La Chiesa cattolica dell'Europa centro-orientale di fronte al comunismo
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La Chiesa cattolica dell'Europa centro-orientale di fronte al comunismo

Atteggiamenti, strategie, tattiche

Autori Vari, András Fejérdy, András Fejérdy

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La Chiesa cattolica dell'Europa centro-orientale di fronte al comunismo

Atteggiamenti, strategie, tattiche

Autori Vari, András Fejérdy, András Fejérdy

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Nella seconda metà del XX secolo il confronto con il regime comunista segna in maniera fondamentale la storia della Chiesa cattolica nell'Europa centro-orientale.La Chiesa, che assume una posizione di netto rifiuto del comunismo, nei fatti realizza tuttavia una strategia e una tattica diversificate a seconda dei periodi e dei paesi, in considerazione dei vari gruppi intraecclesiastici. Infatti la Santa Sede, e in particolare i vescovi e i sacerdoti della zona, dovevano necessariamente prendere in considerazione non solo gli aspetti dottrinali, ma anche quelli pastorali.Questa raccolta di studi intende tra l'altro sottolineare che, per scoprire e conoscere a fondo il passato recente della Chiesa, si deve analizzare la realtà quotidiana e la specificità dei rapporti tra Chiesa e Stato nel contesto centro-europeo, senza tralasciare però i criteri della Chiesa universale, ossia quella di Roma.

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Information

Year
2017
ISBN
9788867288137
JAN MIKRUT

Il martirio cristiano come testimonianza della fede in Europa orientale (1945-1991)

