference, iniziativa che si inserisce all’interno del nostro piano globale di sostenibilità e che porterà l’azienda a diventare carbon neutral entro il 2033, cioè l’anno del nostro centenario: abbiamo iniziato con l’eliminazione di circa 175 tonnellate di plastica all’anno attraverso l’uso di materiali ecosostenibili, come i bicchieri take-away, nei bar Illy, punti vendita diretti e nel canale vending. E in autunno è arrivata sul mercato una nuova macchina da caffè X1 Anniversary Ese & Ground dotata di una tecnologia che le consente di erogare vapore, acqua calda e caffè annullando i tempi di attesa legati al raggiungimento della corretta temperatura. Dopo ogni somministrazione la macchina entra istantaneamente in stand-by, garantendo un notevole risparmio energetico.
E poi naturalmente c’è la sostenibilità a monte, quella delle pratiche agricole, un modello circolare che consente di garantire ai terreni maggior fertilità e resilienza. Nel 2014 Illy è stata riconosciuta come l’azienda più sostenibile del settore caffè da Icrt e nel 2017 ha vinto il premio Best Performance Award. Dal 2013 l’azienda è inserita nella lista delle World Most Ethical Companies.
Ma non abbraccio l’oltranzismo bio. L’arbusto del caffè in Africa vive naturalmente nella foresta, ombreggiato da piante ad alto fusto: è al 100% bio di default.
In Brasile le piante sono esposte al sole per massimizzare la produttività, la raccolta è tutta meccanizzata. Condizioni molto diverse quindi.
Più che il biologico in senso stretto, mi interessa un’agricoltura virtuosa. Ho compiuto uno studio di un anno per sviluppare un modello che porta un beneficio sia all’ambiente sia alla salute umana.
Se arricchisci il suolo di biomassa non solo sequestri carbonio dall’atmosfera (il terreno assorbe tre volte tanto rispetto all’atmosfera), ma nutri anche tutti i microrganismi che danno luogo all’enorme biodiversità del terreno e producono difese naturali della pianta contro gli elementi patogeni.
Questo non deve escludere un utilizzo molto razionato e selettivo di difensivi e fertilizzanti per colmare temporanei squilibri. Da questo punto di vista il biologico tende a essere troppo estremo, perché in ultima analisi ciò che importa è l’assenza di residui nel prodotto che immetti sul mercato e di dispersione nell’ecosistema. Molti non sanno che alcuni pesticidi prodotti autonomamente dalle piante sono più velenosi di quelli di sintesi.
Il biologico è interessante ma non è scalabile, non si potrà mai raggiungere neanche il 10% della produzione agricola mondiale in questa modalità. Però si potranno usare suoi princÏpi e la filosofia che ne è alla base per aprire la strada a una agricoltura piÚ virtuosa.
Investire sulla conoscenza
Con la nascita della Fondazione Ernesto Illy nel 2008 abbiamo sancito il nostro impegno nelle attività filantropiche a sostegno delle comunità di produttori di caffè e nella promozione della scienza e della conoscenza per il progresso e per l’ambiente. Venti anni fa abbiamo anche fondato l’Università del Caffè, con l’obiettivo di diffonderne la cultura a tutti i livelli. L’Università offre una preparazione accademica completa e pratica a coltivatori, baristi e amanti del caffè, per approfondire ogni aspetto del prodotto. Ha 26 sedi nel mondo, nei vent’anni di attività ha formato più di duecentomila persone. E poi c’è il Master Universitario in Economia e Scienza del Caffè, un corso di approfondimento unico a livello internazionale, che copre ogni aspetto: dalla pianta alla tazzina, dalla produzione sostenibile alla tostatura, oltre a distribuzione, marketing, mercati, filiere, derivati… È rivolto ai giovani laureati in economia, ingegneria e scienze agrarie, per offrire una preparazione a tutto tondo sulla cultura del prodotto, sulla valenza sociale del consumo del caffè e sulla cultura dei Paesi produttori.
Perché siamo un’azienda benefit
Illy è una benefit corporation. Appartiene a quel gruppo di aziende in giro per il mondo che si sono date uno scopo socio-ambientale, al di là del semplice profitto. Mi aveva colpito molto il concetto di ...

Table of contents

  1. Fuori menu
  2. Indice
  3. Il made in Italy a tavola. Antropologia del buon gusto italiano di Marino Niola
  4. Uniti nella diversitĂ 
  5. Ferrari. L’irresistibile ascesa delle bollicine italiane
  6. Illy. Il caffè buono: unico, globale, hi-tech e sostenibile
  7. Felicetti. Oltre tutti i luoghi comuni della pasta
  8. Mutti. Rosso emiliano, ovvero “l’altro” pomodoro
  9. Associazione Nazionale Elicicoltori. Globalizzati? No, elicoidali! La rivincita della chiocciola
  10. Nonino. Alle origini dell’aristocrazia della grappa
  11. Mieli Thun. Da un’arnia d’eccellenza una nitida istantanea del territorio
  12. Gennari. Il Parmigiano come un grand cru di Bordeaux
  13. Loison. Il panettone artigianale che viaggia in rete
  14. Donnafugata. Energia e carattere: quando il vino è donna
  15. Acquerello. La lunga marcia del riso, da commodity a health food
  16. “Qualità per tutti, una sfida possibile”. Intervista a Niko Romito