1. Dopoguerra, desistenza, 1945-1948
Nell’Italia del Nord il vecchio stato italiano se ne è andato a pezzi quasi completamente. Esso non dovrà più risorgere. Gli organi che si sono assunti il compito di guidare il popolo italiano in questo anno terribile son stati i CLN […]. I CLN dovranno costituire la pietra angolare della nuova democrazia italiana.
1. Da piazzale Loreto al governo Parri
Il 29 aprile 1945, i corpi senza vita di Mussolini e della sua amante Claretta Petacci, assieme a quelli di diversi gerarchi fascisti, vennero esposti alla pubblica esecrazione in piazzale Loreto a Milano. Il giorno dopo, i quotidiani milanesi pubblicarono una dichiarazione del CLNAI, il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, che si assumeva la piena responsabilità delle esecuzioni. L’«organo direttivo» della Resistenza nel Settentrione, composto da esponenti di primo piano dei sei partiti antifascisti, dichiarava che «la fucilazione di Mussolini e complici da esso ordinata è la conclusione necessaria di una fase storica che lascia il nostro paese ancora coperto di macerie materiali e morali». Una conclusione necessaria, quindi, ma si sottolineava l’esigenza che tali «eccessi comprensibili» avessero fine, sostenendo che «nella nuova epoca che si apre al libero popolo italiano» eventi simili non dovessero più ripetersi. Il CLNAI, concludeva il comunicato, avrebbe svolto un ruolo decisivo nel ristabilire la libertà e la democrazia, «conclusa ormai la lotta insurrezionale».
Il CLNAI del periodo successivo alla Liberazione affrontò immediatamente il problema del futuro del paese, elaborando rapidamente, all’inizio di maggio, un documento programmatico contenente cinque punti fondamentali che si riteneva dovessero essere fatti propri dal governo Bonomi a Roma: 1) l’estensione dell’epurazione al settore economico; 2) la chiarificazione dei rapporti fra i prefetti e i CLN regionali e provinciali; 3) il rilancio dell’economia sostenuto dagli sforzi di tutti gli italiani, ma soprattutto da chi aveva tratto profitto dall’autarchia e dalla collaborazione con i tedeschi e i fascisti; 4) la riforma agraria; 5) l’avvio di una politica estera mirante a una collaborazione democratica con gli altri paesi. Una volta che questo risoluto programma, potenzialmente rivoluzionario, venne trasmesso alla stampa, il CLNAI chiese e ottenne dagli Alleati il permesso di inviare una deputazione a Roma. Ne facevano parte il presidente socialista del Comitato, Rodolfo Morandi – che aveva preso il posto di Alfredo Pizzoni –, il suo compagno di partito Sandro Pertini, l’azionista Leo Valiani, il comunista Emilio Sereni, il democristiano Achille Marazza e il liberale Giustino Arpesani. Il 7 maggio, la deputazione s’incontrò prima con Bonomi e poi con il Comitato Centrale di Liberazione Nazionale (CCLN). La riunione, della quale sono stati conservati i verbali, cominciò alle 16.30 con una discussione su una questione secondaria, per decidere se i rappresentanti del Partito repubblicano dovessero esservi ammessi, e ciò concesso, se potessero prendere la parola. Quando finalmente il socialista Morandi affrontò il tema all’ordine del giorno, affermò che lo scopo della missione del CLNAI non era indurre il governo Bonomi alle dimissioni, quanto piuttosto «salvare» e «assicurare» l’unità dei partiti. Nel Nord, sostenne, i CLN avevano introdotto un «nuovo sistema di amministrazione civile e politica». Lui e i suoi colleghi non erano tuttavia a Roma per chiedere un «governo del Nord», ma speravano che l’energia profusa nel Nord sarebbe confluita in un nuovo governo nazionale informandone le decisioni, nell’interesse di tutta la nazione. Morandi assicurò quindi i suoi interlocutori che il Nord non si stava contrapponendo al Sud, nonostante che nella parte settentrionale del paese la lotta di liberazione fosse durata più a lungo.
In base ai verbali di quell’incontro è difficile valutare esattamente quanto di diplomatico vi fu nell’atteggiamento di Morandi, ma è abbastanza chiaro che, qualunque fosse il linguaggio utilizzato, i rappresentanti del Nord erano scesi a Roma per dare una lezione ai loro interlocutori, e per fornire qualche indicazione gratuita su come occorreva muoversi, con particolare riguardo all’opera dei CLN. In un passaggio significativo del suo intervento, Morandi disse che essi non erano
semplici comitati di contatti tra partiti, ma qualche cosa di organico, ed è attraverso i comitati di liberazione di paese, di borgata, fabbriche ed aziende che tutta la vita politica del paese si è articolata. Sono i CLN che hanno operato in senso costruttivo […]. Questa situazione diversifica fondamentalmente la posizione del nord e del sud […]. Valorizzare i CLN nell’Alta Italia vuol dire assicurare per tutta la nazione i frutti di quella che è stata una lotta molto profonda, vuol dire corrispondere ad una esigenza che deve essere soddisfatta; vuol dire d’altra parte non deludere quell’attesa di rinnovamento vivissima delle masse del nord.