Nel nostro saggio vogliamo presentare due tipi di martirio cristiano: nel primo gruppo, quello tradizionale, il persecutore è generalmente un rappresentante del sistema politico del paese che, in odium fidei, uccide un cristiano; faremo conoscere alcuni esempi di vita eroica e di martirio subíto da testimoni di Cristo. Al secondo gruppo appartengono invece tutti quei cristiani che dovettero subire dure persecuzioni per il solo fatto di credere in Cristo, pur senza giungere all’effusione del sangue per la testimonianza della loro fede. Quest’ultimo gruppo è molto più cospicuo del primo ed il numero dei perseguitati è assai dissimile nei diversi paesi governati dal sistema comunista. A questi cristiani vennero imposti lunghi anni di prigionia o di lavori forzati prima che fossero liberati; talvolta furono costretti a vivere sotto la stretta sorveglianza della polizia, in quanto ritenuti elementi particolarmente pericolosi per l’intera società.
Scopo di questa relazione non è solamente presentare alcune biografie di coraggiosi martiri, ma anche illustrare le difficili condizioni in cui furono costretti a vivere quotidianamente i cristiani sotto la dominazione del sistema comunista, ideologicamente interessato a eliminare un gruppo di cittadini bene organizzati, che contavano su un legame internazionale con una centrale indipendente dal governo locale e situata fuori dai confini del paese. Per questo motivo vorrei presentare la difficilissima situazione politica nei paesi del blocco sovietico e la coraggiosa reazione dei cristiani contro le leggi, atee e inumane, varate dai governi comunisti.
Dopo il 1945 il territorio dell’Europa centrale entrò nell’orbita della dominazione sovietica, a causa delle decisioni prese durante le conferenze di Jalta e Potsdam, che crearono una nuova divisione di questa parte del continente. La politica sovietica di annessione e di sottomissione spezzò l’antica struttura dell’Europa centrale: la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, nonché i territori orientali della Polonia inglobati nell’URSS persero la loro indipendenza; una parte dell’impero asburgico, e della Germania diventò una regione dell’Europa orientale sovietica, ossia la parte esterna dell’impero sovietico, che comprendeva i paesi satelliti dell’URSS: la Polonia, la Cecoslovacchia, l’Ungheria e la Germania orientale. Il termine «Europa centrale» sparì dalle mappe e dal linguaggio diplomatico e fu sostituito con «Europa orientale»: per la prima volta sia Praga e Budapest che Dresda e Lipsia o Berlino facevano parte dell’Est. Questo territorio divenne non solo una zona di dominazione politico-militare ma, soprattutto per i popoli europei, vide attuarsi un sanguinoso scontro con un’ideologia e un sistema dello Stato decisamente atei, sul fondamento dell’ideologia marxista-leninista.13
La suddetta divisione risulta importante riguardo alla politica confessionale, in quanto il modo di agire di fronte alle comunità dei credenti era diverso nella parte interna dell’impero rispetto alla parte esterna. Tutti i partiti comunisti in Europa centro-orientale, dopo il 1945, si distinsero per la loro ostilità verso la religione: il cesaropapismo staliniano presupponeva la superiorità del potere laico su quello ecclesiastico, l’imposizione della visione atea del mondo all’intera popolazione e l’uso strumentale della legge contro la Chiesa. L’appartenenza alla parte interna dell’impero rendeva inattuabile qualsiasi forma di resistenza e le repressioni erano talmente violente da lasciare spazio a due soli possibili atteggiamenti: eroica perseveranza e martirio oppure totale sottomissione o addirittura apostasia. La fede poteva essere confessata in forma privata o in clandestinità. In Lituania, Lettonia, Estonia, Ucraina, Bielorussia, Rutenia Subcarpatica e Bessarabia vigeva la politica della distruzione totale della vita religiosa e del controllo assoluto sulle comunità ancora esistenti tramite la polizia segreta. Questo era il modello elaborato nell’URSS negli anni Trenta, che aveva lo scopo di costruire un paese ateo e che ora si voleva applicare nei nuovi territori conquistati. Il compito fu facilitato dai tormenti e dalle persecuzioni che la popolazione aveva subìto durante la seconda guerra mondiale. Il terrore sovietico e nazista e quello nazionalista ucraino destabilizzarono totalmente la vita della Chiesa in molti territori annessi all’Unione Sovietica.14
Nella parte esterna dell’impero esisteva invece un certo spazio per dimostrare la propria indipendenza ed esercitare anche una efficace resistenza, un fenomeno che dipendeva dalle caratteristiche confessionali di ciascun paese e, soprattutto, dal numero dei cristiani, determinando situazioni assai differenti, per esempio, tra Cecoslovacchia e Polonia, dato che in quest’ultima quasi l’intera popolazione apparteneva storicamente alla fede cattolica. Il risultato definitivo della condizione delle varie nazioni sul piano religioso dipendeva poi anche dal coraggio della popolazione e dalla prudenza dei vescovi, ma soprattutto dalla diplomazia del primate della gerarchia cattolica, molto dissimile nei diversi paesi. Ricordo le figure di Alojzij Stepinac (1898-1960), Stefan Wyszyński (1901-1981) e József Mindszenty (1892-1975).
