L'ordine della città
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L'ordine della città

Controllo del territorio e repressione del crimine nell'Italia comunale (secoli XIII-XIV)

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L'ordine della città

Controllo del territorio e repressione del crimine nell'Italia comunale (secoli XIII-XIV)

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La pattuglia di guardie che alla luce di una lanterna controlla di notte le strade delle città è un'immagine frequente nella novellistica del tardo Medioevo ed è stata resa mainstream da innumerevoli romanzi, film e fumetti.Essa, però, ha una data di nascita ben precisa: fu infatti tra la fine del Duecento e i primi decenni del Trecento che nei principali centri urbani italiani e europei si decise di creare vere e proprie forze di "polizia" alle dipendenze delle autorità pubbliche, che affiancassero il tradizionale sistema detto dell'Accorruomo, in base al quale erano gli abitanti delle contrade e delle parrocchie a dover intervenire in caso di violenze e di furti per cercare di catturare i colpevoli e assicurarli alla giustizia.Questo libro indaga il primo costituirsi di queste forze nell'Italia comunale, sia nei rapporti, spesso conflittuali, con le organizzazioni preesistenti, sia in quelli con i nuovi poteri – popolari o signorili – che intendevano imporre alle collettività una nuova e più stringente nozione di "ordine".

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1. L’“ordine pubblico” nelle città comunali italiane (secc. XII-inizi XIV): problemi storici e storiografici