Dopo Morandi parlò il socialista Sandro Pertini, che sottolineò l’unità del CLNAI, sottintendendo chiaramente, pur senza dirlo, che al contrario il Comitato centrale era diviso. Ma poi espresse senza contenersi quel che pensava, come aveva sempre fatto e come avrebbe continuato a fare per tutta la sua lunga vita: i compromessi dei vari governi che si erano formati dopo la caduta del fascismo nel luglio del 1943 erano stati deludenti, e le «masse lavoratrici» non erano «soddisfatte». Era vero che l’autorità del CLN era stata ridimensionata da alcuni rappresentanti del governo, ma in ciò anche il CCLN aveva le sue colpe – «si è autoesautorato», disse condannando quanto aveva, o meglio non aveva, fatto. Dopo di che intervennero Valiani e Arpesani, adottando un tono meno veemente. Quindi prese la parola Marazza, in rappresentanza dei democristiani, che ringraziò Arpesani per aver gettato acqua sul fuoco e rassicurò gli interlocutori dicendo che il rapporto fra il CLN e i prefetti doveva essere di «stretta collaborazione», e non di subordinazione. Quale fosse il clima dell’incontro lo si deduce dal suo rilievo che la questione istituzionale non poteva essere discussa «così poco diplomaticamente come si è fatto nella presente seduta». Il comunista Sereni intervenne per ultimo. Prese quindi la parola, in rappresentanza del CCLN, il liberale Leone Cattani, il quale rassicurò i deputati del Nord e replicò anche a Pertini, affermando che non c’era stato alcun «esautoramento» da parte del CCLN. Alla fine dell’incontro, Morandi stilò un anodino comunicato stampa, che venne approvato da tutti i presenti. La riunione si concluse alle 19.45, dopo tre ore e un quarto.
Nonostante il linguaggio dei verbali ufficiali, è chiaro che si trattò più di uno scontro che di un incontro. I rappresentanti del CLNAI, soprattutto i socialisti, erano chiaramente scontenti di come a Roma era stata gestita la situazione. Esigevano cambiamenti, e in tempi rapidi. E nonostante affermassero il contrario, volevano che il Sud adottasse un modello ispirato all’esperienza del Nord del paese, garantendo la supremazia dei CLN. Dalla riunione emergeva quindi con chiarezza che la natura del processo di liberazione avrebbe avuto un effetto duraturo sullo sviluppo dell’Italia postbellica. La Resistenza era stata soprattutto un fenomeno del Nord, dove era durata più a lungo e aveva gettato radici più profonde. I rappresentanti del CLNAI speravano di creare uno spirito resistenziale più profondamente sentito anche nel Centro e nel Sud del paese. In questo modo la Resistenza avrebbe assunto nel dopoguerra dimensioni veramente nazionali. Potevano esserci altri modi per «diffondere» il suo messaggio in tutta la penisola, ma in quel momento la priorità del CLNAI era l’azione in campo politico, da realizzare mediante i CLN. In realtà questa strategia non ebbe successo, poiché i CLN sarebbero sopravvissuti solo fino al giugno del 1946, quando le elezioni dell’Assemblea costituente li fecero di fatto diventare superflui. Quel che più conta è forse che i rappresentanti del CLNAI sembravano anche aver dimenticato che nel 1945 in Italia il potere effettivo era nelle mani degli Alleati, i quali già nel 1944 avevano deciso di mettere «fuori gioco» i CLN. E gli Alleati non auspicavano per l’Italia alcun mutamento se non un ritorno allo Stato liberale prefascista, con la monarchia e tutto il resto. I CLN avevano avuto un eccezionale valore durante la Resistenza, ma chi si aspettava e sperava che avrebbero portato avanti quell’esperienza non si rendeva conto di quale fosse realmente la situazione dell’Italia appena uscita dalla guerra, né di quanto fosse ambivalente l’atteggiamento dei partiti nei loro confronti. I cattolici e i comunisti erano impegnati, come recita il titolo del libro di Ventrone, a costruire la democrazia italiana, ma i CLN non rientravano fra i materiali da utilizzare. Non mancarono certo eccezioni, come ad esempio quella di Firenze e della Toscana, dove l’eredità amministrativa e politica del CTLN fu più duratura. Ciò avvenne principalmente perché quell’organismo poté mettere in atto i propri piani di rinnovamento sociale ed economico, seppure con alcune limitazioni, dalla liberazione di Firenze nell’estate del 1944 fino a quando non venne esautorato, e in parte grazie al successo del suo quotidiano «La Nazione del Popolo». Ma questo tipo d’impatto non si registrò uniformemente nelle varie zone del paese, dove l’azione di altri CLN locali fu superata e annullata da quella di altri organismi.
All’inizio di maggio, gli Alleati stavano già saldamente affermando il proprio controllo sull’Italia settentrionale. In cambio di mille lire e del certificato di patriota, i partigiani consegnarono le loro armi, di solito al termine di parate ufficiali ...