L’attuazione della politica religiosa in Europa centro-orientale, nonostante fosse basata sugli stessi presupposti, avvenne in forme diverse e in tempi diversi. Ciò dipese principalmente dalle condizioni storiche e dalla posizione assunta dalla società e dalla Chiesa durante la seconda guerra mondiale. Nella storiografia contemporanea si cerca in ogni caso di sistematizzare i tratti più tipici della politica confessionale realizzata nei paesi comunisti dopo il 1945, indicando quattro piani di conflitto tra Chiesa cattolica e Stato comunista: dottrinale, morale, nazionale ed esistenziale. Vengono anche individuate tre fasi principali della politica religiosa in ognuno dei paesi comunisti: fase iniziale, caratterizzata da una dura lotta ideologica seguita dai tentativi di eliminazione della Chiesa dalla vita pubblica; fase di lotta, nella quale si cercò di ostacolare l’attività interna della Chiesa con misure amministrative; fase finale, che aveva l’obiettivo di sottomettere la Chiesa al potere laico.
La persecuzione della Chiesa cattolica e il conseguente destino dei martiri erano organizzati secondo i criteri sperimentati in Unione Sovietica dopo la rivoluzione di Ottobre (1917). La scala e la forma delle persecuzioni dei comunisti dovevano essere adeguate all’importanza della Chiesa nel paese e, soprattutto, al numero dei fedeli: Chiese con un grande numero di fedeli e con un forte legame con la società, come quella polacca ad esempio, non potevano essere trattate allo stesso modo di Chiese più piccole, come per esempio in Cecoslovacchia, in Ungheria o in Croazia; non senza importanza era la presenza delle altre confessioni nel territorio del paese: in Romania e in Bulgaria, paesi a forte maggioranza ortodossa, i cattolici erano soltanto una piccola minoranza.
Il sistema comunista realizzò una forma di Stato totalitario, distruggendo le storiche tradizioni di pacifica convivenza tra i cittadini e lo spirito di tolleranza e creando un’atmosfera di terrore. Non è facile spiegare oggi alle persone che vivono in Europa centro-orientale già da decine d’anni, senza alcun tipo di persecuzione, la tragica situazione della vita quotidiana delle generazioni vissute prima di loro. Per questo motivo dobbiamo conoscere non solo i nomi dei coraggiosi protagonisti di quel tempo terribile ma, soprattutto, le tragiche condizioni della vita quotidiana nei paesi governati da regimi comunisti, per capire veramente il coraggio dimostrato da quei cristiani che testimoniarono la loro fedeltà a Cristo. Soltanto da questa prospettiva storica potremo capire l’importanza delle questioni affrontate in questa occasione.
1. La politica confessionale sul territorio dell’Unione Sovietica
Sul territorio dell’Unione Sovietica erano presenti la Chiesa ortodossa ed anche altre confessioni cristiane, tra queste i cattolici di rito romano e bizantino. Nel 1917 vivevano in Russia circa due milioni di cattolici con un migliaio di sacerdoti e 6.400 chiese, due seminari e una facoltà teologica. I cattolici romani erano perseguitati come minoranza straniera: infatti essi erano per la maggior parte cittadini d’origine polacca che da secoli vivevano nella zona occidentale del paese, vicino ai confini con la Polonia. La situazione peggiorò quando il 17 settembre 1939 i comunisti russi, insieme con i nazionalsocialisti tedeschi, improvvisamente aggredirono quasi metà dello Stato polacco e iniziarono sistematicamente a sterminare l’intelligencija cattolica.
In Polonia la Chiesa, sebbene particolarmente radicata nella storia nazionale, aveva subíto enormi perdite durante la seconda guerra mondiale: erano stati uccisi centinaia di sacerdoti, demolite le chiese, spezzata la struttura della vita ecclesiale; particolarmente tragica era stata la sorte dei sacerdoti delle diocesi di Wilno (Vilna) e Lwów (Leopoli), incorporate all’Unione Sovietica, i quali dovettero spostarsi a ovest e costruire dal nulla nuove comunità.
Come esempio della distruzione dell’organizzazione ecclesiastica, presentiamo i dati tratti dalle statistiche ecclesiastiche dell’archidiocesi di Leopoli: nel 1939 essa contava 1.079.108 cattolici di rito latino (allora popolazione polacca) con 416 parrocchie e nella cura pastorale lavoravano 487 preti diocesani e ottantasette religiosi.15 Dopo la guerra, la maggior parte del territorio della diocesi di Leopoli fu annessa all’URSS, con circa 400 parrocchie e ventidue sacerdoti diocesani.16 La popolazione dovette lasciare le terre sulle quali viveva e trasferirsi in regioni abitate da tedeschi ma comprese nel territorio dello Stato polacco. I sacerdoti rimasti in territorio sovietico furono presto arrestati e condannati dai tribunali popolari a lunghe pene detentive o ai lavori forzati, in luoghi molto lontani e in condizioni igieniche e climatiche tremende, tanto che molti di loro morirono come martiri della fede cristiana.17
La forte posizione della Chiesa e la grande autorità di cui godeva pr...

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