La Dichiarazione universale dei diritti umani
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La Dichiarazione universale dei diritti umani

Storia, tradizioni, sviluppi contemporanei

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La Dichiarazione universale dei diritti umani

Storia, tradizioni, sviluppi contemporanei

About this book

L'approvazione della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) è unanimemente riconosciuta come un evento storico cruciale, una pietra miliare nel lungo cammino delle idee e delle norme sui diritti umani e nella riconfigurazione delle relazioni tra gli Stati, oltre che tra Stati e cittadini. Se nel corso degli anni i diritti umani sono innegabilmente divenuti un paradigma etico-politico, un linguaggio e un corpus normativo saldo, potente (talvolta prepotente?), i problemi connessi al loro fondamento, alla loro giustificazione e alla loro universalità, così come alla loro violazione, applicazione selettiva ed esportazione paternalistica, continuano a rimanere aperti.

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Information

III. Sviluppi e dibattiti contemporanei
Carlo Focarelli

Neoliberismo globale e persona umana

1. Premessa
Da più parti si parla oggi di una “crisi” in corso, se non di una “fine”, dei diritti umani. La crisi sembra investire i diritti umani in genere, compresi più in particolare i diritti umani sanciti dal diritto internazionale, e riguardare il modo in cui tali diritti dovrebbero essere reinterpretati. Trattandosi di norme che rimangono in vigore così come formulate in origine e successivamente emendate, conviene chiedersi quale sia l’oggetto specifico, nonché le cause, della denunciata crisi ai fini della loro interpretazione e applicazione.
Il problema è stato ampiamente dibattuto di recente in occasione delle manifestazioni celebrative del settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Come è noto, la Dichiarazione ha operato come modello per i trattati sui diritti umani successivi e può essere quindi assunta, almeno in prima approssimazione, come punto di riferimento allorché si discute di diritti umani stabiliti dal diritto internazionale. È altrettanto noto che la Dichiarazione fu il risultato di un compromesso sia a livello teorico (tra dottrina antagoniste quali il liberalismo, il marxismo, il cristianesimo, ecc.) sia a livello pratico (tra i due blocchi contrapposti emersi alla fine della Seconda guerra mondiale). E in effetti fu adottata in forma di raccomandazione non giuridicamente vincolante anziché come trattato vincolante proprio perché all’epoca risultò l’unico compromesso praticabile. Nel complesso la Dichiarazione, così come i trattati sui diritti umani successivi, fu concepita in riferimento alla guerra nazista e all’Olocausto.223
Il modello “anti-Stato tirannico” accolto dalla Dichiarazione appare oggi inadeguato. I maggiori problemi che i diritti umani sono oggi chiamati ad affrontare non provengono tanto da singoli Stati o comunque sembrano affondare le loro radici in cause che trascendono il singolo Stato. Al contrario, lo Stato si dimostra sempre più incapace di svolgere i suoi compiti di proteggere le persone di fronte a forze sovrastanti che appaiono intangibili e diffuse, spesso private. In tali circostanze l’interpretazione tradizionale della Dichiarazione universale del 1948 e dei trattati successivi che ad essa si ispirano può risultare persino fuorviante laddove richiama l’attenzione su problemi meno preminenti del passato e nasconde, sia pure involontariamente, i nuovi pericoli impedendo di approntare rimedi efficaci. Stando così le cose occorre reinterpretare, e/o istituire ex novo, i diritti umani alla luce del loro significato, o “quintessenza”, di fondo.
2. Segnali di “fine” o di “crisi” dei diritti umani
Accanto a studi di carattere scientifico,224 sono apparsi ultimamente su autorevoli riviste e quotidiani internazionali articoli sulla presunta crisi, o fine, o fallimento, dei diritti umani e/o del c.d. movimento per i diritti umani (Human Rights Movement). Si tratta di articoli attinenti ai diritti umani in genere ma che sono significativi per i diritti umani specificamente previsti dal diritto internazionale. Ad esempio, il 23 aprile 2018 S. Moyn, docente nell’Università di Yale ed esperto di storia dei diritti umani, scriveva sul «New York Times» che, dopo decenni di successi «the Human Rights Movement, like the world it monitors, is in crisis» e «failed», aggiungendo che «an even more ambitious agenda is to provide the necessary alternative to the rising evils of our time».225
