Tiranni e tirannide nel Trecento italiano
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Tiranni e tirannide nel Trecento italiano

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Tiranni e tirannide nel Trecento italiano

About this book

Nelle città comunali e signorili italiane riemerse drammaticamente nel corso del Trecento la questione della tirannide. La mutazione in senso autoritario dei poteri signorili stava allentandone i rapporti e il grado di consenso e di legittimazione con la comunità cittadina, disperdendo la capacità dei signori di interpretarne interessi e aspirazioni. La questione investì l'esercizio del potere anche nelle città guidate da governi comunali, soggetti anch'essi a degenerazioni in senso "tirannico". Rapidamente si diffuse la percezione di un problema politico nuovo legato alle trasformazioni impetuose che, al di là delle configurazioni istituzionali, erano in atto nell'esercizio del governo cittadino.Le ricerche qui raccolte analizzano, in una varietà di approcci, l'ampio spettro delle percezioni e delle rappresentazioni che della tirannide furono elaborate nel corso del Trecento. Il volume costituisce un importante contributo al rinnovamento in atto negli studi sull'Italia delle città, emancipandolo dalle contrapposizioni tra un ipotetico mondo delle libertà politiche (il comune) e quello del dispotismo e della tirannide (la signoria), ed evidenziando semmai la complessa articolazione e la pluralità di soggetti che caratterizzavano lo spazio politico delle città italiane.