Stretto fra la storia della criminalità caratteristica degli anni Settanta e Ottanta del Novecento e la storia della giustizia affermatasi negli ultimi due decenni, lo studio dei mezzi coercitivi con cui le autorità comunali cercavano di mantenere l’ordine pubblico e di reprimere le attività criminali non ha goduto di particolare interesse. Partendo dall’interminabile durata di molte cause civili, non pochi ricercatori hanno esteso all’età comunale le considerazioni svolte dagli altomedievisti, per i quali le autorità pubbliche non avevano di fatto la capacità di rendere efficaci le sentenze,23 e hanno affermato che anche per gli autori dei crimini più efferati, di norma un periodo più o meno volontario di esilio fosse l’unica pena effettiva.24
Nel campo del penale, però, queste considerazioni non sempre concordano con le evidenze documentarie. Anche se, come è stato calcolato per Perugia e per Bologna, non più del 10-20% delle cause si concludeva con una sentenza di condanna, le sentenze da rendere esecutive erano in ogni caso alcune decine, se non centinaia all’anno.25 I rendiconti amministrativi, ancor più dei registri di sentenze, mostrano una quantità comunque imponente di personaggi che in forme più o meno concordate versarono somme, anche importanti, per pagare le ammende a cui erano stati condannati.26 Nella seconda metà del Duecento, inoltre, divenne sempre più forte la richiesta della pubblicità della pena,27 dato che «tornarono a essere salienti, come lo erano state nel diritto romano, soprattutto le funzioni intimidativa e ammonitoria».28 Agli inizi del XIV secolo si affermò infine l’idea che un crimine andasse di per sé perseguito in quanto forma di insubordinazione verso il potere costituito e legittimo, dando ulteriore forza alla necessità di una reazione esemplare ai reati da parte delle autorità pubbliche.29
In questo contesto, ebbe un peso fondamentale, sullo scorcio del Duecento, l’elaborazione di un sistema di pene basato su tormenti fisici e mutilazioni, oltre che sulla sempre più estesa applicazione delle condanne capitali.30 Tutto ciò rese ancora più visibile l’efficacia della giustizia, popolando i margini delle città di uomini e donne mutilati o menomati31 e implicò una crescente capacità coercitiva da parte dei tribunali e dei governi cittadini: se infatti una multa poteva essere in parte abbuonata, rateizzata o pagata da terzi, quando erano previste esecuzioni o mutilazioni non si poteva contare su un’eventuale acquiescenza del condannato e diventava necessaria l’esistenza di efficaci sistemi di cattura e custodia dei colpevoli.
Il quadro rimaneva ovviamente complesso, dato che il sistema della giustizia e della repressione pubblica continuava a convivere con una cultura basata sulla faida e le vendette, a tutti i livelli della società, erano comunemente praticate e spesso venivano considerate lecite dalle stesse autorità urbane.32 Allo stato attuale delle ricerche, non è facile capire quante liti venissero risolte con forme di composizione private senza giungere davanti ai tribunali cittadini o, comunque, percorrendo solo alcune fasi del giudizio.33 Anche le nuove procedure inquisitorie, che prevedevano la libera iniziativa del magistrato nel perseguire i reati considerati socialmente più pericolosi, venivano applicate più facilmente contro gli avversari politici o nei confronti dei personaggi marginali, i quali non godevano di buona fama e di quella rete di protezioni e di amicizie che comunque garantiva i membri riconosciuti delle collettività professionali, rionali o confraternali.34 È comunque innegabile che, almeno verso alcune categorie, i governi delle città a cavallo fra Due e Trecento riuscirono a esercitare una politica repressiva di una certa efficacia, talvolta allargata grazie a saltuarie, ma non rare, concessioni di poteri straordinari (arbitrium) per rispondere a particolari momenti di crisi.35 Ciò nonostante, i mezzi con cui le autorità cittadine furono in grado di ottenere il controllo sui corpi dei condannati non si sono ancora affermati come un oggetto di studio a sé stante.
1. Nel silenzio delle fonti?
In generale, nessuno studioso nega che «the commune was in fact vitally concerned with the seizure, punishment, and removal from circulation of lawbreakers»36 e che «la repressione dei reati» fosse forse la più importante «tra le principali funzioni delegate al podestà con lo juramentum sequimenti».37 Però, quella che William Bowsky individua lucidamente come la «strictly police function» del comune, che si occupava della «protection of the community from lawbreakers: their detection, apprehension, and detention»,38 non è diventata un argomento di ricerca specifico e caratterizzante nel panorama della comunalistica italiana.
Le poche ricerche disponibili sul tema – oltre alla rapida voce sulla Polizia redatta nel 1985 da Mario Sbriccoli per l’Enciclopedia del diritto39 – sono opera di studiosi stranieri, che si sono dedicati a casi particolarmente ben documentati, concentrando la loro attenzione in particolare sulla tarda età comunale: così William Bowsky per la Siena del primo Trecento, durante il regime dei Nove,40 Sarah Rubin Blanshei per la Bologna di fine Duecento,41 Guido Ruggiero per la Venezia del XIV secolo42 e Halina Manikowska per la Firenze Trecentesca,43 affiancata, su questo, dall’unico ricercatore italiano che ha dedicato una specifica attenzione alle tematiche dell’ordine pubblico, ossia Andrea Zorzi.44
Come si vede, si tratta di ricerche che tendono a gravitare sul XIV secolo, concentrando l’attenzione sugli esiti ormai maturi di un sistema di controllo del territorio, piuttosto che sull’analisi degli anni della messa in opera del sistema stesso. Si percepisce chiaramente il profondo mutamento prodottosi fra la prima età comunale e l’epoca dei comuni di popolo ormai maturi, con il passaggio dal «dovere spettante alla vicinanza di catturare il delinquente», alla creazione di un «apparato specializzato» che «aveva competenze istruttorie e giudiziarie», vedendone anche la connessione con «l’ampliamento dello spazio della giustizia penale»,45 ma senza realmente studiarne le cause e le modalità.
Qui vorrei dunque proporre un’analisi spec...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Indice
  6. Introduzione
  7. 1. L’“ordine pubblico” nelle città comunali italiane (secc. XII-inizi XIV): problemi storici e storiografici
  8. 2. I comuni cittadini e il controllo delle vie di comunicazione a cavallo fra Due e Trecento
  9. 3. Associazioni di mestiere e compiti di “polizia” nei comuni italiani (fine XIII secolo-inizi XIV)
  10. 4. Eserciti cittadini e repressione del fuoriuscitismo politico nell’Italia comunale: il caso di Milano (1259-1302)
  11. 5. Strade, pascoli e castelli. Il controllo del territorio da parte del comune rurale di Chiavenna alla fine del Duecento
  12. 6. Interessi economici e rivendicazioni giurisdizionali: la lotta al contrabbando negli ordinamenti daziari comaschi del 1340
  13. 7. Un nuovo principe, una nuova disciplina: l’ordine pubblico nel Piemonte di Filippo d’Acaia (1300-1334)
  14. 8. Ordine e disordine signorile. Conflitti per il controllo del contado di Bergamo alla fine del Trecento
  15. Conclusioni