Simili notizie indubbiamente colgono tempestivamente qualche verità, eppure suonano insoddisfacenti per almeno tre motivi. Anzitutto, esse appaiono rinforzare ciò che dichiarano. Dire che l’attivismo «non è abbastanza», in pratica significa scoraggiarlo e cioè rafforzare l’idea che non lo sia. Senonché, non vi sono (o comunque non sono state finora fornite) prove scientifiche che dimostrino l’impossibilità in futuro di un rovesciamento di tendenza grazie alle iniziative degli attivisti. Quali che siano le intenzioni dei commentatori sopra riportati sta di fatto che essi non si limitano ad informare ma anche a formare, o plasmare, le idee di un gran numero di lettori attraverso autorevoli media. Da questo punto di vista i commenti appaiono anche diretti a indurre o promuovere la crisi e se del caso anche la fine dei diritti umani sul presupposto che nessuno abbia interesse a battersi per una causa persa. Insomma, la rilevazione di una fine dei diritti umani, benché fondata su dati e argomenti oggettivi, opera come profezia che si auto-avvera e non è chiaro fino a che punto i suddetti commentatori e i media che li ospitano ne siano consapevoli. In secondo luogo, alcuni commenti richiamano vie etiche alternative ai diritti umani (dichiarati ormai falliti) da predisporre in futuro senza specificare quali siano tali vie e cosa si dovrebbe fare affinché abbiano più successo dei diritti umani o perché, diversamente da questi, dovrebbero funzionare. È facile sospettare che la nuova “etica” auspicata possa sì funzionare ma perché antitetica ai diritti umani. In terzo luogo, i commenti spesso parlano di un fallimento del “movimento per i diritti umani” anziché dei diritti umani stessi, senza neanche tentare di indicare quali diritti umani sarebbero in crisi. In breve, al di là delle loro differenze, i commenti alla crisi dei diritti umani mostrano un dato sicuro e cioè che è in corso una lotta tra difensori (i c.d. attivisti) e oppositori (i c.d. realisti) dei diritti umani per portare dalla loro parte quote di lettori e di opinione pubblica, quindi anche di elettori. Si tratta di una lotta tutt’altro che nuova, anzi vecchia come il mondo, ma va compresa nel contesto di oggi.
La presunta crisi può dipendere da varie cause e spiegarsi sulla base di una varietà di teorie. Una è quella che la considera un corollario dell’ordine neoliberista dominante, cioè un effetto del sistema economico globale attuale.226 È in quest’ultima direzione che ci sembra valga la pena muovere l’analisi.
3. Neoliberismo e diritti umani
Il dibattito scientifico sul tema noto come “commercio e diritti umani” è ben conosciuto e non è necessario riprenderlo in questa sede.227 Conviene piuttosto approfondire il suo recente “restyling” in termini di “neoliberismo e diritti umani”. Le posizioni dottrinali al riguardo sono variegate e investono anche il diritto internazionale.228
Occorre dire anzitutto che il termine neoliberismo è ambivalente e può assumere significati diversi, con conclusioni diverse a seconda di quale significato venga accolto o, come più spesso avviene, sottinteso,229 sia nella teoria che nella pratica economica. Sul piano teorico si possono ricordare almeno due “versioni” di neoliberismo: la scuola “liberista” tradizionale e la scuola “ordo-liberista”. La prima è a favore del minore intervento possibile dello Stato nell’economia e tra i suoi maggiori rappresentanti possono ricordarsi l’austriaco F. Hayek, il tedesco L. von Mises e l’americano M. Friedman; la seconda ammette un più marcato intervento dello Stato e annovera tra i suoi maggiori rappresentanti gli economisti tedeschi A. Rüstow, W. Röpke e altri.230 Entrambe le scuole sono comunque a favore dell’economia di mercato e fortemente contrarie all’economia pianificata o centralizzata, di tipo comunista, nonché critiche nei confronti delle ricette keynesiane di politica economica. Sul piano pratico si possono richiamare i ben diversi contesti nei quali sono state adottate misure neoliberiste di politica economica (privatizzazione sistematica dei servizi pubblici, deregolamentazione, flessibilizzazione del lavoro, smantellamento del welfare state, ecc.) come il regime di Pinochet in Cile negli anni Settanta e i governi di R. Reagan e di M. Thatcher negli anni Ottanta del XX sec. negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
Per tentare di spiegare tali ambiguità, e per individuare la causa (o almeno una causa significativa) della presunta crisi dei diritti umani, ci sembra opportuno distinguere tre momenti del neoliberismo.
Il primo mom...

Table of contents

  1. Risvolto
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Indice
  6. I diritti che guidano i popoli? La Dichiarazione universale dei diritti umani
  7. I. I diritti umani dalla modernità ai giorni nostri
  8. II. Tradizioni e visioni dei diritti umani
  9. III. Sviluppi e dibattiti contemporanei
  10. Appendice
  11. Gli autori