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ANGELICA AURORA MONTANARI

Dalla corona al piatto: l’attitudine antropofaga del tiranno trecentesco

1. In origine era il lupo

Essendo giunta in cielo la protesta degli uomini perché tutto sulla terra andava male, Giove volle provarlo con la sua presenza, e, assunta forma umana, venne nella reggia di Licaone e fece sì che i popoli si accorgessero che un dio era in terra; ma quando essi attendevano ai sacrifici, tutti furono derisi da Licaone. Questi tuttavia volle provare se Giove – come si diceva – fosse suo ospite e cospirò per dargli morte di notte; ma non poté eseguire il suo piano. Allora d’un tratto si rivolse ad un altro delitto e uccise uno dei Molossi tra gli ostaggi, e lo fece cucinare in parte lesso, in parte arrosto; e lo diede da mangiare a Giove. Ma questi venne a sapere del delitto e rifiutò il cibo e fece gettare fuoco nella reggia di Licaone, e poi se ne andò. Allora Licaone, atterrito fuggì nelle selve e, mutato in lupo, cominciò, secondo l’antica usanza, a rapinare, e, per avidità di sangue, incrudelì sulle greggi.543
Con queste parole Boccaccio rievoca il mito classico di Licaone, figlio del primo re di Arcadia Pelasgo. La versione boccaccesca, tratta dalla narrazione ovidiana, non differisce in modo sostanziale da quella classica. La leggenda di Licaone appare come una sorta di mito d’origine della tirannide, a partire dal quale si perpetua, dalla classicità al Medioevo, l’accostamento tra tiranno e lupo, entrambi rapaci, feroci, insidiosi divoratori del gregge di Dio. All’accostamento tra tiranno e lupo si affianca di pari passo quello tra tirannide e antropofagia. Dal IV secolo a.C., ovvero da quando il termine tyrannos comincia a essere usato per designare un esercizio ingiusto del potere nelle sue forme, alle connotazioni morali infamanti che contraddistinguono l’iniquo sovrano viene indissolubilmente associata una peculiare voracità antropofaga. Dal Licaone platonico, dai Ciassare e Astiage descritti da Erodoto fino al Minotauro dantesco ripreso ed esemplificato dai commentatori della Commedia, il legame tra il tiranno e il consumo di carne umana perpetua nei secoli i suoi macroscopici tratti. Pur nella diversificazione del contenuto politico associato alla tirannide, infatti, diverse raffigurazioni medievali dell’usurpatore e dell’iniquo sovrano portano il marchio di tale devianza antropofaga. Si tratta di una ripresa dello stereotipo antico, ma anche dell’impiego di una chiave metaforica di grande efficacia nella denuncia degli oppressori: la perversione alimentare delinea il ritratto psichico-morale dell’insaziabile soverchiatore e richiama le privazioni e i tormenti imposti ai sudditi, “cannibalizzati” dall’abuso di potere mal esercitato e/o illegittimo.
Nel mito di Licaone il tiranno che tenta di antropofagizzare il Dio viene trasformato a sua volta in animale antropofago: tale cambiamento è il castigo per aver sfidato l’Olimpo. E tuttavia, pur esercitando una funzione punitiva, la metamorfosi non disegna in questo caso una vera e propria trasformazione; si tratta piuttosto di una rivelazione capace di manifestare, attraverso una trasfigurazione esteriore, la natura interiore del tiranno: un mostro feroce, furioso, antropofago e bestiale. L’immagine dell’uomo lupo è dunque, per usare l’espressione di Maggie Kilgour, una perfetta «metaphor of consumption»;544 Boccaccio stesso ne rivela il valore simbolico spiegando che «appena rivolgiamo la mente all’avarizia e alla rapina spogliati dell’umanità subito indossiamo la veste del lupo» conservando di umano esclusivamente l’apparenza:
Nam si rite velimus inspicere, nulli dubium esse debet quin, quam cito ad avaritiam et rapinam mentem apponimus, humanitate exuti, lupum e vestigio induamus atque tam diu perseveramus in lupum, quam diu talis appetitus perseverat in nobis, humana tantum reservata effigie.545
Boccaccio riporta l’episodio che, secondo Leonzio, aveva dato origine alla fabula: il re degli Arcadi avrebbe trucidato un ostaggio degli epiroti facendolo poi servire ben cotto agli ambasciatori che lo reclamavano («clam obsidie occiso atque decocto, legatis aliisque convivantibus iussit apponi»).546 Un giovane arcadiano chiamato Lisania (nel mito identificato con Giove), riconoscendo membra umane tra le vivande, sconvolto da questo atroce delitto («turbatus atrocitate facinoris»),547 sarebbe insorto con il favore del popolo contro il tiranno, privandolo del regno. Il destino di Licaone, rifugiatosi nei boschi per vivere di rapine, avrebbe quindi dato origine alla leggenda della metamorfosi, da alcuni antichi ritenuta veritiera, poiché già si tramandava di un lago, in Arcadia, capace di trasformare in lupo chi lo avesse varcato a nuoto.
Se nella narrazione ovidiana la sfida al Dio è centrale e la punizione del tiranno ruota, come quella di Prometeo, attorno alla competizione tra uomini e immortali, le versioni alternative della leggenda proposte da Boccaccio sulla scia dei classici mostrano bene che causa scatenante della detronizzazione del tiranno non è la mera competizione tra forze umane e celesti, ma altresì la trasformazione di un essere umano in cibo, e dunque l’oltraggio recato a chi si vuol propinare tale pietanza perversa. Questo crimine svela la natura bestiale del tiranno determinandone la rovina.
Il mangiare carne umana segna il limite estremo del processo di metamorfosi: l’animalizzazione dell’apparenza è infatti reversibile fino a quando non avviene un cambiamento ben più profondo, quello dell’animo, simboleggiato dal cedere a una alimentazione antropofaga. Boccaccio arricchisce, infatti, il suo racconto con un dettaglio fondamentale: coloro ch...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Occhiello
  3. Frontespizio
  4. Colophon
  5. Andrea Zorzi, Premessa
  6. Andrea Zorzi, La questione della tirannide nell’Italia del Trecento
  7. Diego Quaglioni, «Quant tyranie sormonte, la justise est perdue». Alle origini del paradigma giuridico del tiranno
  8. E. Igor Mineo, «Necessità della tirannide». Governo autoritario e ideologia della comunità nella prima metà del Trecento
  9. Andrea Gamberini, Orgogliosamente tiranni. I Visconti, la polemica contro i regimi dispotici e la risignificazione del termine tyrannus alla metà del Trecento
  10. Berardo Pio, Il tiranno velato fra teoria politica e realtà storica
  11. Sylvain Parent, «Tirannica pravitas». I poteri signorili, tra tirannia ed eresia. Riflessioni sulla documentazione pontificia (XIII-XIV secolo)
  12. Jean-Claude Maire Vigueur, La cacciata del tiranno
  13. Marino Zabbia, Tipologie del tiranno nella cronachistica bassomedievale
  14. Angelica Aurora Montanari, Dalla corona al piatto: l’attitudine antropofaga del tiranno trecentesco
  15. Bibliografia